Ari di Léonor Serraille (Berlinale – Concorso)

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Sin dai tempi ormai remoti della “Nouvelle Vague” il problema del crescere, del diventare grandi o, come dicono gli americani, il Coming of Age è stato un tema centrale del cinema francese a partire, ad esempio, dal celeberrimo debutto autobiografico di François Truffaut ne I quattrocento colpi del 1959. Non stupisce quindi – ma ormai come è più possibile stupirci al cinema se non in casi eccezionali? – che la regista lionese  Léonor Serraille sia tornata su un tema così arato con il suo Ari presentato ora nel Concorso della Berlinale. E ciò facendo seguito a due film precedenti molto interessanti: Montparnasse – Femminile singolare (Caméra d’Or a Cannes del 2017) e soprattutto Due fratelli (2022) che alla nostra rivista, come potete (ri)leggere, era piaciuto molto.

In Ari, che è nome del protagonista interpretato con una certa efficacia da Andranic Manet, si va ad esplorare il disorientamento di un giovane apprendista insegnante elementare che fatica e non poco, a trovare il suo posto nel mondo. Ha 27 anni ma ne mostra, forse, anche di più sullo schermo, anche se nel suo atteggiarsi sembra nient’altro che altro un adolescente immaturo, che dietro la superficie nasconde grandi ansie e una fragilità estrema. All’improvviso la crisi, evidentemente latente da tempo, esplode, proprio ad inizio del film, quando, durante una lezione, ha un crollo nervoso davanti ai bambini a cui insegna e a cui dovrebbe leggere una poesia. L’episodio segna l’inizio di una profonda, subitanea discesa emotiva nella sua autostima che lo porta a chieder un permesso di convalescenza per malattia e a tornare a casa del padre, il quale, però, senza mezzi termini, lo allontana, invitandolo a cavarsela da solo.

Andranic Manet

Senza più una fissa dimora, inizia, allora, una sorta di vagabondaggio nei luoghi dove vive e ha vissuto, cercando conforto nei vecchi amici di scuola, nel vissuto relazionale e per le strade, la notte, alla ricerca di un giaciglio. E ogni incontro diventa un tassello che va a comporre una sorta di viaggio interiore con il proprio passato e le proprie insicurezze, dall’amico d’infanzia che ha fatto carriera ad una ex fidanzata con cui non aveva saputo costruire una vita in comune, né affrontare una gravidanza della ragazza.

Tale tour de force emotivo è il grimaldello con cui Léonor Serraille  ci vuole dunque raccontare, dubbi, aspirazioni e  incertezze della generazione dei millennial, stretta tra aspettative sociali e insicurezza lavorativa, tra la paura del fallimento e la necessità di ridefinire sé stessi nel mondo. 

Se nella opera di debutto la regista francese aveva narrato la deriva di una trentenne, che tornata a Parigi dopo un lungo periodo di assenza e una rottura sentimentale cercava di ricostruire ex novo la propria esistenza, questa volta lo sguardo è declinando al maschile per mostrarci ancora una volta un personaggi complesso e vulnerabili.

Con uno stile di regia minimalista e oggettivante, con una fotografia (di Hélène Louvart) che privilegia colori freddi e inquadrature stretta, si vuole testimoniare il senso di solitudine e lo spaesamento del protagonista, oltre a ritrarre una Parigi con le sue strade, le case piccole piccole e i caffè affollati che diventano quasi il riflesso della confusione e dell’alienazione del nostro eroe.

Malgrado le buone intenzioni del progetto e la grande empatia mostrata nei confronti del suo Ari, il nuovo film di Léonor Serraille, però, ci ha poco convinto –  sicuramente molto meno dei precedenti – lasciandoci in bocca, un po’, un senso di una certa inadeguatezza. Il che è dovuto soprattutto alla costruzione a livello di sceneggiatura che ci è apparsa troppo poco articolata e abbastanza ripetitiva nella sua progressione narrativa, nella quale un episodio va ad accavallarsi sull’altro in una maniera piuttosto meccanica.  Peccato, peccato.


Ari – Regia sceneggiatura: Léonor Serraille; fotografia: Sébastien Buchmann; montaggio: Sébastien Buchmann; interpreti: Andranic Manet, Pascal Rénéric, Théo Delezenne, Ryad Ferrad, Eva Lallier Juan; produzione: Sandra da Fonseca, Grégoire Debaillyper Geko Films; origine: Francia/Belgio, 2025; durata: 88 minuti.

 

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