Dopo il successo di film quali Regno d’inverno (2014) – per cui ha vinto la Palma d’oro – e L’albero dei frutti selvatici (2018), il regista turco Nuri Bilge Ceylan ha presentato sempre a Cannes l’anno scorso il suo nono film: Racconto di due stagioni, che finalmente esce ora nelle sale italiane. Come aveva fatto nei precedenti, anche in questo lungometraggio, Ceylan prosegue una importante riflessione sulla morale umana. La sua analisi del carattere di un individuo con le sue varie sfaccettature, dei segni lasciati dall’esperienza o dalla cultura e l’influenza di un luogo sul comportamento umano sono la base per degli intrecci narrativi stratificati e complessi – che a volte arrivano a trasgredire palesemente i principi della messa in scena – e che, come in quest’ultimo lavoro, accompagnano il pubblico a trarre considerazioni personali sull’esistenza.
Siamo in pieno inverno in un paesino dell’Anatolia orientale – una regione che il regista ha ripetutamente mostrato nel suo cinema, mettendo in rapporto con grande abilità e in una serrata dialettica filmica la natura dei luoghi e l’animo dei suoi abitanti –. Originario di Istanbul, il protagonista Samet (Deniz Celiloglu) avanza lentamente in un paesaggio completamente imbiancato dalla neve. Sono finite le vacanze scolastiche e sta tornando nella scuola di periferia dove lavora come insegnante d’arte. Dopo ormai quattro anni passati in una sorta di confino in quell’angolo di mondo sperduto ai margini del progresso, non solo ha perso la speranza di andarsene, ma ha sviluppato un pericoloso disinteresse per tutto e tutti, compresi gli abitanti del villaggio. E ancora peggio, la sua mancanza di empatia, la sua alterigia, sembrano condizionare negativamente il suo lavoro e il rapporto con i suoi alunni. Nulla esiste se non il suo grande desiderio di fuggire e di ritornare nella capitale.

La sua indifferenza viene messa a dura prova quando è chiamato a rispondere di un’accusa per molestie nei riguardi della sua alunna preferita Sevim (Ece Bagci). Allo stesso tempo, si lascia convincere da un vicino di casa a fare la conoscenza di Nuray (Merve Dizdar), insegnante di inglese di una scuola vicina. Svogliatamente inizia a frequentarla, facendosi però accompagnare dal suo collega, e unico amico, Kenan (Musab Ekici). Samet, chiuso nel suo individualismo, rimane inizialmente estraneo alla conversazione, finché non si accorge – con suo grande disappunto – dell’interesse reciproco fra i due. Ecco che allora il suo atteggiamento comincia a cambiare, e da arrogante che era, diventa prima ambiguo, poi addirittura meschino.
Nonostante il disprezzo di Samet per chi lo circonda, non possiamo però definirlo un vero misantropo, anche perché, pur indifferente al mondo che lo circonda, vi si finge interessato; ovviamente per la sola ragione che è quello che ci si aspetterebbe da lui. Per lo stesso motivo il suo preoccuparsi per i cani randagi, che bazzicano attorno alla scuola, si risolve in un nulla di fatto; allo stesso modo è incapace di insegnare con un minimo di entusiasmo e, agli alunni venuti nel suo ufficio per la distribuzione di giacche calde per l’inverno, non solo non offre il benché minimo aiuto, ma nemmeno alza lo sguardo per vedere chi siano. La mdp riprende il loro imbarazzato sostare nell’aula, in attesa di un gesto, di un cenno, che si lascia a lungo attendere. Per di più da vero codardo, si vendica della piccola Sevim, mettendola in castigo di fronte a tutta la classe, rifiutandosi così di biasimare sé stesso per averne incoraggiato l’affetto con piccoli regali. Spudoratamente, nella lunga discussione con risvolti politici intrattenuta insieme a Nuray (momento nel quale, come in Regno d’inverno, l’impulso retorico sembra prendere il sopravvento) Samet rivendica suo diritto di individuo di poter scegliere l’egoismo come forma di esistenza. Ma è soprattutto nel suo rapporto con l’amico Kenan, a cui slealmente nasconde l’invito a cena di Nuray, che si rivela la sua ambiguità e grettezza d’animo. Insomma, la regia di Nuri Bilge Ceylan fa di tutto per renderci odioso il suo protagonista. E ci riesce con grande maestria.

L’unico modo che Samet ha per osservare e riuscire a capire veramente la gente della regione rurale – e pure di salvarsi agli occhi dello spettatore! – è di scattare loro fotografie. Sembrerebbe che, attraverso il filtro della lente della macchina fotografica, pastori e bambini, acquistino agli occhi del fotografo quella dignità che la realtà, e il protagonista stesso, vorrebbero negargli. Allora, la narrazione si interrompe, per lasciar spazio sul grande schermo a dei ritratti a figura intera, che risaltano su degli ampi sfondi di paesaggio: sono magnifiche fotografie che lo stesso Nuri Bilge Ceylan, già fotografo rinomato, ha scattato.
Il regista turco ci ha abituati alla lunghezza dei suoi film. E i 197 minuti di Racconto di due stagioni, certo, non sono pochi. Servono tutti per indagare nell‘animo del suo protagonista, per capire perché quell‘erba secca – il titolo internazionale About Dry Grasses introduce meglio alle tematiche del film – che calpestiamo senza accorgercene, non debba essere disprezzata, ma anzi vada rivalutata per quello che è. Da vedere tutto. Fino alla fine.
In sala dal 20 giugno
Racconto di due stagioni (Kuru Otlaar Üstüne) – Regia: Nuri Bilge Ceylan; sceneggiatura: Nuri Bilge Ceylan, Ebru Ceylan, Akin Aksu; fotografia: Cevahir Sahin, Kürsat Üresin; montaggio: Oguz Atabas, Nuri Bilge Ceylan; interpreti: Merve Dizdar, Deniz Celiloglu, Musab Ekici; produzione: NBC Film Memento Films Production, Komplizen Film, ARTE, Arte France Cinéma, Film i Väst, Turkish Radio & Television; origine: Turchia/ Francia/ Germania/ Svezia, 2023; durata: 197 minuti; distribuzione: Movies Inspired.
