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Voto
La storia narrata in The Seed of the Sacred Fig, il nuovo film del regista iraniano Mohammad Rasoulof (Il male non esiste, Orso d’oro a Berlino nel 2020) si concentra sulle vicende di una famiglia iraniana che vive sulla propria pelle i tragici e recenti eventi che hanno travolto l’Iran dopo la morte violenta di Mahsa Amiri. Dopo lunghi anni di devoto lavoro la carriera di Iman (Missagh Zareh) riesce ad avanzare quando ottiene il posto di giudice investigativo alla Corte di Giustizia della Guardia Rivoluzionaria in Teheran. Il passaggio di grado significa per la famiglia la realizzazione, anche economica, di molti sogni covati da lungo tempo, ma anche, come fa continuamente notare la madre Najmeh (Soheila Golestani) alle figlie adolescenti Rezvan (Mahsa Rostami) e Sana (Setareh Maleki), una maggiore responsabilità per quanto riguarda comportamento e aspetto esteriore – insomma hijab sistemato perfettamente, niente unghie smaltate, e nemmeno rossetto o capelli tinti –. Inoltre, Iman riceve una pistola da usare per sua legittima difesa. Ma la gioia per la promozione dura poco. Appena due settimane dopo, iniziano le proteste scatenate dalla morte della giovane Mahsa Amiri a causa delle violente percosse subite dalla polizia morale. E Iman si vede costretto a firmare la condanna a morte di un innocente se vuole mantenere il posto. Un’amica delle figlie viene violentemente colpita al viso da un colpo sparato a caso sugli studenti dalla polizia, e rischia di perdere un occhio. Ma Najmeh, per rispetto al marito, non discute la violenza della polizia, e anzi, preferisce dubitare delle spiegazioni date dalle figlie sull’accaduto e sbatte letteralmente l’amica ferita di Rezvan fuori di casa.
La prima parte del film è, escludendo qualche scena ripresa in auto, è quasi tutta girata in interno, nelle stanze dell’appartamento della famiglia. Le luci abbassate, le tende sempre chiuse, non sono solo scelte volute per creare l’atmosfera del film, ma anche per proteggere le riprese stesse da occhi indiscreti. Solo le immagini di violenza e repressione che arrivano dai social media penetrano dall’esterno le mura casalinghe. Quando, d’improvviso, una mattina l’arma nel cassetto vicino al letto di Iman sparisce, il padre comincia a dubitare e mette sotto accusa i membri della sua stessa famiglia. Inoltre, nel frattempo, qualcuno rende pubblica la foto di Iman mettendone così a rischio l’incolumità. La paranoia e l’incertezza che si vive in casa è la stessa che tiene nella morsa un’intera nazione.
La seconda parte del film è segnata dalla fuga della famiglia verso la casa natale di Iman. Qui la situazione si fa più drammatica e il film si trasforma in un classico thriller, una caccia al gatto e topo fra le case in rovina, quando la figlia Sana riesce a fuggire dal padre, ormai tramutatosi in un terribile carceriere. Anche l’ambientazione cambia, e dalla città ci spostiamo in una campagna deserta e abbandonata, dove il regista può girare scene all’aperto.


In Il seme del fico sacro, Rasoulof, – come ha spiegato lui stesso durante la conferenza stampa al Festival di Cannes dove il film è stato presentato in anteprima e ha ricevuto una menzione speciale della Giuria – ha voluto sondare le premesse e il funzionamento del sistema di terrore nella Repubblica Islamica dell’Iran e tutte le sue implicazioni, anche dal punto di vista della morale dell’individuo che le perpetua. L’esplicita critica del film è contro l’indottrinazione, contro l’uso della religione come ideologia politica e quando viene usata come arma per mantenere nell’angoscia un’intera nazione. Le tre donne della famiglia rappresentano figurativamente la popolazione iraniana tenuta prigioniera alla stregua di un ostaggio, mentre il regime patriarcale che governa lo stato iraniano si rispecchia nel ruolo di Iman padre e marito. Non si tratta più di un conflitto morale interno alla coscienza dell’individuo, com’era nei singoli episodi raccontati in Il male non esiste, in cui in un residuo di libertà c’era la possibilità di scegliere fra bene e male. Parafrasando il titolo del film precedente, qui il male esiste, ha intossicato tutta la società, ed è diventato onnipresente. Il protagonista Iman agisce come un folle, con lo scopo di punire chi mette in discussione o tenta di minare alla sua autorità che non è più fondata sul consenso. La metafora finale non lascia dubbi su come il regista immagini il futuro della teocrazia iraniana.
Mohammad Rasoulof che nonostante il carcere e il divieto di fare film è riuscito, seppur con grande sacrificio, a realizzare con Il seme del fico sacro il suo decimo lavoro, sarà probabilmente costretto a vivere in esilio, lontano dalla sua patria. Che questo thriller – forse non la sua opera migliore – sia stato scelto per rappresentare la Germania alla corsa per i prossimi Oscar, è un ulteriore riconoscimento per il regista, e non sarà sicuramente l’ultimo.
In Anteprima alla Festa di Roma (Best of 2024)
In sala dal 20 febbraio 2025.
Il seme del fico sacro (Dāne-ye anjīr-e ma’ābed) – Regia e sceneggiatura: Mohammad Rasoulof; fotografia: Pooyan Aghababaei; montaggio: Andrew Bird; musica: Karzan Mahmood; interpreti: Soheila Golestani, Missagh Zareh, Mahsa Rostami, Setareh Maleki, Niousha Akhshi, Reza Akhlaghirad, Shiva Ordooie; produzione: Arte France Cinéma, MOIN Filmförderung Hamburg Schleswig-Holstein, Parallel 45, Run Way Pictures; origine: Iran 2024; durata: 168 minuti; distribuzione: BIM Distribuzione e Lucky Red.
