Dopo Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America, presentato nel corso della 79° edizione del Festival del cinema di Venezia e Friedkin Uncut (2018), Francesco Zippel torna sul Lido con il documentario Volonté – L’uomo dai mille volti– proponendo, a trent’anni dalla sua scomparsa, il ritratto personale umano e artistico di Gianmaria Volontè.
Tracciano il suo percorso alcuni tra i volti più amati del nostro cinema contemporaneo, come Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, che sottolineano quanto il grande attore, scomparso nel dicembre del 1994 durante le riprese de Lo sguardo di Ulisse, sia ancora oggi un riferimento assoluto per gli interpreti contemporanei.
Capace di “rubare l’anima” a ogni personaggio che interpretava (come lo definì Rosi) e pieno di sfaccettature, il profilo che emerge dal lavoro di Zippel è quello di un uomo complesso, enigmatico e affascinante, dotato di un carisma e di uno sguardo capaci di bucare lo schermo assieme a un innegabile talento e a un notevole impegno civile e politico che ha da sempre caratterizzato il suo lavoro artistico e la sua attività politica.
Il documentario, in ottanta minuti, ripercorre le diverse tappe artistiche e biografiche dell’artista intrecciando immagini di repertorio, clip inedite, con interviste a familiari, ad amici e artisti contemporanei: dal suo esordio a teatro nella compagnia itinerante I carri di Tespi, alla consacrazione come attore nel cinema impegnato, che suggella il sodalizio artistico con grandi registi Petri, Rosi, Sergio Leone, fino al ricordo di alcuni curiosi aneddoti familiari e personali.
Dopo l’esordio teatrale e la frequentazione dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’amico a Roma, dove viene riconosciuto come un giovane di grande talento, Gian Maria Volontè nel corso degli anni Sessanta da una prima grande prova di sé sul grande schermo grazie all’interpretazione del trafficante di alcolici Ramón Rojo nel western Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone. E La consacrazione definitiva, con cui l’attore è conosciuto dal grande pubblico, giunge definitivamente con il ruolo di Michelangelo Buonarroti, nello sceneggiato di Silverio Blasi realizzato dalla Rai nel 1964.
Gli anni Settanta però, sono quelli fondamentali per il consolidamento del suo coinvolgimento nel cinema impegnato, anni in cui sceglie sempre ruoli difficili, scomodi, che interpreta con una tecnica impeccabile, basata sullo studio continuativo e senza sosta sui personaggi.
Non a caso, nel 1972 a Cannes vengono premiati ex aequo come migliori film Il caso Mattei (Rosi) e La classe operaia va in paradiso (Petri), di cui Gian Maria è il protagonista assoluto, in due ruoli molto diversi l’uno dall’altro. Le interviste approfondiscono la sua ossessione per lo studio e l’analisi dei ruoli in cui sceglie di cimentarsi. Dietro ai suoi successi c’è una grande immedesimazione nei personaggi e un’attenzione ai testi che lo vedono totalmente immerso nei personaggi, fino quasi a diventare un coautore dei film che interpreta.
In lui, l’attore, o meglio l’interprete, non si separa mai dall’uomo. Nella scelta dei suoi ruoli, infatti, c’è una corrispondenza diretta, non esiste uno stacco, ma un dialogo continuo (sceglie infatti di non interpretare alcuni ruoli, anche se finanziariamente molto remunerativi).
Per Gian Maria calarsi in parti difficili e di un certo calibro rappresenta non solo la possibilità di espressione di un’identità artistica, ma è una vera e propria missione politica e sociale.
Tra pareri critici competenti e interventi a più riprese della figlia Giovanna Gravina Volontè (direttrice della manifestazione “La valigia dell’attore”, che si tiene all’isola di La Maddalena, dove Volonté è sepolto) si arriva a parlare di Todo modo, film considerato molto controverso per l’epoca e che segna l’ultima esperienza del duo Petri-Volontè, iniziato con un’altra trasposizione da Sciascia, A ciascuno il suo.
Il film, una chiara denuncia di un sistema politico corrotto e distruttivo, uscì in coincidenza con la campagna elettorale nel 1976 (anno di crisi per la Dc), suscitando forti polemiche alimentate dall’evidente richiamo agli esponenti della Democrazia Cristiana. “Quando girammo Todo modo, Volonté divenne evanescente, camminava come se fosse sulle nuvole, parlava a bassa voce, non ti guardava negli occhi, tutto preso com’era dal personaggio di Moro. Il suo fu uno sforzo di concentrazione eccezionalmente intenso”.
Immerso talmente tanto nei suoi personaggi da diventarne un clone, il suo studio quasi ossessivo per la preparazione è alimentato anche dalla necessità di recidere il legame originario con il suo mondo familiare. Su tutto, l’ombra ingombrante di un papà difficile, processato e condannato a trent’anni di carcere per aver militato nel fascismo. Crescendo, Volontè capisce quindi di di doversi emancipare dalla sua storia familiare, come osserva Daniele Vicari, fondatore della pubblica “Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté” di Roma.
Insofferente all’autorità, non acchiappabile ed evanescente come il vento (non a caso il documentario torna a più riprese sulla lettura in italiano che Volontè fa di di Blowing in the wind trasmesso sulla Rai in Bianco e nero), amante del mare per l’idea di libertà che sa evocare, e allo stesso tempo ossessivo e quasi maniacale nel suo lavoro, il ritratto che Zippel traccia dell’attore, è una prospettiva completa, totale, capace di attraversare pienamente i suoi trascorsi, le ricche esperienze artistiche e la sua vita personale, affettiva, introspettiva e di “attore militante”
Appassionato, intenso e avvolgente, Volonté – L’uomo dai mille volti stimola il desiderio di saperne ancora di più e di vedere – o rivedere- tutti i film dell’attore, uno dopo l’altro.
Presentato alla Mostra di Venezia 2024 (Venezia Classici – Documentari)
In sala il 23-24-25 settembre
Volonté – L’uomo dai mille volti – Regia: Francesco Zippel; sceneggiatura: Francesco Zippel; fotografia: Marco Tomaselli; montaggio: Michele Castelli; musica: Rodrigo D’Erasmo; produzione: Quoiat Films (Francesco Zippel, Federica Paniccia), Rai Documentari (Fabrizio Zappi, Fabio Mancini), Luce Cinecittà (Enrico Bufalini); paese: Italia; durata: 97 minuti.