Roter Himmel di Christian Petzold (Gran Premio della Giuria)

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È la sesta volta che Christian Petzold presenta un film in concorso a Berlino, l’ultima volta era successo tre anni fa, quando era arrivato con Undine: un amore per sempre, interpretato da Paula Beer e Franz Rogowski, il protagonista di Disco Boy, il film di Giacomo Abbruzzese.

Petzold è certamente l’autore tedesco contemporaneo più celebre e più studiato anche all’estero, in Francia come negli USA, sia che lo si studi sotto l’etichetta della “Berliner Schule” sia che, ormai da tempo, lo si recepisca e lo si studi come autore dotato di una poetica unica, definita e riconoscibile (in Italia non è ancora studiato ma viene ormai da tempo regolarmente distribuito, da  almeno dieci anni, ossia a partire da La scelta di Barbara,  nessun altro autore tedesco può vantare una distribuzione tanto capillare).

Quella che definivo poetica definita e riconoscibile  significa o può significare rischio manierismo, anche perché Petzold si avvale sempre degli stessi collaboratori: Hans Fromm, direttore della fotografia; Bettina Böhler al montaggio; finché era vivo: Harun Farocki come collaboratore alla sceneggiatura, Nina Hoss attrice principale di sei film, Paula Beer giunta al terzo film. E quindi noi che conosciamo molto bene Petzold, avendolo recensito cinque volte, avendoci fatto sopra lezione etc etc, partivamo da una enorme stima nei suoi confronti ma nutrivamo qualche dubbio su che cosa “di nuovo” il regista avesse da offrirci alla sua, appunto, sesta partecipazione alla Berlinale. Ma con questi dubbi invece ci sbagliavamo.

Christian Petzold ha girato un gran bel film, abbastanza innovativo e sorprendente rispetto alle aspettative che era legittimo nutrire. Cominciamo dalla cosa, forse più vistosa, in Roter Himmel (Cielo rosso), questo il titolo, si sorride e si ride. E questo, impossibile negarlo, è un dato davvero inatteso. Se soprattutto nella parte finale il film non prendesse una piega drammatica, anzi addirittura tragica, si potrebbe a tutti gli effetti definire Roter Himmel una commedia, magari una commedia non del tutto leggera, ma sicuramente una commedia, a tratti una commedia sentimentale, a tratti invece una commedia nella quale la comicità proviene dall’attenzione dedicata a un personaggio e alle sue inadeguatezze o alle contraddittorietà rispetto alle varie situazioni con le quali si trova a confrontarsi (commedia di carattere la chiamano i teorici del teatro), a tratti (in almeno una sequenza: quella a cena) mi pare, siamo proprio in presenza di una sit-com.

Il protagonista (nonché vittima della comicità) è Leon, interpretato dall’attore viennese Thomas Schubert, molto attivo in TV, ma anche con qualche esperienza cinematografica. Leon è uno scrittore che, dopo aver esordito con grande successo, fa una grande fatica a scrivere il secondo libro, ciò che ne fa individuo costantemente irritato, separandolo completamente dal mondo circostante: due uomini e una donna.

Il primo uomo è l’amico Felix (Langston Uibel) con cui Leon è approdato in una casa di campagna nel Meclenburgo, a walking distance dal mare (Baltico); l’altro uomo è Devid (Enno Trebs) che “frequenta” la casa e lavora in riva al mare facendo il bagnino. E poi c’è lei: Nadja (Paula Beer), che inaspettatamente occupa la casa quando i due non senza qualche impiccio (la macchina in mezzo al bosco si rompe) arrivano nella magione un po’ malmessa di proprietà del padre di Felix. Fin dall’inizio, col suo fascino, col suo candore che per una volta verrebbe spontaneo definire francese, Nadja – che lavora come gelataia in riva al mare, ma l’apparenza, come succede spesso in questo film, inganna – Nadja strega tutti, soprattutto Leon, che però non fa nulla per farsi benvolere né da lei né dagli altri, essendo alle prese solo ed esclusivamente con questo manoscritto che non vuole decollare, totalmente incapace di rispettare le attese maturate dopo l’exploit del primo libro, è il primo a sapere di non essere all’altezza (già il titolo del romanzo Club Sandwich non promette granché).

