Blue Lock Il Film – Episodio Nagi di Ishikawa Shunsuke

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Rispetto alla nostra percezione del più nazional popolare degli sport, il calcio, i giapponesi hanno sempre operato una sorta di fantasmagorica trasposizione nella quali i calciatori sono dei super uomini in grado di compiere imprese sovraumane e il campo di gioco è una sorta di sterminato pianeta verde da percorrere in lungo e in largo, con tanto di forma quasi sferica fatta di curve e collinette; caratteristiche queste  contenute ad esempio in Holly e Benji,  celebre anime degli anni ’80 che cha contribuito a formare gran parte di un esaltante immaginario alternativo (almeno rispetto alle partite reali)  su questo gioco così amato e praticato nel nostro paese. Eppure gli spettatori intergenerazionali resteranno forse spiazzati da Blue Lock il Film-Episodio Nagi di Ishikawa Shunsuke, trasposizione cinematografica di un cosi detto spokon manga, ovvero  a soggetto sportivo, di Kaneshiro Muneyuki, e la maggiore sorpresa potrebbe essere data dall’ambientazione, almeno per chi non ha letto il manga originale: le estenuanti e pirotecniche sfide calcistiche tra talentuosi ragazzini disposti a tutto pur di essere selezionati per la nazionale giapponese under 20, si disputano infatti all’interno di un asettico e moderno edificio, Il Blue Lock appunto, e non su un arioso e illimitato campo all’aria aperta. Una rappresentazione geometrica e asettica nel design funzionale ad esprimere lo status di repressione e stress psicofisico a cui sono sottoposti gli atleti cadetti sotto l’egida di una società iper controllante ed iper performativa, anche se in questo caso si tratta più di suscitare un impatto visivo e di creare una situazione di tensione estrema e adrenalinica per giustificare le imprese dei campioni in progress, che di suggerire una pur sottile critica all’ansia di vittoria e di affermazione, dove talvolta l’aspetto individuale prevale su quello di gruppo o amicale (lo scopo per ciascun giocatore è appunto essere selezionato per la nazionale).

Ma a parte questa cornice, a tratti piuttosto inquietante, emergono dei personaggi assai interessanti e complessi, che introducono delle questioni ancor più spiazzanti in rapporto al ricordo infantile e tenero dell’anime degli anni ’80, dove i buoni sentimenti di lealtà e fiducia, a dir poco vocazionali e sacrificali, prevalevano rispetto all’ambiguità e alle contraddizioni insite nell’agonismo . È dunque distaccato e disincantato il protagonista Nagi, uno studente liceale che sembra osservare la vita dall’esterno, senza parteciparvi veramente. In maniera del tutto casuale si accorge del suo naturale talento atletico il compagno di scuola Mikage Reo, che invece ha una sentita  passione per il calcio e decide di coinvolgere nell’avventura sportiva il riottoso e sfuggente amico. Strutturato come due episodi di una possibile nuova serie spin off di un altro manga di Kaneshiro, dal quale è già stata fatta una serie anime nel 2022, questo racconto costruisce in parallelo le massacranti gare selettive tra squadre che permettono ai selezionatori, occhi che girano intorno alla palazzina blu e ne registrano ogni azione, gesto, scatto e goccia di sudore, di individuare i più dotati campioni per comporre la rosa finale, e lo scorrere parallelo del flusso di coscienza in particolare di Nagi; proprio lui, cosi schivo e apparentemente spento, si trova catapultato dentro un frullatore di corpi ed emozioni inizialmente trasportato da un istrionico dono che lo contraddistingue aldilà della sua volontà e che la voce off racconta in crescendo come una presa di consapevolezza nell’incontro/scontro con gli altri giocatori, agguerriti con molta enfasi come vuole la cultura nipponica  – una caratteristica probabilmente appiattita o contenuta dal flautato doppiaggio italiano rispetto ai netti suoni originali della lingua giapponese – per la quale la vittoria o la sconfitta non sono esclusivamente perimetrali a una partita, ma espressione di un modo di stare al mondo, del farcela a ogni costo, superando (questo si spera solo nei cartoni) i propri limiti fisici, emotivi, intellettuali. Per questo  la voce interiore di Nagi crea, soprattutto nella prima parte, un contrappunto fecondo con le animazioni iper cinetiche di tiri che disegnano letteralmente delle traiettorie e spostano di fatto la pur asfittica e pressante aria della palestra al coperto.

 

 

 

 

 

Il vederlo osservare e studiare i suoi avversari con un misto di auto ed etero analisi interrogativa e di ammirato stupore, suggerisce una lettura che si sposta dall’iperrealismo al surrealismo, dalla dimensione aggressiva e dinamica della competizione a quella onirica ed esistenziale e sembra contenerne quasi una critica, la messa in discussione, e di conseguenza in gioco, letteralmente e metaforicamente, di un sistema che ha prodotto uno stato di dissociazione tra identità e ruolo, tra indolenza e talento. Certo, questa intuizione rimane sottotraccia per cui quello a cui punta la narrazione è accompagnare Nagi in un risveglio dai tratti matrixiani verso l’ adesione entusiastica e cosciente al gioco del pallone davvero inteso come rotondo oggetto proiettivo di aspirazioni sopite e rimosse che devono, perché questo è l’obiettivo, essere risvegliate e celebrate nella ritualità del trionfo, passando attraverso l’espiazione del farsi battere, del cadere e rialzarsi. “Perché ho perso?”, è la domanda chiave che Nagi si pone dopo una partita persa, nonostante abbia cambiato squadra e in qualche modo tradito il compagno Mikage, proprio dopo una precedente sconfitta subita nel suo team. Ben presto i dubbi esistenziali e filosofici vengono però accantonati per l’insorgere di una muscolare necessità di affermazione, che salva in corner il tema dell’amicizia (rimane intatta la possibilità per entrambi, Nagi e Mikage, di entrare nella prima squadra), ma tira fuori un sentimento individualistico che supporta e giustifica la piattezza, e a tratti la noia, della serialità, con un continuo batti e ribatti all’ultimo sangue e al “non è ancora finita” al quale si può concedere il sorriso di un ricordo bambinesco, di un pomeriggio trascorso davanti alla tv dei ragazzi. La dimensione cinema valorizza comunque i particolari e l’ambientazione molto circoscritta, dove non c’è appunto la dilatazione spazio-temporale che espandeva le azioni di gioco nel succitato Holly e Benji – chiude su piani ravvicinati l’animazione dei caratteri, concitando la durata delle partite in sé e facendola rimbalzare, con un respiro più lungo, sui pensieri e le considerazioni di Nagi.

Alla fine rimane la sensazione che il premio in palio potrebbe essere un altro, evadere dalla gabbia di un immaginario reiterato e standardizzato, tornare alla luce del sole, riappropriarsi di quell’attimo di indecisione, che si intravede pure nello sguardo di Nagi: un adolescente non deve diventare per forza un androide programmato a stravincere, tra statistiche e medie calcolate, ma  può essere anche solo un ragazzino a cui piace dare calci ad una palla.

In sala dal 17 luglio


Blue Lock il Film – Episode Nagi  (Gekijô-ban Blue Lock -Episode Nagi) – Regia: Ishikawa Shunsuke; sceneggiatura: Kishimoto Taku  tratto dal manga di Kaneshiro Muneyuki; fotografia: Asagi Yasuhiro ; musica: Murayama Jun; produzione: Arisawa Ryoya, Sato Nayoa, Yanai Hiroshi; durata: 91 minuti; origine: Giappone, 2024; distribuzione: Sony Pictures Italia, Crunchyroll.

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