Due fratelli è un film spiazzante perché non si sa dove collocarlo: è un oggetto difficile da categorizzare, un dramma, una storia di fratellanza, una denuncia sociale. È tante cose insieme e nessuna. Due fratelli parla di tre membri di una famiglia disgregata come tante, composta da immigrati africani arrivata in Francia negli anni Ottanta dalla Costa d’Avorio. Da una parte c’è la comunità di origine, di persone simili tra loro, tra le quali vigono regole precise, modi di fare e di comunicare; dall’altra c’è il mondo esterno a cui adeguarsi, altri elementi di una società fatta di difficoltà e evasione, di prove da superare e poche gratificazioni. Rose è giovane, ha due figli a carico avuti da padri diversi (altri lasciati al paese, lontano chilometri terreni e acquatici), un lavoro. La nazione non la aiuta, Rose sente la responsabilità della vita dei due figli piccoli, scende a compromessi tra i suoi bisogni e i loro. La comunità di appartenenza radicata in loco le propone un possibile fidanzato, Jules César, che a lei evidentemente non piace. Rose è una donna avventurosa, che coglie l’attimo, che ama ballare alle feste, beve e fuma davanti ai figli.
Jean, il maggiore, le è molto vicino, tende a proteggerla dagli amanti sbagliati, si fa carico della sua infelicità. Da adolescente è fidanzato con una bella biondina, Camille, che lo incoraggia negli studi e nell’aspirazione a diventare pilota. Jean è inquieto, fuma droga leggera, ascolta musica disco, tenta un’avventura con una donna ventenne che finisce in un disastro.
André, da figlio minore, subisce le vite degli altri: i trasferimenti da una città all’altra, il matrimonio della madre, alla fine con Jules César, la scelta degli sposi di allontanare il fratello maggiore rispedendolo in Africa, probabilmente contro il suo volere. Troverà la sua strada da solo, come capita quando non si può far altro.
In un dialogo tra Rose e André dopo anni che non si vedono, la donna gli dice: “Stai frequentando troppi bianchi, ti sei contaminato, tutte queste malattie immaginarie, la depressione… non è per noi”: forse il senso dello spiazzamento dei personaggi sta tutto qui. Una commovente lettera del fratello maggiore al minore conclude la pellicola.
Tratteggiato con sapiente taglio visivo ed ellissi ben inserite nel tessuto narrativo Due fratelli lascia spesso senza fiato: turba da vicino l’identificazione dello spettatore spostando per tre volte il punto di vista (è tripartito secondo il vissuto dei tre protagonisti – la madre Rose, Jean, André) tanto da non lasciare la possibilità di avere una unica opinione sui fatti, lasciando parteggiare inevitabilmente per i due giovani in difficoltà ma senza sicurezza di trovarsi nel giusto (perché il giusto, alla fine, non esiste). Le vite sono complicate, esiste la ricerca della felicità, la difficoltà di vivere spaesati, il disorientamento dovuto all’essere senza padre in una società dove vige il patriarcato e che preme perché tutto sia in regola e in ordine, tutti uguali, tutti nel benessere, tutti felici (bella la lezione ad una classe dell’ultimo anno di liceo sulla morte e l’invecchiamento in Blaise Pascal) quando, invece, nel mondo globalizzato e tecnologico di oggi, forse, non è più possibile. Non ricordando i Dardenne né Ken Loach, Leonor Serraille trova uno stile tutto suo – intimo e contraddittorio, aulico e realistico, poetico e duro – per raccontare una storia che lascia un segno in chi la vede.
In sala dal 31 agosto
Due fratelli (Un petit frère) – Regia e sceneggiatura: Léonor Serraille; fotografia: Hélène Louvart; montaggio: Clémence Carré; interpreti: Stéphane Bak, Ahmed Sylla, Annabelle Lengronne, Kenzo Sambin; produzione: Blue Monday, France 3 Cinéma; origine: Francia, 2022; durata: 116’; distribuzione: Teodora Film.