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Voto

Il racconto di formazione ha trovato al cinema un terreno sempre molto fertile, nel corso del tempo, per far crescere i semi di un immaginario colto nel suo momento più germinale e acerbo, quando ancora i corpi, i cuori e le menti che lo abitano e ne sono abitati possono essere ancora qualsiasi cosa. Il cinema francese, in particolare, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con questa forma di espressione che mette ala centro della visione e della rappresentazione della realtà bambini o adolescenti capaci di restituire, spesso con più intensità e autenticità rispetto a un punto di vista adulto, l ‘immediatezza della vita e la visceralità dei sentimenti. Aspetti che attraversano anche lo spregiudicato e tragicomico Stereo Girls, opera seconda di lungometraggio della francese Caroline Deruas Peano: la spregiudicatezza non sta tanto nella storia quella delle due amiche del cuore, Charlotte e Liza, diciassettenni che vivono nella provincia del Sud della Francia durante gli anni ’90 , quasi al crepuscolo dell’era analogica delle cassette e degli stereo prima dell’avvento della prima tecnologia in digitale dei CD/DVD.
Il sogno di rito è proprio quello di diventare musiciste, anzi pop star , e cercare gloria a Parigi, secondo un’estetica e una cultura da videoclip ereditata ancora negli anni ’80. Ad essere piuttosto spericolato, soprattutto nella prima parte, è l’approccio per nulla sentimentale ma molto fisico e sensuale che le ragazze esprimono nei confronti degli uomini, e in particolare dell’aitante professore di ginnastica. La regista mantiene infatti lo sguardo di entrambe ad altezza ventre, focalizzando il centro del loro desiderio e della loro attrazione intorno a delle fantasticherie sulle parti genitali maschili, utilizzate come strumento per esercitare una dissacrazione, una scherzo, una giocosa libertà. E a proposito di immaginario, è proprio questo loro complicità tenera e maliziosa, questa assenza di tabù amplificata sull’opaca scena di una cittadina naif, a rendere colorati e divertenti, in una grana audiovisiva riprodotta con un perfetto stile patinato e griffato dell’era Nineties, i video che Charlotte e Lisa immaginano di realizzare e di far passare sull’equivalente francese dell’MTV dell’epoca. La parte tragica, che apre a un ribaltamento percettivo del rapporto tra realtà e immaginazione/sogno, ha a che fare, altro topos che appartiene al linguaggio di questo modo di raccontare, al trauma: la morte improvvisa di Liza, mette Charlotte con le spalle al muro di un bivio tra mantenere a ogni costo la promessa di amicizia eterna fatta quando erano bambine, oppure emanciparsi dalla simbiosi di una sorellanza baciata, come spesso accadde nella tumultuosa età acerba, anche da una pulsionalità amorosa ed erotica. A questo punto si passa dalla commedia per teenager al dramma intimista e onirico sulla rivelazione di sé, inclusa la propria identità di genere. Charlotte comincia a vivere, sempre più insistentemente, tra due mondi, mantenendo la promessa fatta a Liza di continuare a incontrarla nei sogni, che diventano lo spazio immaginato, seppur generato dall’inconscio, e il tempo sospeso in comune dell’elaborazione del lutto e della separazione.

La Liza che appare non è solo quella introiettata nella psiche di Charlotte, ma, in un’accezione favolistica e surreale, Deruas Peano crede veramente nella possibilità di un ricongiungimento oltre la dimensione quotidiana e concreta del contesto sociale e del luogo fisico e tangibile. Il sogno è il contenitore dell’emanazione di loro stesse, oltre che una zona di transito dalla quale però solo Charlotte ha l’opportunità di tornare e di compiere delle scelte secondo i sensi, i segni, le direzioni che ha visto e sentito in una trance per niente metafisica, molto simbolica e psicologica. Un esperimento impervio che avrebbe richiesto, nonostante la dichiarata eccentricità della messa in scena, più rigore, coesione, ispirazione. A volte si ha la sensazione di assistere al delinearsi di una cornice slabbrata, accettabile sul piano metaforico di una giovinezza dai contorni indefinibili, meno comprensibile sulla ricerca dello sguardo che rischia di rimanere fuori fuoco nei confronti del denso materiale affrontato. A un certo punto gli andirivieni da una dimensione all’altra di Charlotte diventano confusi e caotici e le ambizioni di apologo filosofico, con tanto di professoressa che cita Spinoza fuori e dentro al sogno (con l’esaltazione della gioia in quanto sentimento e spinta interiore a trovare la propria completa e appagante soddisfazione in questa vita), a tratti velleitarie.
Per rimanere nella stessa zona d’interesse, e sempre in Francia, basta guardare al recente e radicale Coma di Bertrand Bonello, con al centro sempre una ragazza alla prese con l’elaborazione di un trauma, questa volta collettivo ed epocale, come la pandemia di Covid appena passata: anche lì c’era una teenager che, per sopravvivere alla solitudine e al disintegrarsi delle proprie aspirazioni e dei propri desideri, si rifugiava nella commistione tra l’immaginazione alimentata dal proprio inconscio e l’apparato visuale prodotto dalla virtualità dello schermo on-line, al quale Deruas Peano sostituisce la presenza costante della tv e della radio; una differenza di certo sostanziale perché comporta un distacco fisico del supporto che permette la proiezione in un altrove, e facilita dunque per Charlotte non solo il ritorno ad uno stato di coscienza ( in alcune sezioni della seconda parte sembra in uno stato di sonnambulismo e di ipnosi), ma soprattutto la possibilità di poter trasferire quella condizione in un gesto creativo; ovvero portare sul palco di un pub parigino la canzone composta insieme tra la vita e la morte, che diventa una dedica, un proposito, una consapevolezza.

Laddove in Bonello non era possibile alcuna sintesi o trasformazione, ma ogni elemento, umano e non umano, si perdeva nel flusso digitale di uno streaming. L’ambientazione retrò non è dunque casuale, e l’affetto e la simpatia verso lo spirito di un’epoca più che la sua precisa contestualizzazione storica, ha la meglio sulla struttura sgangherata e. approssimativa, grazie anche alla spontaneità delle interpreti: in particolare la vibrante Léna Garrel che alterna il piglio deciso e insolente di Charlotte, con dei momenti di vertiginosa malinconia per la giovinezza perduta della sua amica, riflesso di un livido permanente nell’ingresso dentro la vita da grandi.
E quel finale in cui conquista il centro di una scena e si esibisce, è un po’ la parafrasi dello stop frame sugli occhi di Antoine Doinel dopo che ha visto il mare: il lampo esaltante e struggente per la rivelazione di possedere uno sguardo e una voce.
Les immortelles (tit. inter.: Stereo Girl) – Regia: Caroline Deruas Peano; sceneggiatura: Caroline Deruas Peano, Jihane Chouaib, Maud Ameline, Victoria Kaario; fotografia: Vincent Biron; montaggio: Mirenda Ouellet; musica: Calypso Valois; interpreti: Léna Garrel, Louiza Aura, Emmanuelle Béart, Vahina Giocante, Aymeric Lompret, Gerard Watkins, Adama Diop; produzione: Les Films de la Capitaine, La Feline Films, Films de Force Majeure; origine: Francia/ Canada, 2025; durata: 80 minuti.
