L’imbarcata

La mia squadra soffre di una strana malattia. Non asintomatica ma nemmeno che si muore. Per fortuna. Le crisi che provoca, però, lasciano segni dentro i tifosi. E’ una patologia più unica che rara, un disturbo, un sindrome, boh, perché altri casi non se ne ricordano. Comunque, ne parlo perché alla mia squadra voglio bene, e verbalizzare la fragilità è maturo, sano. Non è masochismo se gioco col gioco grande del pallone, se rischio l’insulto del contifoso rigido, che le ferite in piazza mai, che se sei davvero della Roma un pezzo così non lo fai. Rilassati, che magari al prossimo attacco di imbarcata – di questo soffriamo – sarà più facile riprendersi. Perché hai voglia a dire che stavolta è stata l’ultima, che la lezione è assimilata e non capiterà più.
Dopo Bodo pure l’amichevole col Subiaco è allerta gialla. E nemmeno il medicone Mourinho, il dottorone che ne ha viste tante, è riuscito ad evitare che accadesse. Anzi! Che quando la Roma lo prese, scrissi nel messaggio ad un amico: “Spero che almeno con lui si riescano ad evitare le solite imbarcate europee”. Maddeché. Che poi magari fossero solo europee, ste ‘mbarcate: c’è pure il Fiorentina-Roma del 30.01.2019. 7 a 1 da qualche parte nella pancia, che puncica ogni tanto. Aho, ma te ce sguazzi? Ma che gioco è? Faccio memoria, come dire, perché sono sicuro dei miei sentimenti. Perché a Roma-Liverpool c’ero, vicino a mio padre sul divano, che alla zuccata di Pruzzo volò in aria che nemmeno Tamberi a Tokyo, e perchè a Roma – Parma, poco prima che ci salutassimo per sempre, gli presi una Tevere (con fatica) e lo vidi felice nei giorni successivi. Mi disse che se l’era fatta a piedi da Piazzale Clodio allo stadio, e che era stata una cosa meravigliosa.
Perché da ragazzino la Barilla regalava le magliette della Roma con il 5 di Falcao, e non me la levavo mai. Perché vivevo in un palazzo di laziali che quando scendevo le scale sempre “de che squadra sei?” “Roma”. “Man ce voi diventà daa Lazio?”, “No”.
Perché nonna Vera era una grande romanista, e pure zio Fabio, che la seconda domanda ogni volta è “Ma sta roma?” Perché ho visto tante partite allo stadio, la prima un Roma-Catanzaro 2 a 2, e tante in televisione. Tante le ho sentite alla radio e tante volte ho sbirciato nei bar o nelle radioline per capire il risultato.
Perché quando gioca la Roma lo so sempre, e sono felice che stia giocando. E faccio fatica a concentrarmi su altro se c’è lei in campo. E faccio piacevoli ragionamenti intorno a quella partita, anche se la Roma mi fa arrabbiare, ma va bene così, vuol dire che non mi lascia indifferente. E non riesco a spiegarmi bene il tutto, ma concludo che è passione vera, a volte dormiente, ma sempre sentimento autentico, bello, un amico che rispetto, accolgo, ascolto. Provo a raccontare l’imbarcata: la sera di Manchester stavo benissimo. La giornata era filata nell’attesa dolce, elettrica, di quelle che amo. Che mentre fai le cose c’hai dentro una cosina bella che “ah si, la Roma stasera”. Hai il profumo addosso della scintillante serata europea. Elegante, speriamo magica. Magara. Di quelle rare che viverle è un regalo. Che magari va a finire male – Slavia Praga per dire – e lo metti in conto. O forse no. Però, come dire, sono storie positive, che quando ne parli è una pagina bella di storia giallorossa. Dolore sano di centimetri, carambole, di sliding doors che t’ha detto male, che l’impresa l’hai sfiorata, che pure l’arbitro del suo.. Che quando per le scale dello stadio incroci il corpo triste del fratello di fede sportiva, condividi l’impotenza, il dispiacere, il vuoto del momento, ma anche l’orgoglio, l’appartenenza.
All’andata avevamo vinto 2 a 1, e l’Old Trafford faceva paura, che ti bombardano, può darsi, e starai male per novanta minuti. Più che probabile, che c’ho ‘n ansia che me se porta via. Però, aho, te la vai a giocá: il calcio mica è matematica, è pallone rotondo, e poi se Vucinic sta bene, e se Totti, e se Spalletti je la ‘ncarta. Daje regà, che semo comunque la Roma e se all’andata abbiamo vinto, qualcosa vorrà pur dire. Ansia in diminuzione e sintomi zero, fino ad allora. Si, qualche 4 a 1, ma niente che facesse immaginare il primo attacco: 10 aprile 2006, verso le nove di sera. Uno, due, sette gol uno più doloroso dell’altro. A fine primo tempo ho lavato i piatti e quando ho rimesso gli occhi sul televisore erano sei. Ricordo che tiravano da tutte le parti e beccavano sempre l’incrocio. “Basta, con me avete chiuso”. “Ma chi me lo fa fa”, “Ma che squadra siamo?”. “Mercenari”. “Sette gol no”. Una cosa bella è diventata orribile. “Aiutatemi a capire”. Da lì c’è stato un prima e un dopo, un infinito post partita, le domande inutili. L’onta. La macchia, il cugino pronto, rapace, che però stavolta mi è parso mezzo incredulo pure lui. Tentato quasi a non inferire. Relativamente, molto relativamente, empatico. ‘Na pezza, ‘na botta. Che tranvata! Il desiderio, la pretesa, il grido dell’immediato “mai più”.
