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Voto
Se si dovesse cominciare a tracciare la linea di una possibile poetica di Ambra Principato, che con Invisibili si cimenta con l’opera seconda dopo il bel e inusuale esordio Hai mai avuto paura? del 2023, uno degli elementi più ricorrenti riguarderebbe la scelta del punto di vista: dopo i piccoli rampolli di una ricca famiglia di possidenti terrieri dell’800, sono ancora dei ragazzi, nel pulsionale pieno dell’adolescenza e in un’epoca, seppur imprecisata, più vicina alla nostra contemporaneità, a posare il loro sguardo sulle contraddizioni, le meraviglie e gli orrori di un mondo emerso e sotterraneo; illuminato dalla luce della giovinezza e oscurato dalle ombre di inquietudini che emergono dai tormenti interiori di una certa età e dalla spietatezza adolescenziale penetrata dall’esterno di un microcosmo di bulli e prepotenti. Il titolo è cristallino nella sua franchezza: Tommy ed Elise, anime in pena e corpi impazienti nello spazio mentalmente e paesaggisticamente circoscritto di un paese della provincia (presumibilmente intorno a Milano, per quanto possano valere i riferimenti spazio-temporali in storie come questa) si scontrano e incontrano nell’ambito di un liceo che non fa sconti con la sua benpensante, ipocrita e violenta mentalità piccolo borghese. Lui, trasferitosi dalla grande città con una madre psicotica ricoverata in una clinica psichiatrica, e lei, che dietro il proprio atteggiamento ribelle e sprezzante nasconde il dolore per essere stata umiliata ed emarginata dai compagni di classe, trovano ben preso il loro punto di incontro in un altrove; non luoghi abbandonati ed isolati, come il grande magazzino con la vetrate da distruggere a sassate, nei quali possono non esistere e di conseguenza non essere visti. Eppure la lividezza e l’intensità dei loro incontri – nella prima scena insieme Elise trova il suo banco occupato dal nuovo venuto e se ne va sbattendo violentemente la porta -li fa gradualmente emergere da uno stato di evanescenza (Elisa) e apatia/afasia (Tommy) fino a rivelare e squarciare le proprie ferite, le verità nascoste, le confessioni non ascoltate e non accolte. A questo punto si pone una questione per il sottoscritto che sta scrivendo, ovvero se dire o meno il “colpo di scena”, piuttosto prevedibile e comprensibile fin dalle prime battute, oppure lasciar seguire il processo percettivo di Tommy, il quale, in virtù dell’impronta materna che lo ha portato a credere di vedere intorno a se mostri e demoni, dubita di se stesso fino al limite di una scongiurata pazzia.

A dire il vero non è neanche l’aspetto più interessante, tant’è che la stessa Principato ne piazza lo svelamento a neanche la metà del film, non facendolo fagocitare in questa maniera dal suo status dichiarato di ghost story. Il punto che le sta a cuore è nel portare alle estreme conseguenze una condizione di disagio che spesso sfugge allo sguardo della comunità, quando anzi non crea rifiuto, omissione e rimozione da parte in primis degli adulti, anche dei migliori ( si veda il personaggio del pacato e accogliente professore interpretato da Piergiorgio Bellocchio, capace invece di ingranare la marcia e girarsi dall’altra parte di fronte a un’esplicita richiesta d’aiuto, camuffata da provocazione, di Elise). Un possibile riferimento di questa amicizia che va al di là della vita e della morte potrebbe trovarsi nel rapporto tra il ragazzino taciturno e martorizzato dai teppisti e la vampira bambina che viene aiutata e che lo aiuta a varcare quel limite di fiducia e intimità nello splendido Lasciami entrare (2008) di Tomas Alfredson; ma non c’è altrettanta radicalità nello scioglimento delle situazioni, ogni cosa sembra rientrare nell’edificante-e paradossale, visto l’assunto- racconto di un coming of age in questa e nell’altra dimensione. Al contrario di Hai mai avuto paura?, nel quale l’attraversamento del bosco e della notte oscura generava una realtà ancora più inquietante e senza scampo, questa volta Principato ci invita a empatizzare con una possibilità di trasformazione /liberazione dai demoni e dai fantasmi. Ma non rinuncia ad alcune sequenze perturbanti, come quella in cui Tommy “convince” la gang di bulli a non spaccargli la mano con la quale disegna e sa prendere la mira a pallacanestro, in quanto, essendo uno squilibrato mentale, li avrebbe perseguitati nel corso del tempo, rivelandosi ben più pericoloso delle già minacciose caricature dei suoi persecutori da lui disegnate su un taccuino trafugato. Ciò che rende bizzarri e derisibili nasconde un nucleo spaventoso perché non permette di riconoscere quello che è comune a tutti gli altri, l’accettabilità che, nel caso di Elise, passa anche attraverso la rispettabilità della propria immagine.

L’altra chiave di interpretazione passa infatti per le foto che la ragazza più polare e carina della scuola (privata però dei connotati da “bitch” della ragazzine velenose viste nei college-movie americani) scatta e sviluppa, con una filosofia ancora analogica, nel buio della camera oscura oppure nella mossa immediatezza di una polaroid. La componente materica, fisica, tangibile è utilizzata per rappresentare l’invisibilità di Tommy ed Elise, dopo essere stata l’involontario strumento della mortificazione proprio di Elise, sfigurata su degli insultanti poster che coglievano semplicemente la sua vanità di diventare fotomodella o, più profondamente, il bisogno di essere vista a ogni costo.
Il risultato complessivo, specie nella seconda parte più dimostrativa e meno evocativa e suggestiva, è meno coeso ed incisivo del film precedente; si sente di più una scrittura finalizzata a esprimere un presa di posizione corretta, per quanto prevedibile anch’essa: la valorizzazione dell’esclusività di ogni personalità rispetto all’omologazione che deraglia nella violenza del branco, la distrazione e la rimozione degli adulti nei confronti della fragilità giovanile, vista nell’ottica di ingombrante impedimento e non di fluida sensibilità, la fantasia, anche quella reputata perversa e respingente, come forma di creativa elaborazione del trauma e del dolore. Uno schematismo, comunque, detto con sottigliezza e non declamato con enfasi, che imbriglia una certa tensione visionaria e trasfigurante e riconduce l’alterità nella zona più rassicurante del rapporto tra causa ed effetto, tra colpa ed espiazione.
Senza rinunciare alla eco antagonista di scelte compiute nel nome dell’innocenza e dell’abisso.
In sala dal 17 luglio 2025.
Invisibili – Regia e sceneggiatura: Ambra Principato; fotografia: Davide Sondelli; montaggio: Pietro Morana; scenografia: Antonella Vilella, Diego Ricci; interpreti: Justin Alexander Korovkin, Sara Ciocca, Pier Giorgio Bellocchio, Zoe Nochi, Gabriele Rizzoli, Gabriele Verde, Ilaria Genatiempo, Rossella Celati, Aurora Cancian, Nicola Pistoia, Mario Sgueglia; produzione: Marco De Micheli per Redvelvet, Kavac Film con Rai Cinema; origine: Italia, 2025; durata: 99 minuti; distribuzione: Fandango.
