La parola e il corpo: ogni attivista politico ne ha fatto gli strumenti attraverso cui lasciare il proprio segno sulla Storia, indelebili e assoluti e al tempo stesso deperibili e modificabili dalla memoria e dal tempo. L’autoconsunzione per sciopero della fame volontariamente messa in atto in carcere da Bobby Sands, iconico combattente per l’indipendenza dell’ Irlanda del Nord, diventa emblematica di un’ideale, un pensiero, un verbo rivoluzionario incarnato in qualcosa che è tangibile perché si può deteriorare fino a raggiungerne l’osso/essenza.
Let’s kiss – Franco Grillini: storia di una rivoluzione gentile il documentario biografico di Filippo Vendemmiati è costruito proprio nel segno della parola e del corpo dell’attivista e parlamentare per i diritti dei gay, nel loro manifestarsi in un inestricabile connubio di verità e rappresentazione appartenenti a chi sceglie di esporsi nello spazio dell’Agone pubblico. Tra gli anni Ottanta e Novanta, il periodo in cui Grillini è stato più presente all’interno del dibattito politico, culturale e sociale, la moltiplicazione degli schermi dovuta all’ avvento aggressivo delle TV commerciali, aumentava d’altro canto la possibilità di esserci e di sostenere le proprie ragioni, che però non riguardavano solo una sfera personale, ma si proponevano di mettere le fondamenta per una comunità in divenire.
La rivoluzione di Franco Grillini non segue le impronte radicali e martirizzanti di quella di Bobby Sands ma, come sottolinea lo stesso titolo, si impone in maniera gentile, in linea con lo stile garbato e soave del suo più emblematico e riconoscibile portavoce. E il titolo, preceduto da quel Let’s kiss (lasciati baciare) in omaggio forse all’irresistibile danza e all’omonima canzone interpretata dalle gemelle Kessler, raddoppia la sensazione di tenerezza ed empatia suscitata dal volto sornione e dagli occhioni spalancati di Grillini, curiosi senza voracità di quello che continua a girargli intorno. Non c’è rabbia, recriminazione o rimpianto nella sua fisicità logorata dal tumore cronico che lo affligge ormai da anni e che non gli impedisce di continuare a marciare, pur con il deambulatore, per le strade di un gay pride lungo ormai quarant’anni. Filippo Vendemmiati lo segue nello specifico durante gli ultimi due pre-Covid, nel 2019: a Bologna, sotto una gioiosa e straripante pioggia, una sorta di simbolica benedizione erotico/spirituale, per di più dall’ alto; e a New York per il cinquantenario di Stonewall, la rivolta che portò alla formazione dei primi gruppi di liberazione gay , l’ origine identitaria e comune di ciò che è oggi il movimento LGBTQ.
L’ andamento quieto e vagamente sbilenco del buon Franco, sulla carezza del jazz caldo e vitale delle musiche di Paolo Fresu, fa sentire più che l’ardore della fiamma e il vibrare della brace ancora calda che ha lasciato, la friabilità di una terra che ha fatto germogliare i semi di una trasformazione, e ora ne va a contemplare i frutti. E quello che ci viene mostrato è confermato dal racconto che la voce off dello stesso protagonista fa della sua vita da cittadino, militante e politico: con un tono squillante e profondo insieme ci parla di una giovinezza in mezzo alla terra e ai campi, combattuto tra la necessità di lavorare e il desiderio di studiare per emanciparsi, con la necessità di seguire le proprie inclinazioni e pulsioni senza limitarsi solo alla dimensione privata, ma aprendo all’esterno con una risolutezza e una convinzione di essere nel giusto in grado di disinnescare i tabù, i pregiudizi e i meccanismi di difesa dei suoi oppositori.
Come pescando da un grande inconscio collettivo, il giornalista e filmmaker ferrarese ricorre al vasto archivio di partecipazioni e dibattiti televisivi a cui Grillini partecipò, non tanto per contestualizzare storicamente, ma per aggiungere un peso specifico a quell’esperienza, come se fossero un’estensione di ciò che viene detto , il completamento dell’atto di ricordare attraverso le immagini, le quali comunque non sfuggono ad un’identificazione del dove e quando vennero realizzate, segnando le distanze di tra ieri e oggi: e non si tratta solo di una questione di differenza di formato tra analogico e digitale, ma anche di un gap di generazioni che Grillini, orgogliosamente, ricorda di aver riempito con cambiamenti e conquiste.
Un tragitto a spirale come la scala che conduce in cima alla terrazza del Cassero, il circolo di cultura omossessuale di Bologna, quando il Grillini del presente, nel più riuscito e toccante momento di cinema del documentario, passa dal ricordo di un muro costruito dai bigotti e dagli intolleranti per impedire agli attivisti di entrare, ad una porta spalanca sul tetto di un mondo, in cui le istituzioni, quanto meno quelle cittadine, e la società civile potevano ancora ballare un valzer insieme durante l’ inaugurazione di un luogo di aggregazione e progettualità (e ancora continuano a farlo, seppur ormai in una foto in bianco e nero).
Certo, quando si tocca il punto nevralgico della pandemia di AIDS e dei corpi che ne hanno subito l’implacabile devastazione di lividi fisici e psicologici, ci sarebbe piaciuto che la commozione pacata fosse supportata da un’immersione verticale e vorticosa dentro quella tragedia intrisa di pietas e scoramento, ma gli sguardi paralleli e orizzontali di protagonista e regista vanno a discapito di uno solo sguardo verticale e simbiotico, meno “corretto” forse ma più aperto ad ambiguità e contraddizioni sotto pelle, e rimanere un po’ in superficie e disperdere una buona parte del potenziale drammatico dentro una linearità di racconto né virtuosa né sublime, appare di conseguenza limitante e distaccato.
Magari il problema è che siamo abituati alla bramosia dell’effetto e di una risposta più violenta e viscerale di fronte alla malattia e alla morte, come le sacche di sangue tirate dai ragazzi di Act-up Parigi contro le multinazionali farmaceutiche in 120 battiti al minuto di Robin Campillo; ma si sente in più momenti la necessità di un affondo di lama , di uno scapigliamento più selvaggio sopra la testa di una figura che rischia di rimanere prigioniera di se stessa, sopraffatta da una patina di “simpatia” che appiana e rassicura, invece di produrre una tensione anarchica e riottosa verso gli schemi di una società prevenuta e discriminante. Come se l’attitudine e la pratica alla gentilezza rischiassero di portare Franco Grillini a bloccarsi sulla soglia di un Amarcord consolatorio e stantio, ripetuto in loop sopra la parete virtuale di un immaginario ai limiti dell’autoindulgenza, almeno dal punto di vista espressivo. Questo non esclude comunque che l’uomo Franco, spogliato dalla sua aura di santificazione borghese, ci evocherà sempre in ogni gesto e sussulto della sua tenace e gentile battaglia il più meraviglioso e concreto auspicio profetizzato da Marx : “Apparirà chiaro come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza per possederla realmente” …
In sala il 31 gennaio, 1-2 febbraio 2022
Let’s kiss – Franco Grillini: storia di una rivoluzione gentile; Regia: Filippo Vendemmiati; sceneggiatura: Filippo Vendemmiati e Donata Zanotti ; fotografia: Carlotta Cicci, Simona Marchi, Stefano Massari; montaggio: Stefano Massari,Simona Marchi; produzione: Paolo Rossi Pisu per Genoma Films e Cinzia Salvioli per Albedo Productions origine: Italia, 2021; durata: 93’; distribuzione: Genoma Films.