Invece no. Riecco una serata bella, anni dopo: 21.10.2014. Di quelle europee che respiri aria frizzante e va davvero tutto bene. Che Roma stasera quant’bella, amorevole e complice, con la gente verso lo stadio fiduciosa, che stasera si può sognare. Che lo sappiamo fare bene e ci piace tanto. Che il Bayern è più forte, per carità, mica me lo devi dì te. Certo, più di noi, mica lo nego, ma stasera c’avemo l’Olimpico pieno e già co Roma Roma Roma avemo mezzo vinto. Vero, tra l’altro, perché la Roma è anche ‘sta roba qui. L’amore, i colori, la festa, che chi tifa roma non perde mai. Però a rivederserli davanti, a risentirseli addosso, uno, due, tre, fino a sette, in casa, nel silenzio gelato dello stadio, no, non doveva succedere. Ma che davero? Ma come è possibile? Da figo e da buttare tutto al secchio in nemmeno un paio d’ore. “Stamosene a casa che nun è ppe noi. Ve saluto e me ne vado”. Cattivi pensieri, smarrimento, le vecchie domande lancinanti. La colpa è dell’allenatore, no dei giocatori, tutto parte dalla società. Pure da noi, che co du vittorie li famo sentí  campioni, sti brocchi che vengono qui a fà la bella vita. La piazza,  i locali, le radio, i soldi. Basta, me ne vado quanto tempo perso. Ancora co la Roma? Co tutto quello che c’ho da fa. Stacco. Nero. Dissolvenza a qualche mese dopo. Tu e la Roma ancora là, ad amoreggiare tra bisticci e coccole. Campionato benino, potrebbe andare meglio, bei momenti e stop consueti, Torino tassa fissa, e i dubbi, le solite emozioni autentiche che continui a dargli peso. Poi una sera Barcellona-Roma 6-1. Tosta, brutta, male male che tutto risale su. E te pareva. Ancora che ce casco. Ancora con le mani davanti agli occhi. Ma lo vedi che è lo stesso film? Credulone, ridicolo, disgraziato. Famo ride, anzi piagne. Poi a Barcellona-Roma: 3 a 0 ti commuovo. La storia che cercavi da anni, che emozioni così molti non le hanno mai provate. E allora come la mettiamo? Che oggi sei felice, e ci ripensi al semaforo, e ne parli con l’amico. Io stavo allo stadio, una cosa meravigliosa. Io a casa che manco ho potuto urlare coi bambini piccoli che dormivano. Ho urlato zitto. Ho pianto. Pure io. La magia, la favola, che bello essere della Roma. Si, aspetta ‘n attimo. Che succede? Fermete ‘n po’? Che c’è? No, ma come? 5 a 2? Aia. No te prego. Si ma a Liverpool c’ha detto male, c’era forigioco, e al ritorno un rigore grosso come ‘na casa. Che l’avevi quasi ripresa, e comunque è imbarcata sostenibile, pensa come state, co tutto quello ch’amo passato.
Poi Bodo, in Conference league, mica in Champions, ma lo special One fa solo cose grandi. Che avevamo detto che eravamo favoriti, che la vincevamo a mani basse. ‘Nte dico. Poi basta un buon pareggio col Napoli, con lo stadio pieno, e sei già ripartito con questo gioco che passano gli anni ma non ti stanchi e qualche volta ti arrabbi. E continui a non capire bene perché. E allora provi a scriverne, per ridere, disinnescare un po’ giocare con la storia delle imbarcate giallorosse, perché col calcio si può e si deve fare. Che fa un pochino male, sta’ storia delle imbarcate, ma fa anche sorridere e in fondo somiglia alla vita: che ci stanno cose toste che accadono e non riesci a metterci una pezza. Che vorresti cambiarle, o che non fossero mai avvenute, ma non è possibile. E stai lì fermo, a chiederti perché? E’ la tua storia, che è tosta e bellissima, che è  piena e ricca, e lo è anche per queste  (dis)avventure. Per le imbarcate che arrivano, che ti fanno apprezzare ancora di più i tre a zero al Barcellona.

1 thought on “L’imbarcata

  1. Articolo semplice e coinvolgente. Descrizione semplice ma intenso del tifoso di calcio che si lascia affascinare più da quella bella vittoria che potrà arrivare piuttosto che dalla cocente sconfitta appena passata!!!!
    Sentimento che dovrebbe appartenere ad ogni vero tifoso!!!
    Complimenti 👏👏👏

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