Festival del Cinema Tedesco: Was man von hier aus sehen kann di Aron Lehmann

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Qualcuno sa cosa sia un Okapi o meglio  l’Okapia johnstoni ? Io no e allora sono subito ricorso a Wikipedia apprendendo che si tratta di un “mammifero artiodattilo giraffide originario del settore nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo in Africa centrale. Nonostante presenti una serie di striature che ricordano molto quelle delle zebre, è più strettamente imparentato con le giraffe.”. Insomma, una via di mezzo tra una zebra e una giraffa – un animale raro, sconosciuto e, come tanti, purtroppo, in via di estinzione.

Ora appreso ciò, si può sognare un Okapi ammesso che lo si riconosca, non pensando ad un incubo nato in un ibrido di immaginazione e fantasia?  Evidentemente sì almeno nella fiction, dato che è quanto accade alla protagonista del film di Aron Lehmann Was man von hier aus sehen kann, alla nonna Selma, interpretata dalla grande attrice tedesca Corinna Harfouch. E quando il sogno arriva, nelle seguenti ventiquattro ore, muore una persona nel villaggio dove la donna vive – Selma non sa chi sarà lo sfortunato malcapitato ma la premonizione si è sempre realizzata. Il tutto accade in un piccolo, pittoresco villaggio di un luogo piuttosto ai margini delle grandi città e dei centri industriali tedeschi, nel Westerwald, una regione apart, geograficamente situata a nord del catena montuosa del Taunus, all’incontro tra tre Länder: la Renania-Palatinato, la Renania Settentrionale-Vestfalia e l’Assia.

Fatte queste premesse, per introdurre il film di Aron Lehmann che ha aperto a Roma il 3° Festival del Cinema tedesco, c’è infine da ricordare che si tratta della riduzione cinematografica dell’omonimo bestseller (2017) della scrittrice di Colonia Mariana Leky, coronato da uno straordinario successo di pubblico nel proprio paese e tradotto in 14 lingue tra cui anche l’italiano (Quel che si vede da qui, ‎ Keller Editore, Rovereto 2019).

Luna Wedler

Siamo o meglio dovremmo essere negli anni Ottanta dato che la collocazione storica volutamente è lasciata senza un tempo definito e siamo, come si accennava, in una piccola località del Westerwald in cui Luise (Luna Wedler) vive con la nonna involontariamente veggente (di cui sopra), con dei genitori il cui matrimonio va a scatafascio e con altri parenti, un cagnone peloso chiamato Alaska, amici o vicini parecchio strambi. Tra l’altro la ragazza rimpiange sempre la morte di un coetaneo con cui da bambina faceva coppia fissa ma (per fortuna) troverà d’improvviso, nella seconda parte del film, l’amore di un monaco buddista Frederik (Benjamin Radjaipour) che sì è stato in Giappone per i  voti ma in effetti è nato in Assia, dunque non molto lontano dal villaggio dove adesso incontra Luise accorgendosi che esiste anche l’amore terreno e non soltanto quello spirituale. Completano questo quadro pittoresco e ovviamente al massimo fiabesco un signore chiamato unicamente l’Ottico (Karl Markovics) di cui conosciamo solo il mestiere e la sua bottega e che da sempre ama Selma ma non glielo ha mai confessato anche se è assolutamente palese a quanti li conoscono, ecc. ecc.

Corinna Harfouch

Insomma, come si dice a Roma “un sacco di robba”, per i nostri gusti pauperistici forse troppa, a raccontare una vicenda che (come il romanzo d’altronde da cui proviene), immediatamente fa riferimento e/o ricorda quella del classico film di Jean-Pierre Jeunet Il favoloso mondo di Amélie (2001) con protagonisti Audrey Tautou e Mathieu Kassovitz. Il che non sarebbe di per sé un difetto se però si andasse presto al succo concreto di una storia che in chiave e stile di “realismo magico” ci vuole ricordare, con un pizzico di poesia, i grandi temi e i valori fondamentali dell’Esistenza, ieri come oggi: l’amore, l’amicizia, il fluire della vita tra alti e bassi.

La prima parte di Was man von hier aus sehen kann troppo si attarda  nel descrivere l‘ambiente con spesso disturbanti salti temporali tra passato e presente, a delineare i tanti personaggi messi in campo e a descrivere l’agitazione frenetica nel villaggio quando si viene a sapere che la donna ha sognato il periglioso Okapi, e che dunque qualcuno in zona dovrà morire nel giro di un giorno – con annessi e connessi: si fanno gli ultimi preparativi di vita, si svelano segreti in delle lettere che riempiono la cassetta della posta, ci si confessa e si attende il destino in arrivo… e via cantando.

L’Ottico (Karl Markovics)

Solo nella seconda parte il film di Aron Lehmann cresce d’intensità concentrandosi sulle figure principali della storia e grazie soprattutto alla ottima resa attoriale del trittico composto da Luna Wedler, Karl Markovics e Corinna Harfouch sollecita e sprona in modo tangibile le corde emotive dei protagonisti e dei loro grandi amori, da Luise a Frederik, da Selma all’Ottico –  e qui riesce, finalmente, ad emozionare anche lo spettatore. In zona Cesarini – come si direbbe in gergo calcistico – o forse, a nostro avviso, fuori tempo massimo per un film comunque – e questo bisogna darne atto – che si discosta dal seminato, spesso plumbeo e piattamente realistico, dell’attuale cinema mainstream tedesco, tipo un’altra tanto, troppo fortunata riduzione cinematografica di un testo letterario, quel Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, da poco strapremiato con quattro Oscar. Lehmann ha provato a fare un film più leggero e fuori dal seminato – non ci è riuscito forse ma almeno ci ha provato e ciò gli va riconosciuto. D’altronde quello che per noi è il miglior film tedesco degli ultimi anni è proprio un’opera molto vicina a corde “francesi”, alla Éric Rohmer  tanto per intenderci, che stravolge, in modo significativo, i canoni consueti del proprio autore e della “Berliner Schule”, quel Roter Himmel di Christian Petzold, recente “Gran Premio della Giuria” all’ultima Berlinale, che ci piacerebbe rivedere presto anche sugli schermi italiani.    


Was man von hier aus sehen kann (t.l.: Quello che si vede da qui) Regia e sceneggiatura: Aron Lehmann; fotografia: Christian Rein; montaggio: Ana de Mier y Ortuño; musica: Boris Bojadzhiev; interpreti: Luna Wedler (Luise), Corinna Harfouch (Selma), Karl Markovics (Ottico), Peter Schneider (Palm), Thorsten Merten (Herr Rödder), Katja Studt (Astrid), Rosalie Thomass (Marlies), Golo Euler (Heinrich); produzione: Uli Putz, Jakob Claussen; origine: Germania, 2023; durata: 109 minuti.

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