Il giovane regista Youssef Chebbi ama immergere le sue storie e lasciar vivere i suoi personaggi in atmosfere surreali, inquietanti, oscure, poco chiare. Anche il suo secondo lungometraggio, Ashkal, già alla scorsa “Quinzaine des Réalisateurs” di Cannes e realizzato dopo l’ inquietante Black Medusa ( 2021) – il ritratto complesso di Nadia, un’ affascinante serial killer dalla doppia vita – costruisce, tassello dopo tassello, un’indagine accurata su una serie di autoimmolazioni/omicidi che si intrecciano con un messaggio politico rabbioso sulla Tunisia del dopo rivoluzione.
Tale messaggio, pur forte e disperato, rimane, però, sempre sullo sfondo del misterioso susseguirsi di suicidi/omicidi compiuti (sembrerebbe) nel medesimo modo.
La location di riferimento per lo svolgimento dell’indagine è surreale ed inquietante: si tratta dello squallido complesso Gardens of Carthage, un nuovo quartiere in piena costruzione dove enormi edifici moderni si contrappongono a lande sterminate e abbandonate, simbolo architettonico della difficile situazione politica di stallo vissuta dopo la rivoluzione. La desolazione del luogo e lo stato di abbandono degli edifici richiamano thriller fantascientifici e l’ atmosfera triste si sposa perfettamente con l’ intrecciarsi delle indagini e la rabbia che avvolge silenziosamente questo thriller dal sapore evidentemente politico.
Proprio nei Giardini di Cartagine, viene infatti ritrovato il corpo di un custode ucciso e murato in un cantiere edile. L’indagine viene affidata a Batal e Fatma che iniziano a ricostruire il difficile mistero interrogando gli operai dei cantieri vicini, spaesati e poco informati sui possibili dettagli. La polizia, poco interessata, conclude rapidamente il caso bollandolo come suicidio per immolazione, un gesto di disperazione e di rabbia. Pochi giorni dopo, però, nello stesso quartiere, un’adolescente viene trovata morto in mezzo a una landa desolata, anch’essa murata. E non è un caso isolato. Le stesse modalità si ripetono in una sorta di catena inquietante di autoimmolazioni che si traducono nell’ offrire senza resistenza alcuna il proprio corpo alle fiamme.
Il fuoco brucia insistentemente e carbonizza in pochi istanti il corpo delle vittime, lasciando solo le ceneri delle vite umane. Una morte cclatante .
Un gesto di ribellione silenziosa, un richiamo, un urlo disperato?
La rabbia, dapprima non chiara e strisciante, soprattutto nella prima parte del film, diventa evidente e cresce progressivamente con l’ evoluzione delle indagini e con il ripetersi dei casi disperati di autoimmolazione.
Tuttavia, complessivamente, lo svolgimento delle indagini sembra avere la meglio, come si accennava, sull’urgenza del messaggio politico: i due protagonisti Fatma (Fatma Oussaifi) e Batal (Mohamed Houcine Grayaa), proprio come due investigatori del ‘paranormale’ inseguono disperatamente il mistero concentrando l’attenzione del pubblico sui loro personaggi più che sull’ attualità socio-politica.
Fatma, in particolare, sembra la più coinvolta e la più provata dalla situazione e dai suoi sguardi disperati, ripresi nel cuore della notte dall’alto del cupo edificio del complesso di Carthage si segue il corso del misterioso susseguirsi di incendi (che sembrano accendersi dal nulla) e di autoimmolazioni.
Interessante l’ idea di partenza, chiaro l’ intento politico che tiene in piedi la vicenda, incerto e non sempre evidente il suo sviluppo.
Ashkal ha respiro solo in questa atmosfera sospesa e rarefatta e ritrova senso in un finale poco trasparente? Forse, ma qualcosa sembra sfuggire alla nostra percezione sensoriale. Arriva il messaggio, il mistero avvolge lentamente lo spettatore ma non lo coinvolge completamente perché qualche dettaglio rimane sospeso in un uno spazio temporale indefinito….
E no, non ci troviamo nel portale ” magico e irreale” dei Confini della Realtà…