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Ancora politica democristiana o forse no? Con il suo ultimo film che apre oggi la Mostra di Venezia del 2025, Paolo Sorrentino torna a disquisire sulla situazione di casa nostra, come dai tempi lontani del Divo (2008) ma in una chiave completamente diversa, meno diretta e più “moral-filosofica”. Lasciamo parlare l’autore che a proposito de La Grazia ha affermato: “è un film d’amore. Questo motore inesauribile che determina il dubbio, la gelosia, la tenerezza, la commozione, la comprensione delle cose della vita, la responsabilità. L’amore e le sue articolate diramazioni sono visti e vissuti attraverso gli occhi di Mariano De Santis, Presidente della Repubblica verosimile ma rigorosamente inventato”.
“Inventato” di certo dato che era impossibile fare altrimenti, comunque “verosimile” perché porta insieme diversi tratti dei nostri due ultimi Presidenti (ma potrebbero essere anche altri a detta degli autori): di Giorgio Napolitano da una parte (napoletano come il protagonista Toni Servillo) e ancor di più di Sergio Mattarella (vedovo, cattolico e giurista) dall’altra.
Dunque, quella dell’amore vuole essere la chiave del film ad animare le mosse e i sentimenti che guidano il personaggio di Mariano De Santis, detto “cemento armato” negli ultimi mesi dal suo “semestre bianco”. Aiutato dalla devota figlia Dorotea (una brava Anna Ferzetti), l’uomo deve, oltre ai consueti obblighi istituzionali come ricevere dignitari di altre nazioni, prendere delle importanti decisioni che toccano profondamente la sua coscienza morale. In primis dovrebbe firmare, prima che finisca il suo mandato, una controversa legge sull’Eutanasia (a cui la figlia, anche lei giurista, lavora notte e giorno) e in più approvare le domande di grazia (altro riferimento al titolo del film) di due detenuti – un uomo e una donna – in carcere per delitti dovuti a moventi passionali con cui hanno uccisi i rispettivi consorti (tra l’altro proprio Mattarella ne ha concesso una del genere).

Il tutto si intreccia con la vita privata giunta ad un’impasse senza scampo: l’amatissima compagna della sua vita, Aurora, è morta da tempo, lasciandolo inconsolabile mentre i due figli (l’altro, oltre a Dorotea, è un musicista che si è trasferito in Canada) si sentono distanti da lui e dalla sua gelida freddezza – De Santis, in più, ha un vulnus che l’ossessiona: il fatto di non aver scoperto con chi la moglie quarant’anni prima l’aveva tradito, cosa che lui non è mai riuscito a metabolizzare e che poi verso la conclusione del film riuscirà a sapere (chissà però?). È qualcosa che non vuole a dimenticare e ne parla di continuo con l’amica d’infanzia, critica d’arte, Coco Valori (una splendida Milvia Marigliano) o sospetta di un altro compagno di scuola, Ugo Romani (Massimo Venturiello), anche lui sodale e politico che aspira, tra l’altro, a diventare suo successore. L’unico che appoggia il nostro tormentato eroe è un consigliere militare, il generale Lanfranco Mare (Giuseppe Gaiani) con cui solidarizza e si reca in Piemonte a cantare ad un raduno di alpini; o anche il capo dei Corazzieri del Quirinale a cui è affidata la cura del cavallo di Mariano (che, però, De Santis decide di non far sopprimere quando agonizza in attesa di morte, in linea con le sue concezioni morali). Solo una bella ex-Presidente lituana, anche lei ormai al termine del suo mandato, scuoterà per un attimo i sentimenti del Presie, oppure la musica del rap Cosimo “Guè” Fini.
Sorrentino ha affermato nella conferenza stampa veneziana che questo, a differenza di altri suoi precedenti, è un film costruito sulla trama e non sui personaggi. La verità però che senza dei mattatori come Toni Servillo che è Toni Servillo, quindi bravo e impeccabile ma sempre Servillo, La Grazia non funzionerebbe come in effetti accade – non di continuo, ad essere onesti, ma con diversi colpi d’ala e delle battute molto divertenti, le “sorrentinate” come le definiscono i maligni. Che so: un Papa nero e barbuto che va via da un incontro con Mariano in scooter; un Presidente del Portogallo che sotto la pioggia battente incespica sul tappeto rosso nel cortile del Quirinale, eccetera, eccetera. Quanto è qui radicalmente cambiato, ad esempio rispetto a Parthenope, sta principalmente nell’impatto visivo e nell’impianto scenografico molto meno bombastico e ricercato rispetto al passato. Per certi versi e senza che ciò voglia suonare un appunto negativo, La Grazia sembra un instant-movie, un film aspro e sincero, poco ingioiellato e a tratti capzioso, che, con un impianto da semi-Kammerspiel d’interni, vuole riportare all’attenzione politica un importante problema morale, quello dell’Eutanasia, un tema altamente divisivo in un paese cattolico come l’Italia. E, al solito, basta aver ascoltato in giro qualche commento, è piaciuto ad alcuni – come al sottoscritto con qualche riserva sulla durata complessiva e qualche vezzo di troppo – e per niente ad altri. Non si tratta, certamente, di una novità, basta ricordare quanto è accaduto con Parthenope anche sulle nostre pagine. Ne riparleremo quando uscirà anche nelle sale italiane dal 15 gennaio 2026.
La Grazia: – Regia e sceneggiatura: Paolo Sorrentino; fotografia: Daria D’Antonio; montaggio: Cristiano Travaglioli; suono: Emanuele Cecere, Mirko Perri; scenografia: Ludovica Ferrario; costumi: Carlo Poggioli; interpreti: Toni Servillo, Anna Ferzetti, Orlando Cinque, Massimo Venturiello, Milvia Marigliano, Giuseppe Gaiani, Linda Messerklinger, Vasco Mirandola; produzione: Fremantle, The Apartment Pictures, Numero 10; origine: Italia 2025; durata: 133 minuti; distribuzione: PiperFilm.
Foto: Andrea Pirrello.