E questo disagio produce una serie di comportamenti clamorosamente inadeguati, impropri che suscitano appunto l’ilarità degli altri, ma soprattutto dello spettatore: non va mai al mare (o se ci va resta vestito di tutto punto), deve lavorare (ma in realtà per lo più dorme o gioca con una pallina da tennis), di notte non dorme perché nella stanza accanto si fa un gran baccano: Nadja con Devid, Devid con Felix…mentre tutti si danno da fare con qualcosa (cucinano, riparano, fanno l’amore, fanno il bagno), lui non compiccia mai niente – e poi anche la sua fisicità un po’ debordante, diciamo così, non lo aiuta.

Fin quando nell’ultimo terzo del film non arriva anche l’editore Helmut, interpretato dal grandissimo Matthias Brandt, il quale sancisce, se ancora ce n’era ancora bisogno, il completo fallimento dello scrittore-nerd, mettendolo di fronte al ridicolo del proprio lavoro e, soprattutto rivolgendo l’attenzione a tutti, tranne che a lui, al fascino e alle doti culinarie di Nadja, al talento di Felix, aspirante fotografo.

Ma poi la storia prende una piega, come si diceva, drammatica, anzi tragica, che non diremo, ciò che produrrà fuori tempo massimo il riscatto dello scrittore, anzi tutto lascia pensare che il film che stiamo finendo di vedere sia una sorta di trasposizione di quel romanzo che Leon riesce finalmente a scrivere, forse perché Leon finalmente si apre alla realtà e alle tragedie che la realtà gli squaderna davanti: malattia, morte e anche disastri naturali, ecologici, determinati dall’incuria dell’uomo (il “cielo rosso” di cui al titoli fa riferimento agli incendi boschivi).

Ma Petzold, in questo film tutto sommato così diverso dagli altri, non sarebbe Petzold se anche in Roter Himmel non desse prova di alcune caratteristiche tipiche della sua poetica. Fra le quali mi piace segnalare: una marcata letterarietà da parte di un regista che non fa mistero di aver studiato germanistica (ricorderete il film tratto da Transito di Anna Seghers e le molteplici implicazioni mitico-letterarie presenti in Undine); stavolta è la citazione di una lirica di Heinrich Heine, recitata per ben due volte da Paula Beer che avvia una riflessione su amore e morte e sulla “forma che trema”; il gioco intertestuale con diversi orizzonti d’attesa in termini di generi cinematografico: film horror, commedia, appunto, coming of age (ma restando al francese: éducation sentimentale), distopia (il Roter Himmel non può non ricordare Rote Sonne [Rudolf Thome, 1970], celeberrimo film femminista distopico, film fra i preferiti di Petzold), ciò che induce lo spettatore a riposizionarsi di continuo, fino al punto di pensare che l’intero film sia il frutto di una immaginazione o di un sogno del protagonista; riflessione sull’arte e dunque momenti di saggismo sia in relazione alla vicenda principale sia nelle ambizioni artistiche di Felix, fotografo che riflette sulla rappresentabilità del reale, su sguardi, vuoti, finzioni, ombre

Insomma: se con Roter Himmel (finalmente un film tedesco che malgrado la lingua, i personaggi, il paesaggio non è solo tedesco!) Petzold , dopo una serie di premi importanti ma minori, vincesse l’Orso d’Oro sarebbe un premio assolutamente meritato. È da La sposa turca di Fatih Akin che un film tedesco non vince. Correva l’anno 2004.


Cast & Credits

Roter Himmel; regia, sceneggiatura: Christian Petzold; fotografia: Hans Fromm; montaggio: Bettina Böhler; interpreti: Thomas Schubert (Leon), Paula Beer (Nadja), Langston Uibel (Felix); Enno Trebs (Devid), Matthias Brandt (Helmut); produzione: Schramm Film; origine: Germania 2023; durata: 103’.

 

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