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Voto
Esasperato fino al collasso sotto una struttura iperstratificata di segni e risonanze, il caravanserraglio di personaggi e situazioni di Bullet Train, sotto il nume tutelare di Quentin Tarantino, corre su è giù per i vagoni di un treno sparato ad alta velocità tra la notte e l’alba di una Tokyo mai cosi iperrealista e alienante paesaggio da videogame. Basterebbero queste poche righe per riassumere il senso estetico e narrativo dell’ultimo film di David Leitch che, dopo Atomica Bionda e Deadpool 2, continua a rivisitare l’action movie con venature pulp, ammiccamenti citazionisti e un tono più ironico che grottesco nello stemperare l’eccesso di carneficine e catastrofi.
In anteprima al Festival del Cinema di Locarno, il film dalla durata estenuante sulla carta (127 minuti), ma dal ritmo frenetico e implacabile, gioca fin dall’incipit la sua carta vincente: il carisma maturo e scanzonato di Brad Pitt, rivelato e affinato sempre con Tarantino in Bastardi senza gloria e C’era una volta a Hollywood, ma anche con i Coen di Burn after reading, dove destrutturava e umanizzava il suo status di star e di eroe .
Qui interpreta il faccendiere di una non meglio precisata associazione di killers professionisti, coinvolto nel recupero di una valigetta piena di soldi, (MacGuffin ormai topico del cinema d’azione e che rimanda immediatamente a quella di Pulp fiction, dal contenuto in quel caso mai svelato ma solo riflesso nello stupore attonito dei personaggi che se la passavano di mano e di sguardo) e costretto a destreggiarsi nello spazio ristretto del suddetto treno tra omicidi, inganni incrociati, faide familiari, regolamenti di conti. E proprio Brad convince e diverte quando usa la sua prorompente fisicità come se la grazia coreografica e al tempo stesso poeticamente catastrofista di Jacques Tati avesse impattato con la dinamica adrenalinica dei corpi snodati di un Jean Claude Van Damme o di un Jackie Chan. Risultano un po’ più pedanti e troppo insistite invece le continue battute sul destino e la sfortuna da parodia esistenzialista o, più pretenziosamente, da spirito da storiella sufi che Leitch, non proprio abile e raffinato come Tarantino, fa pronunciare al suo protagonista nella dialettica con gli interlocutori , antagonisti o complici che siano, anche loro un po’ schiacciati dalla retorica del dialogo ora sentenzioso ora nonsense. Il corpo cinema, ancora cosi tonico, in forma e malleabile, di Pitt si fa in questo modo la summa e la sintesi dei pregi e dei difetti di una pellicola che contiene comunque molto altro, a cominciare da un gusto talvolta compiaciuto per l’immagine iperbolica ed eccedente.
Se l’escamotage più ripetuto e reiterato durante questa stagione cinematografia è stato quello del multiverso , Bullet Train non si serve di una dimensione parallela per generare o talvolta duplicare gli eventi in una direzione o nell’altra (oltretutto i binari seguono per forza di cose un’orizzontalità ineluttabile). L’idea del treno viene mostrata già di per sé come un universo a parte all’interno del quale sono possibili una concezione e di conseguenza una rappresentazione alterate del tempo e dello spazio, con la sospensione del principio di incredulità attraverso il programmatico stravolgimento di ogni verosimiglianza (in vena di esempi di opere più radicali e sperimentali, ma totalmente anti spettacolari, ci sarebbe un altro treno da citare, il Trans–Europa–Express di Alain Robbert-Grillet). Ecco così apparire una serie di figure, presentate con tanto di sottopancia che annuncia per ognuna il nome e il ruolo, scaturite, sembra, dalla rielaborazione e contaminazione ipertrofica di un altro immaginario d’autore, quello tarantiniano: la coppia interraziale di assassini alla stregua del duo John Travolta/Samuel Jackson del menzionato Pulp fiction, ma soprattutto Kill Bill, del quale Bullet Train potrebbe essere una versione ridotta all’interno di un simbolico multiverso meta della storia del cinema, e non solo per l’ambientazione giapponese. La morte bianca e i suo scagnozzi pseudo samurai mascherati ricordano O-Ren ishii e l’esercito degli 88 folli, la ragazzina vestita da liceale che sembra appena uscita da un manga ed è in grado di fronteggiare e manipolare gli uomini è la versione, più strategica e lucida, della violenta e sanguinaria Gogo Yubari. Lo stesso personaggio di Jay Wang, boss della Morte bianca, è interpretato da Michael Shannon con un look e un’indole molti simili a quelli di Bill/David Carradine, mentre la spietata e mercenaria assassina Hornet, con serpente e iniezione letale al seguito, è un epigona di Elle Driver/Daryl Hannah, anche nel cruento finale da contrappasso di cui è vittima.

Un’ affinità così profonda e speculare risuona anche nelle dinamiche di stoicismo, sacrificio e rivalsa che sono alla base del movimento compiuto da ciascun personaggio verso l’altro, con al centro il recupero di una genitorialità non risolta (in Tarantino una madre/sposa, in Bullet train un padre vedovo). Al buon Brad Pitt il compito di condurre, anche letteralmente nella scena più mozzafiato del film, il treno a una destinazione che non può che essere una ridanciana e quasi liberatoria distruzione, il crollo grazie all’ennesimo paradosso di tutta un ‘ambiziosa e dispendiosa impalcatura per un modo di fare cinema che vuole essere artigianale ed elaborato, provocatorio e rassicurante, materico e astratto nelle coreografie di combattimenti che infrangono la forza di gravità. Tale conduzione è disinvolta a tratti ma alla lunga risulta macchinosa, ripetitiva, stordente come l’uso e abuso degli effetti sonori e dei rallenti.
Chissà se Leitch, ma è solo una suggestione, non abbia voluto raggiungere il grado zero nella messa in scena di questo codificato genere , per poi ripartire da una nuova scrittura filmica, senza vezzi o compiacimenti. Fosse vero, ci sarebbe da ridere di fronte a certi fondali di cartapesta che fungono da scenografie e che non aprono a una visione inaspettata e spiazzante, ma fanno venire la voglia di premere meccanicamente il tasto restart per far partire un’altra corsa del treno proiettile, speriamo non più irrigidito in un orizzonte picaresco cosi tanto riconoscibile e cosi poco lungimirante.
In anteprima al Festival di Locarno
In sala dal 25 agosto
Bullet train – Regia: David Leitch; sceneggiatura: Zak Olkewicz; fotografia: Jonathan Sela; montaggio: Elizabeth Ronaldsdottir; musica: Dominic Lewis; interpreti: Brad Pitt, Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Brian Tyree Henry,Andrew Koji,Hiroyuki Sanada, Michael Shannon, Benito Antonio Martínez Ocasio, Sandra Bullock; produzione: Kelly McCormick, David Leitch, Antoine Fuqua; origine: Usa, 2022; durata: 127; distribuzione: Warner Bros. Entertaiment Italia.
