Festival di Cannes: Youth di Wang Bing (Concorso)

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Non è difficile ritrovare ad un festival attrici o registi presenti con più di un film. Quest’anno a Cannes ritroviamo non solo Wim Wenders a presentare due film in diverse sezioni, ma anche il regista e documentarista cinese Wang Bing. Con il documentario Man in Black sul compositore cinese Wuang Xilin è presente nella sezione “Sénces spéciales”, mentre concorre alla palma d’oro con un altro documentario, l’unico nel suo genere nella sezione competitiva, dal titolo internazionale Youth e dedicato alle fabbriche tessili cinesi. Definirle officine o laboratori tessili è già dare a queste caserme sudicie, decadenti e sovraffollate, una definizione dignitosa che non le appartiene.

Wang Bing al lavoro

Dopo aver già lavorato sul tema delle fabbriche tessili con il doc Bitter Money (Ku Qian, 2016), Wang Bing ci riporta per tre ore e trentadue minuti, ancora a Zhili, nella periferia della Huzchou City, dove vengono tagliati e cuciti per pochi yuan, pantaloni, giacche e altri capi di vestiario. Il materiale è stato girato dal 2014 al 2019 e Youth è solo una parte di un più lungo progetto filmico.

La mdp entra negli interni grigi e illuminati fino a tardi da luci al neon, fra montagne di resti di tessuto di scarto, ci mostra le stanze-officina piene di tavoli da lavoro allineati, dove solo la musica a tutto volume riesce a sovrastare il ronzio delle macchine da cucire; segue gli operai fino nei loro dormitori, situati semplicemente al piano sopra l’officina, dove promiscuamente si vivono le pause fra un turno di lavoro ed un altro. Gli operai e le operaie, dipendenti a cottimo, sono quasi tutti giovani ventenni, Du Meng è forse, con i suoi 16 anni la più giovane di tutti. Ma c’e anche qualche donna più esperta fra loro.

A seconda dei loro bisogni economici, si sottomettono, per periodi piu o meno lunghi, a turni estenuanti di lavoro per finire una commissione. I ragazzi e le ragazze, completamente isolati dal mondo esterno al laboratorio se non via cellulare, vengono da regioni anche lontane per lavorare nel settore tessile. Così si istaurano fra loro amicizie, flirtano, scherzano, fanno il bucato e condividono i miseri pasti lungo i corridoi. Sempre a tarda notte, finito il lavoro e stanchi della giornata, sono costretti a patteggiare con il boss dell’officina, a lungo e spesso inutilmente, la misera paga per i pezzi confezionati. Unica soddisfazione, poter andarsene a commissione finita, con una pila di carta (pur di valore irrisorio lo yuan è una banconota) e sentirsi, per un breve momento, così benestante da sognare di potersi permettere di mangiare almeno una volta nel ristorante aperto dal boss.

Il film di Wang Bing è una finestra aperta sul sistema della filiera tessile in China, e non fa altro che osservare, con occhio lucido, la realtà, in una situazione di sfruttamento comunque legale della mano d’opera, dove contano solo i profitti. Niente di nuovo, purtroppo. La bravura del regista è  tutta nel riuscire a mettere in rilievo il senso di comunità che si instaura fra i ragazzi in questi piccoli laboratori, la loro speranza e voglia di vivere, proiettata verso un domani, una casa e una famiglia. Da vedere assolutamente.


 

Qing Chun (Chun) – tit. internazionale Youth (Spring) – Documentario. Regia e sceneggiatura: Wan Bing; origine: Francia/Lussemburgo/Olanda, 2023; durata: 212 minuti.

 

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