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Voto
Se ho contato bene, Wikipedia elenca ben 164 film alla voce “List of Basketball films”, il primo era del 1927 ed era muto, il 2013 è l’anno dei record perché di film ne sono usciti ben 10, fra film di finzione e documentari. Forse, anzi di sicuro, non sono la persona giusta a recensire questo film perché Champions, il film di Bobby Farrelly (è il fratello minore della premiata ditta Farrelly Brothers che con questo film alla non giovanissima età di 65 anni gira il suo primo film senza il fratello) è il primo film sul basket che mi accade di vedere, non ho visto manco Space Jam. Non sono pertanto neanche in grado di dire quali siano i topoi del basketball film e in che misura Champions li assecondi oppure li smentisca.
Mi capita di guardare partite di basket quando in TV non c’è calcio oppure tennis, o magari mi soffermo su qualche partita dei mondiali o delle Olimpiadi – e quando a un certo punto del film si spiega il concetto di “pick and roll” ho dovuto a mia volta consultare di che cosa si tratta. Fine delle excusationes non petitae.

La storia è presto raccontata: Marcus è un allenatore in seconda di una squadra di basket di una lega minore con sede a Des Moines, capitale dello Iowa (non esattamente uno di quei posti dove si vorrebbe finire i propri giorni, media delle temperature bassa bassa), ma che a 60 anni suonati non ha smesso di illudersi che un giorno, seppur in un ruolo subordinato, riuscirà ad approdare alla tanto agognata NBA.
La frustrazione accumulata nel tempo lo rende aggressivo, diventa oppositivo e manesco col suo capo, viene licenziato e per soprammercato con un tasso alcolemico piuttosto altino va a sbattere contro una volante della polizia locale. Un anno e mezzo in galera o 90 giorni di servizi sociali, guarda caso ad allenare una squadra di basket di disabili? Così gli propone la giudice, non proprio una simpaticona.
La scelta è ovvia. E ovvio, anzi decisamente scontato, sarà tutto quello che da qui in avanti accadrà: la squadra è composta di disiecta membra, si tratta per lo più di simpaticissimi ragazzi (ma anche ragazze) con sindrome down, si tratta, per l’appunto, di far diventare tutti costoro una squadra, di ascoltarli e valorizzarli, di credere in loro e fare in modo che, a loro volta, i ragazzi sviluppino fiducia nel coach. Apprendiamo un po’ meglio le storie individuali di qualcuno di loro, c’è di mezzo anche una non particolarmente memorabile storia di sesso/amore/simpatia con la protettiva sorella di Johnny, il disabile meglio contornato del gruppo in una sceneggiatura che non rimarrà particolarmente impressa per originalità.
E c’è una conclusione, anch’essa alquanto prevedibile: crescono i ragazzi ma cresce anche il coach che sembra finalmente prendere commiato dalle proprie infantili ambizioni di carriera ormai fuori tempo massimo. I dialoghi non resteranno a lungo in mente, con quel loro pullulare del termine di cui al titolo e tutti quegli aggettivi che rappresentano la quintessenza di un americanismo visto e rivisto, si pensi solo all’occorrenza di “brave”, notoriamente celebrato fin dal verso finale di ciascuna strofa di Star Spangled Banner (“O’er the land of the free and the home of the brave”).
Siamo insomma in presenza di un feel good movie un po’ banalotto con un uso della musica extradiegetica pop in funzione di riempitivo e Woody Harrelson, come unica star conosciuta, di cui faremo fatica a ricordare espressioni particolarmente significative.
In sala dal 31 maggio
Champions; regia: Bobby Farrelly; sceneggiatura: Mark Rizzo; fotografia: C. Kim Miles; montaggio: Julie Garcés; interpreti: Woody Harrelson (Marcus), Kaitlin Olson (Alex), Matt Cook (Sonny), Ernie Hudson (Perretti); produzione: Gold Circle Entertainment; origine: USA 2023; durata: 124 minuti; distribuzione: Universal Pictures.
