Festival del Cinema Tedesco: Sorry, Genosse di Vera Brückner

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Si conoscono, nell’arte, innumerevoli varianti della storia di Romeo e Giulietta. Come ci insegna Leonard Bernstein l’amore può essere ostacolato da una rivalità di tipo etnico, come ci insegna Lou Reed, in una versione diciamo così ottimistico-alternativa, l’amore può trovare un suo coronamento anche in mezzo al più orrendo degrado etc. etc. Certo è che quando ci si mette di mezzo la Storia, un plot riconducibile al modello di Romeo Giulietta finisce per trovare un ostacolo che a tratti può parere davvero insormontabile.

In questo senso le vicende politiche della seconda metà del ‘900 ha fornito materia decisamente irresistibile per la costruzione di storie d’amore che devono combattere con gli ostacoli della Storia. Stiamo parlando della divisione dell’Europa in due blocchi, della guerra fredda e, scendendo sul piano più squisitamente oggettuale, della cortina di ferro nonché, per quel che attiene più specificamente al caso della Germania,  del muro di Berlino. Non so se qualcuno abbia già, a livello saggistico, provveduto a scrivere una storia del melodramma europeo sub specie cortina di ferro, film nei quali il classico triangolo melodrammatico è costituito da: lei, lui e l’altra (la cortina) o l’altro (il muro).

Nel cinema tedesco, lo si può ben capire, il tema è di casa, non foss’altro per il fatto che il confine fra le due mezze Europe straziava il corpo della Germania come una ferita purulenta (e ancora oggi, inutile negarlo, quella ferita è una piccola/grande cicatrice). Al più tardi dal 1961 in avanti, dopo la costruzione del muro, i film incentrati su amori impossibili sono molti, paradossalmente (o forse no), più numerosi dopo la caduta del muro che prima, anche perché molto banalmente nella cinematografia tedesco orientale il tema era tabù (a meno che – pensiamo a Il cielo diviso di Christa Wolf e anche all’omonimo film di Konrad Wolf – la fedeltà alla DDR non trionfasse sulla forza dell’amore) e anche quella occidentale doveva stare molto attenta, per ragioni diplomatiche, a tematizzare troppo questioni spinosissime come la fuga di cittadini orientali verso ovest. Caduto il muro, invece, i film sugli amori impossibili fra est e ovest si sono moltiplicati a dismisura. Pensiamo a uno dei primissimi in ordine cronologico e a oggi, stante la notorietà dell’autrice, fra i più importanti (anche se non fra i migliori), mi riferisco a La promessa diretto da Margarethe von Trotta (che lo ha scritto insieme a Peter Schneider e a Felice Laudadio): Konrad e Sophie, cittadini di Berlino Est, vogliono fuggire a ovest dopo la costruzione del muro, ma la fuga riesce solo a lei, Konrad resta a Est, i due s’incontrano (e vorrebbero vivere) a Praga ma l’invasione sovietica del 1968 li separa di nuovo etc. etc, fino al 1989 quando finalmente si ritrovano a festeggiare insieme la caduta del muro.

Dopo questa troppo lunga ma doverosa premessa, eccoci a parlare di Sorry, Genosse (“Genosse” è la parola tedesca equivalente dell’italiano “compagno” nel senso comunista del termine), un titolo che non mi sembra particolarmente azzeccato. Hedi e Karl-Heinz si conoscono in Turingia nella Germania Est, Hedi vive lì, Karl-Heinz è in visita perché in una cittadina di quella regione vivono lontani parenti rimasti a Est. È amore a prima vista, corre l’anno 1969, i due hanno diciotto anni. Lui torna a ovest, si scrivono lunghe, lunghissime lettere. Lui è disposto per amore a venire a vivere a Est, ma prima lui e poi lei vengono messi sotto la lente d’ingrandimento della Stasi che li vuole acquisire come collaboratori/spie. Karl-Heinz che pensava con il proprio trasferimento a Est di poter finalmente godere della propria privata felicità comincia a essere insofferente e così anche Hedi. Fin quando, dopo varie peripezie, i due decidono di organizzare la fuga di lei, attraverso la Romania e con l’ausilio di due amici (occidentali) fidati, una storia abbastanza avventurosa, non priva di risvolti thriller anche per una serie di piccoli grandi errori compiuti dai protagonisti, all’epoca poco più che ventenni.

Ciò che rende tutto sommato piuttosto originale il film è che si tratta non già di un film di finzione (pur magari basato su vicende realmente accadute) ma di un film documentario con i due protagonisti a fungere da guide attraverso il proprio passato e anche con i due amici che testimoniano la loro partecipazione alla Grande Fuga. Diciamo che il film – che in origine sarebbe dovuto tornare sui luoghi in cui gli eventi si erano svolti e che a causa della pandemia è stato girato tutto in Germania – è un film onestissimo che si avvale di numerosi espedienti per raccontare nel modo più vivace possibile la storia di Hedi e di Karl-Heinz, provando altresì a conferirle (alla storia) un tono di leggerezza qua e là un po’ forzato, giocando con vari generi, la spy story, la commedia appunto etc.

Nell’insieme tuttavia il film di Vera Brückner (1988) – presentato nella sezione Perspektive deutsches Kino della Berlinale 2022 – risulta un prodotto assai tipico delle scuole di cinema tedesche, nella fattispecie la celeberrima HFF (la scuola di Monaco), di cui Sorry Genosse, costituisce il cosiddetto Diplomfilm, ovvero il lungometraggio con cui l’autrice si è laureata. Il film ricorre anche a materiale autentico, oltre alle lettere anche qualche fotografia, a un po’ di footage non sempre pertinente a ciò che si sta raccontando, a un eccesso di location che simulano una complessità che, forse, nell’insieme risulta un po’ troppo accentuata. Interessante la scelta musicale: buona parte della colonna sonora è extradiegetica e comprende canzoni di un gruppo tedesco-occidentale all’epoca celeberrimo chiamato Ton Steine Scherben guidati dal cantante Rio Reiser. Brückner ha chiesto a un gruppo contemporaneo (Florian Paul & die Kapelle der letzten Hoffnung) di produrre delle cover di quelle canzoni che avevano costituito il soundtrack dell’incontro fra Hedi e Karl-Heinz.


Sorry, Genosse. Regia, sceneggiatura: Vera Brückner; fotografia: Felix Pflieger; montaggio: Sophie Oldenbourg; interpreti: Karl-Heinz-Stützel, Hedi Stützel; produzione: Nordpolaris, Bayerischer Rundfunk; origine: Germania 2022; durata: 94′

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