Olga di Elie Grappe

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Nell’autunno 2013, il governo ucraino guidato da Viktor Janukovyč sospende le trattative per la conclusione di un accordo di libero scambio fra Ucraina e Unione Europea. A novembre, la piazza centrale di Kiev, detta anche Majdan Nezaležnosti (letteralmente, Piazza dell’Indipendenza), s’incendia: la protesta, come ogni protesta dei nostri tempi, ha origine su internet, e reca la parola d’ordine #euromaidan – euro come Europa, maidan come piazza. Kiev slitta lentamente al centro del nostro mondo, l’effetto-domino nato dalla Rivoluzione Arancione del 2004 si riversa sull’Occidente con una furia e un impeto per molti versi inaspettati. Ciò che dapprima stava ai margini, silente, reclama il proprio diritto alla libera espressione, ovvero: ad esistere indipendentemente dalla volontà di un “padre”, ch’esso si trovi ad est come ad ovest. Ma il film di Elie Grappe, giovane regista francese qui giunta al suo primo lungometraggio – presentato alla “Semaine de la Critique” a Cannes 2021, dove ha vinto il Premio SACD – non nasce fra le barricate, bensì sotto le travi amiche di una palestra per ginnaste.

Olga (Anastasiia Budiashkina) è un’atleta ucraina di appena quindici anni. La prima adolescenza è l’età delle grandi aspirazioni, dei sogni inseguiti con l’ingenuità visionaria e un po’ ottusa di chi vuole vincere ad ogni costo. Una splendida età, i quindici anni: il corpo è al pieno delle sue potenzialità, lo spirito selvaggio e idealista al punto giusto, la mente ha raggiunto la maturità necessaria per tracciare le coordinate del proprio futuro. Olga, dice la madre reporter, è una guerriera: a quindici anni, lo siamo tutti. Forse Olga un po’ di più – forse. Ma al film di Elie Grappe le travi amiche di una palestra per ginnaste non bastano, e nel giro di poche inquadrature la nostra prospettiva cambia: Olga viene coinvolta in un incidente d’auto e deve lasciare la vita di sempre, partire per una terra lontana, affrontare la disgregazione di un universo che, durante l’infanzia, pareva quieto e stabile. La ragazza si ritrova in Svizzera, fra persone sconosciute, a migliaia di chilometri da casa. La guerra si combatte altrove, non rimane che scrollare ossessivamente lo schermo di uno smartphone a caccia di aggiornamenti. In un certo senso, Olga è come noi.

Da Kiev, dunque, alle distese innevate delle alpi svizzere: la cinepresa non rimane ferma un secondo, viaggia per ambasciate alla ricerca di una cittadinanza legittima – non solo dal punto di vista burocratico, ma anche e soprattutto dal punto di vista emotivo. Olga fatica ad ambientarsi fra le nuove compagne: deve parlare un idioma che non è il suo, trovare un posto nel posto di altri, affidarsi a figure genitoriali aliene e, per molti versi, ostili. Fra le parallele, Olga si sente a casa, come se lo spazio apertosi fra il momento della rincorsa e quello del salto fosse l’unica vera dimora in cui sia concesso restare. Librarsi nell’aria, spiccare il volo pur mantenendo il pieno controllo su sé stessi, sui propri arti, sui muscoli tesi, sulle braccia che sanno dove e quando aggrapparsi perché il movimento sia più fluido, più solido, più visibile: qui e solo qui Olga si sente al sicuro.

Nel rincorrere quell’istante di assoluta libertà, la ragazza lascia madre e amici a Kiev ed entra nella nazionale svizzera, trionfando ai campionati europei. La storia, nel frattempo, scorre su binari paralleli: in Ucraina brulicano le rivolte, l’annata 2013-2014 è decisiva per entrambe – per la protagonista, così come per Piazza dell’Indipendenza, luogo amato e ripudiato al contempo. Il padre di Olga non c’è più, la sua presenza è ridotta ad una serie di fotografie in bianco e nero su cui appare il volto di un estraneo. Nel frattempo, in Ucraina cadono le statue e i vessilli dei decenni che furono, fra lo sgomento di alcuni e l’euforia di altri. “Lo sport non è politica” dichiara l’ex istruttore Vassily (Aleksandr Mavrits) trasferitosi alla squadra russa poco dopo l’esplodere dei tumulti. Olga non lo perdona, così come non perdona sé stessa per essere, in fondo, d’accordo con lui. E infatti, la giovane eccelle, e vince, vince, vince: sulle avversarie, sulle atlete più grandi, sul conflitto che s’insinua fra un allenamento e l’altro, sul viso tumefatto della madre reduce da uno scontro con la polizia.

Ma il corpo umano ha dei limiti. Ad esempio, una caviglia spezzata. “Frattura da stress”, dice la dottoressa, e Olga intanto pensa che non potrà più volare – cioè, fuggire (sempre che si trattasse di fuga e non di semplice sopravvivenza). Negli ultimi trenta minuti, la pellicola viene sottoposta ad un vertiginoso rewind: rivediamo le travi della palestra, le distese innevate dell’inverno svizzero, le aule in cui si studia il francese, la videochiamata di un’amica che parla di violenza e di terrore. Olga non vince più. Elie Grappe svolta di nuovo in direzione Kiev, congiungendo le parallele su cui la giovane ginnasta tenta di ritrovare il baricentro.

L’epilogo giunge all’improvviso, proprio come la Rivoluzione del 2013 (o la guerra del 2022): “mi chiedo come faremo ad affrontare tutto questo” pensa Olga mentre attraversa la Capitale in motorino. La risposta arriva, come sempre, “in volo” – per essere più precisi, tendendo le punte, inarcando la schiena, spingendo sui talloni… e librandosi in aria.

In sala dal 8 giugno 2023


Olga Regia: Elie Grappe; sceneggiatura: Elie Grappe, Raphaëlle Desplechin; fotografia: Lucie Baudinaud; montaggio: Suzana Pedro; interpreti: Anastasiia Budiashkina (Olga), Sabrina Rubtsova (Sasha), Caterina Barloggio (Steffi), Théa Brogli (Zoé), Jérôme Martin (Adrien), Tanya Mikhina (Ilona Budishkina), Alicia Onomor (Juliette), Lou Steffen (Andrea), Aleksandr Mavrits (Vassily), Philippe Schuler (Erich Fromm); produzione: Point Prod in coproduzione con Cinema Defacto e Toy Cinema; origine: Francia/ Ucraina/ Svizzera, 2021; durata: 85 minuti; distribuzione: Wanted Cinema.

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