Festival di Locarno (4) – Notizie e mini-recensioni

Piazza Grande

La regista Delphine Lehericey

Last Dance di Delphine Lehericey (Svizzera/Belgio, 84’) valutazione ****
Nel presentare il film, la regista Delphine Lehericey ha parlato della storia che l’ha ispirata, incentrata insieme sul dolore e l’amore per i nonni con cui che ha sempre avuto un ottimo rapporto. Dopo 70 anni di matrimonio, la casa anziani in cui soggiornano li ha separati mettendoli in due camere diverse, perché la nonna si era ammalata di Covid-19. Il marito, perciò, ha iniziato a scriverle lettere d’amore, ed è iniziato così uno scambio epistolare tra i due.
La storia portata sul grande schermo è dunque sì d’amore, di un grande amore. Germain, il protagonista interpretato da François Berléand, rimane vedovo e per superare il lutto mantiene la promessa, che si era scambiato con la moglie: chi resta deve finire ciò che l’altro ha iniziato. Lise, la donna, era una ballerina di teatro, così l’uomo si immergerà in quel mondo di  professionisti e dilettanti che ruota intorno alla compagnia della celebre coreografa La Ribot. Ormai settantacinquenne, Germain, però, non ha la libertà di fare ciò che vuole liberamente, ma in lui nasce e cresce una sorta di nuova adolescenza. Va alle prove di danza in segreto, perché i figli, preoccupati per il padre, lo tengono d’occhio in tutti i modi: dalle mille telefonate al giorno, ai turni di visita, fino ad organizzargli anche i pasti portati da una vicina “sorvegliante”.
Lehericey ha così messo in scena un’ultima danza, una Last Dance appunto, condita di molta ironia, che nel narrare una storia d’amore toccante, si nutre del dolore della perdita, della tenerezza delle lettere, e del paradosso di un personaggio in fuga che aggira le preoccupazioni dei nipoti per seguire una nuova passione, quella per la danza.

Concorso Internazionale

Tengo sueños eléctricos di Valentina Maurel (Belgio/Francia/Costa Rica, 101’) valutazione: ***(*)
Già vincitrice del 1° Premio della Cinéfondation a Cannes nel 2017 per Paul est là, al suo secondo lungometraggio, Valentina Maurel ci narra la storia di una sedicenne, Eva (Daniela Marín Navarro), che dopo il divorzio dei suoi genitori, decide di andare a vivere con il padre disfunzionale.
Un film che fa vedere una complicità padre-figlia problematica, infatti l’adolescente non ha nessun genere di regola: fuma, beve, inizia a esplorare il sesso… ma in tutto ciò, la ragazza è una vittima del divorzio, degli scatti di violenza del padre e dei pregiudizi della società. Lei non si vede come tale per tutto il film, ma farà capire molto bene i suoi dubbi, le paure, i desideri, il dolore, la rabbia e soprattutto le contraddizioni. In questo modo si mette in scena una interessante riflessione su diversi temi, mostrando l’instabilità e la tensione che fanno essere Eva come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un minuto all’altro.

Semaine de la critique
The DNA of Dignity di Jan Baumgartner (Svizzera, 61’) valutazione *** e 1/2
Per la protagonista di questo docufilm la guerra in Jugoslavia (1991-2001) non è mai terminata. Tra i 40000 dispersi, sepolti in fosse comuni, lei sta cercando i figli che non ha mai potuto seppellire…
Un gruppo di giovani scienziati e patologi forensi investiga, cerca con il satellite le fosse comuni e trovate le ossa e gli oggetti delle vittime, indaga sulle loro identità per ridare i resti dei deceduti alle famiglie. Oltre ai professionisti del mestiere, seguiamo alcuni volontari anziani, che aiutano a cercare resti dei corpi nei boschi.
The DNA of Dignity è un film che mostra il lavoro paziente e determinato portato avanti da un team indefesso e dai suoi volontari. Il loro compito non consiste dunque nel trovare materialmente le ossa degli scomparsi, anche perché non ci dicono se il corpo è di un bosniaco, un serbo o altro, ma invece quello di scoprire le storie di vite una volta vissute.

Panorama Suisse


L’Art du Silence (The Art of Silence) di Maurizius Staerkle Drux (Svizzera/Germania, 81’)  valutazione  *** (*)
Il regista ha deciso di fare questo documentario in onore del padre, sordo dalla nascita, che ha sempre amato la pantomima.
L’Art du Silence racconta la vita del celebre mimo francese Marcel Marceau, tramite materiale di archivio e le testimonianze dei suoi famigliari e di allievi, che frequentarono i suoi corsi di pantomima. Il padre del regista ci spiega come Marceau avesse la straordinaria capacità di esprimere la poesia della vita, senza l’ausilio della parola. E così lui, finalmente è potuto andare a teatro e capire tutto, nonostante non sentisse né suono né musica.

Foto dalla Piazza di Locarno di Stéphanie-Linda Maserin

 

 

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