Il 10 e 11 novembre alle ore 21 e il 12 novembre alle ore 18:00 presso Il Cantiere Teatrale di Roma andrà in scena lo spettacolo Fauna – nostra signora dei topi di Sergio Viparelli, adattamento scenico, diretto e interpretato da Paola Scotto di Tella. Siamo a Napoli, ventunesimo secolo. Presso le basi della Torre del Carmine, vive o meglio sopravvive, una piccola comunità di senzatetto. Sono ormai invisibili, tranne una. Fauna, il cui vero nome era Mamalouk, socializza raramente con gli altri. Parla ossessivamente con uno specchio e convive amorevolmente con i topi presenti intorno alla Torre. Non li teme. Non li scaccia, come fanno gli altri. Per lei sono animali da compagnia, come cani o gatti. Fauna è una creatura quasi mitologica, evanescente e magica a dispetto del degrado in cui vive.
Abbiamo intervistato la regista e interprete dello spettacolo.
Com’è nata l’idea di questo spettacolo?
Paola Scotto di Tella: E’ nata a Napoli, una sera di luglio, mentre io e l’autore, Sergio Viparelli discutevamo di una mia pièce sulla Rivoluzione Francese. Mi ha chiesto se volevo leggere un suo testo teatrale, un atto unico che risaliva a dieci anni prima. Il titolo allora era semplicemente FAUNA e si ispirava ad una donna realmente esistita, che da qualche anno sembra essere sparita nel nulla. Il suo vero nome è Mamalouk, è una senzatetto nordafricana che fino a qualche anno fa viveva a Napoli, presso i resti della Torre del Carmine. Praticamente uno spartitraffico popolato da senza tetto. Cio che colpiva di lei? Il suo ininterrotto dialogare con uno specchio e l’atteggiamento confidenziale, quasi amorevole, con cui trattava i numerosi topi che frequentavano la zona.Una donna non più giovanissima, disprezzata sia dai passanti che dagli altri barboni. Abbiamo scoperto soltanto in seguito, dopo alcune ricerche in rete, che si trattava di una tunisina che viveva da molti anni a Napoli, e che aveva un passato di violenza e prostituzione.
Questa è la “vera” Fauna, disprezzata dal contesto sociale in cui vive ma a suo modo affascinante. Sembra che il personaggio abbia preso un’altra via…
Quando Sergio ha scritto il monologo non sapeva ancora nulla di lei…. Il suo voleva essere un omaggio a questa creatura la cui vita e la cui mente sembravano essersi incastrate in un groviglio senza uscita. Ha riempito con la fantasia i buchi neri del suo passato e ha ri-creato la sua storia. Fauna, orfana di madre, e unica superstite di un parto gemellare arriva a Napoli dalla Tunisia e rimane vittima del terremoto del 1980, un evento che ha cambiato in modo radicale il volto della città. Da quel momento la mente di Fauna si inceppa e la sua vita va alla deriva. Inizia la vita in strada, in quello spartitraffico che sembra un avanzo dell’inferno, poi i ricoveri psichiatrici… Nel momento in cui ho abbandonato la cronaca per seguire la fantasia dell’autore ho potuto costruire la regia di Fauna. Un lavoro difficile, una sorta di mosaico . E all’inizio avevo sempre l’impressione di inserire il tassello sbagliato, quello che rovinava tutto.
Il tema dei “senzatetto” è estremamente delicato e ha ispirato scrittori e registi… Hai seguito qualcuno di questi richiami per la costruzione del personaggio?
Ovviamente si, ho letto interviste, ho rivisto Senza tetto né legge di Agnès Varda. Ma ho abbandonato ben presto il realismo della cronaca, che per me costituiva un limite. Fauna andava oltre. Oltre una Napoli alla deriva, oltre l’impotenza dei Servizi Sociali, oltre il dramma dell’immigrazione. Potrei dire che il mio primo riferimento è stato Scannasurice di Enzo Moscato, un testo meraviglioso scritto in lingua napoletana, che ha come protagonista un femminiello, una creatura quasi mitologica. Poi…Jean Genet ha ovviamente ispirato il titolo definitivo, Nostra Signora dei Topi. Ma la mia ispirazione più profonda viene dalle letture dell’adolescenza, dai Miserabili di Hugo. Lavoravo su Fauna cercando di evocare Fantine, la donna che lentamente scende tutti i gradini della dignità. Il fiore cresciuto nel fango.
La messinscena è supportata anche dalla presenza di video. Perché questa scelta registica?
Nelle mie ricerche in rete ho trovato un frammento video che la ritraeva. Un’immagine molto forte, che abbiamo voluto nel finale. A quel punto il video è diventato uno strumento narrativo e registico e rappresenta inizialmente la realtà di Fauna… poi lentamente diventa il suo inconscio, l’immagine della sua mente arenata.
Come hai lavorato su questo personaggio per suscitare l’empatia del pubblico?
Non è un compito facile perché il testo è molto complesso; anche se non arriva mai al flusso di coscienza ha dei passaggi temporali ed emotivi continui e molto complessi da seguire. Suscitare l’empatia significa toccare delle “corde” sensibili, dei sentimenti ”semplici”, che tutti possono provare. Ma non basta suscitare la compassione per un essere reietto. Bisogna dare la sensazione che ognuno di noi può essere Fauna. Quindi, nel mio percorso di attrice, il percorso personale, profondo, ho lavorato sul concetto di “perdita”. Una perdita che inizialmente è materiale, ma che diventa sempre più profonda. Finché la mente si “blocca” come la puntina di un disco..e perdiamo il nostro centro.
Grazie Paola per averci trasportati nell’ universo ” magico” di Fauna.