Leibniz – Chronik eines verschollenen Bildes di Edgar Reitz (Berlinale – Special)

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“Perché il cinema non potrebbe essere un luogo dove il Pensiero abbia un posto” si è domandato, quasi retoricamente, Edgar Reitz durante la discussione a conclusione della Prima pubblica del suo film al Festival di Berlino. Infatti, perché no, dato che proprio questo ha fatto in un piccolo, grande film, a suo modo, straordinariamente ben riuscito.

Edgar Reitz (al centro) insieme al team del film

A parte la sortita nel documentario, insieme a Jörg Adolph, in Filmstunde_23 del 2024, erano molti anni che l’autore del leggendario epos Heimat non tornava dietro la macchina da presa per un’impresa nella fiction tanto impegnativa come Leibniz – Chronik eines verschollenen Bildes, un film, in co-regia con Anatol Schuster, che ha richiesto una lunga gestazione di quasi un decennio. E che esplora l’ultima fase della vita del filosofo e matematico Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 -1716), una delle massime menti della sua epoca, grande precursore dell’Illuminismo, un sommo intellettuale che ha cercato di conciliare, per tutta la vita, scienza, matematica, filosofia con la Fede. Ma attenzione, non si tratta come già si intuisce dalla seconda parte del titolo “Storia di un quadro perduto” di un biopic tradizionale che sarebbe per altro stato impossibile, oltre per la complessità estrema di riassumere un personaggio tanto versatile, anche per semplici ragioni di budget dato che abbiamo a che fare con un’opera della quale tutto si può dir meno che possa essere commerciale.

Dopo lunghi ripensamenti e rielaborazioni, Reitz e lo scrittore Gert Heidenreich che aveva già contribuito alla sceneggiatura di L’altra Heimat – Cronaca di un sogno (2013), hanno deciso di narrare un unico episodio della vita di Leibniz a partire dal quale sviluppare, per così dire in vitro, un ritratto a tutto tondo, umano e intellettuale, attraverso un impianto teatrale, in una sorta, insieme di Kammerspiel filosofico e intimo.

Siamo nell’inverno 1704-05. La giovane Regina Sophie Charlotte di Prussia (Antonia Bill), gravemente malata, desidera avere un ritratto del suo mentore e maestro Leibniz (molto ben reso da Edgar Selge) di cui probabilmente in gioventù era innamorata. Il punto di partenza (e arrivo) del film è, quindi, quanto accade, praticamente in un solo spazio, per giungere a realizzare un ritratto del grande pensatore. L’incarico che si rivelerà piuttosto accidentato dà luogo ad una serie di controversie e di discussioni: prima si cimenta nell’incarico un pittore francese di corte, tal Pierre-Albert Delalandre (un divertito e divertente Lars Eidinger) che si presenta con una serie di ritratti pre-dipinti a cui manca solo il viso per completarli. Sceltone uno, dopo una serie di screzi con il modello che sottilmente sbeffeggia e contraddice l’artista seminando dubbi ontologici su tale metodo di lavoro e sulla concezione della visione, Delalandre abbandona, sdegnato, l’impresa e la palla passa, su proposta della Kurfürstin Sophie von Hannover (Barbara Sukowa) a una giovane artista olandese, Aaltje van de Meer (Aenne Schwarz), allieva e discepola di Vermeer. Nel corso delle sessioni di posa, la pittrice intratterrà con Leibniz un dialogo intenso, che non è solo artistico, ma insieme filosofico ed esistenziale sulla natura della conoscenza, della visione e della luce, sui concetti ermeneutici dell’arte, ma anche sulla fragilità dell’essere umano di fronte a Dio e alle contraddizioni dell’universo.

Il film si conclude in un’atmosfera altamente malinconica con la morte della Regina e il ritratto che viene completato ma … come dice il titolo risulta “perduto”, diventando così una metafora dell’oblio e della fragilità della memoria storica e personale.

Con questo film ricco di dialoghi altamente complessi e stimolanti si toccano, dunque, una serie di argomenti metafisici e concettuali, ancora assolutamente attuali, come, ad esempio trai tanti, se l’artista debba catturare l’anima del soggetto o soltanto la sua immagine oppure se la rappresentazione pittorica (ma anche quella cine-audiovisiva) sia una forma di verità oppure semplice illusione.

Alla bellezza di 92 anni passati, Edgar Reitz ci ha consegnato un film importante ma certo non semplice e piano che, per essere veramente approfondito e gustato in tutta la sua pienezza, meriterebbe diverse visioni. E comunque già a questa prima,  ne abbiamo apprezzato sia l’ottima recitazione del cast degli interpreti nonché la cristallina intelligenza e l’acume del progetto di un cinema che non rinunzia appunto alla parola “pensare”.


Leibniz – Chronik eines verschollenen Bildes (t.l.: Leibniz – Cronaca di un quadro perduto) – Regia: Edgar Reitz; co-regia:  Anatol Schuster; sceneggiatura: Gert Heidenreich, Edgar Reitz; fotografia: Matthias Grunsky; montaggio: Anja Pohl; musica: Henrik Ajax; scenografia: Renate Schmaderer; interpreti: Edgar Selge (Gottfried Wilhelm Leibniz), Aenne Schwarz (Aaltje Van De Meer), Lars Eidinger (Pierre-Albert Delalandre), Michael Kranz (Liebfried Cantor), Antonia Bill (Regina Sophie Charlotte von Preußen), Barbara Sukowa (Kurfürstin Sophie von Hannover); produzione: Ingo Fliess, Christian Reitz per if… Productions, ERF (Edgar Reitz Filmproduktion); origine: Germania, 2025; durata: 104 minuti.

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