LIBRI: Ninna nanna delle mosche di Alessio Arena

L’amore è uno scatenarsi incontrollabile di forze naturali. Un cataclisma di proporzioni catastrofiche che sgomenta e atterrisce. Invano, nel corso dei secoli, le società hanno cercato forme e riti per regolamentarlo, ma i tentativi per arginarne la portata hanno la stessa patetica patente di inutilità che oggi diamo ai riti sciamanici volti a scongiurare la pioggia o a placare la furia di un vulcano.

Perché, quando un corpo incontra un altro corpo, quando un’anima si discioglie nell’altrui respiro, non c’è diga che tenga alla furia delle acque. Sarebbe come cercare di impedire all’ago della bussola di puntare verso il nord o al sole di non sorgere.

Eppure, anche se atterrito dalla forza di un elemento incontrollabile, l’uomo deve trovarsi un margine di convivenza con l’amore. È come colui che costruisce sul terreno instabile di una zona ad alta frequenza sismica: lo sa che le scosse gli diventeranno compagne d’abitudine, ma deve pur sempre mettere radici nella terra, se vuole dare spazio anche al bisogno di riposo.

Berto e Gregorio si amano. Nel senso più vero del termine. Il loro incontro è così la somma di due necessità. Ha la forza indomita delle cose scritte nelle costellazioni del cielo. E non ci si può fare granché. Sarebbe come chiedere alle api di non andare ai fiori o ai salmoni di non risalire la corrente.
Si incontrano e il loro amplesso è un terremoto.
Metaforico perché è segno di una naturalità indomita che erompe con tutta la sua dolce violenza.
Allegorico perché è il racconto di una condizione esistenziale condivisa da chiunque abbia amato di qualunque amore.
Reale perché, mentre fanno sesso, nascosti allo sguardo del paesino in cui vivono, la terra trema davvero e, nel lettore, tornano alla memoria i passi in cui Ėjzenštejn parlava di Natura non indifferente.

La società (quella Lucana degli anni ’20, periodo di ambientazione del romanzo), di fronte ai due terremoti, risponde coi pochi strumenti di cui si è dotata nel corso dei secoli. Il primo è quello censorio della più recente cultura cattolica (due millenni son poca cosa di fronte all’età della Terra) che tenta di ingabbiare uno dei due amanti in un vincolo matrimoniale santificato dall’abitudine, mentre all’altro è indicata una porta per costruirsi altrove, lontano.
Il secondo è quello più arcaico della magia che c’era prima che il figlio di Dio morisse sulla croce. Un filtro di interpretazione del Reale che non è mai stato veramente cancellato, ma anzi, respira in filigrana, tra le messe cantate la notte di Natale, e resta impresso nelle storie di janare, di stregonerie e di ninne nanne arcane. Un filtro che non condanna l’amore omosessuale, perché figlio esso stesso di una cultura legata al femminile e attaccata alla Terra e al suo mistero.

Confusi tra le due realtà che convivono nella scaramanzia del borgo, i due giovani percepiscono nel loro amore quel germe di peccato che è indicato loro dalla Chiesa, ma continuano a sentirsi reciprocamente attratti, come le rondini lo sono dall’odore di nido al cambio di stagione.

Ragion per cui è giocoforza che uno debba partire per permettere al borgo di continuare a edificare case senza aver paura di prossimi terremoti. Come è giocoforza che l’altro si metta in strada, sulle tracce dell’amante, perché cercarlo equivale a trovarsi.

Il luogo dello scioglimento dell’ordito romanzesco è Il Cile. Terra di arrivo di tanti migranti degli anni ’20. Luogo perso in arcani miti come la natia Lucania, ma dove più forti sono le nostalgie e più catastrofici i terremoti. Una landa distesa di ingiustizie sociali, cantate dall’autore con l’occhio commosso di chi è migrante e sa cosa voglia dire mettere radici lontano da casa.

Alessio Arena firma, con Ninna nanna delle mosche, la sua opera più matura e coinvolgente. Un romanzo piccolo (duecentocinquanta pagine) che è al tempo stesso il punto di arrivo di una carriera e lo slancio proteso verso nuovi possibili orizzonti.
I punti di raccordo con i testi precedenti, si rivelano particolarmente intriganti per comprendere la coerenza intrinseca dell’evoluzione dell’autore.

Da Il mio cuore è un mandarino acerbo, Ninna nanna delle mosche riprende il bisogno di cantare gli ultimi (entrando fisicamente nelle prigioni) e i “diversi”, inquadrandoli, però, nel filtro di tradizioni culturali colte con fine spirito antropologico. In entrambi romanzi, il femminile ha la potenza dell’ostinazione che confina con la follia e che, forse proprio per questo, finisce per confinare con lo sciamanesimo. In entrambi si respira un gusto di contaminazione cinematografica che, nel romanzo precedente, debordava in scelta stilistica, aveva i colori elettrici e ritmi pop memori di certo Almodovar, mentre qui assume vocazioni neorealistiche, soprattutto nella folgorante scelta linguistica che è più vicina, però, a L’infanzia delle cose, romanzo con cui condivide il bisogno di un realismo magico (che potrebbe ricordare Crialese),  nato nell’incontro/scontro tra due diverse culture, in quel caso napo-madrilena.

Con La letteratura Tamil a Napoli e con La notte non vuole venire condivide il tema dell’emigrazione in un processo di autoidentificazione sempre più sincero, in cui l’equilibrio tra le esigenze del cuore e i bisogni razionali della struttura romanzesca, si perfeziona sempre più.

Insomma, Ninna nanna delle mosche conferma le qualità di una delle migliori penne del nostro panorama contemporaneo.


Autore: Alessio Arena
TitoloNinna Nanna delle mosche
Editore: Fandango Libri
Dati: 256 pagine, brossura con alette
Anno: 2021
Prezzo: 17,00 €
Isbn: 9788860441898
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