Un tema su cui sarebbe interessante fare degli approfondimenti potremmo battezzarlo protezionismo critico (a voler essere più sardonici: sovranismo critico), quel fenomeno per cui, in occasione di un Festival o anche, più in generale, in occasione dell’uscita in sala, la critica di un determinato paese assume un atteggiamento particolarmente delicato, a tratti ossequioso, nei confronti di un regista del medesimo paese, soprattutto laddove quel regista gode di grande notorietà, di un rimarchevole capitale simbolico, mentre invece i critici stranieri, pur partendo da una stima consimile nei confronti dell’Autore dalla fama consolidata, appaiono un po’ più disincantati e forse un po’ più “liberi” nell’esprimere il proprio parere.
Questa riflessione, solo accennata, nasce, fra i molti esempi che potremmo citare, scorrendo le recensioni pubblicate in occasione della presentazione di Parthenope di Paolo Sorrentino a Cannes e quelle ri-pubblicate in occasione dell’uscita nelle sale italiane pochi giorni fa. Ecco: si ha un po’ la sensazione che nella stampa italiana sia un po’ vietato parlare male o poco bene di Paolo Sorrentino, sembra che si faccia fatica a dire che, ferma restando la grande, grandissima stima nei confronti dell’Autore, l’ultimo film sia meno riuscito degli altri. A un’analisi linguistica attenta, saltano agli occhi delle frasi concessive, degli avverbi limitativi, degli aggettivi non propriamente positivi, ma il tono complessivo, i voti e le stellette sono tutto sommato molto alti, che si tratti di web-magazine o delle firme prestigiose di quotidiani a tiratura nazionale.
Dopodiché, basta andare su Wikipedia, anche solo la pagina italiana, anche solo esaminando gli esiti dei cosiddetti aggregatori (Rotten Tomatoes, Metacritic) si scopre che la critica internazionale è stata ed è di tutt’altro avviso e che il film di Paolo Sorrentino ha ricevuto per lo più critiche da negative a molto negative. In medio stat virtus? Chissà, forse.
Fatto sta che moltissime delle numerose perplessità che ho provato uscendo dalla sala, dove ho visto il film, le ho ritrovate nella critica internazionale, mentre nella critica italiana faccio fatica a trovare qualcosa che mi convinca, al punto da leggere osservazioni che mi inducono a domandare e domandarmi: scusate, abbiamo visto lo stesso film?
Prima di provare ad enucleare alcune delle ragioni che mi spingono ad esprimere tutte le perplessità su Parthenope, mi sia consentito di fare quello che di solito un critico non fa, ossia citare – alla lettera – le parole di un collega, che – a mio avviso – perfettamente riassume il mio personale giudizio su un film. Il critico in questione è uno dei miei preferiti in assoluto e si chiama Peter Bradshaw, lavora dal 1999 per The Guardian, e fra le molte cose giuste, scritte in occasione della presentazione a Cannes, Bradshaw qualche mese fa scrisse una frase che traduco e che sottoscrivo appieno: “È un film che continua a sottolineare la propria presunta ricchezza e profondità, ma non è chiaro se questa storia artificiosa abbia davvero molto di entrambe, e la qualità assurda e onirico-favolosa del tutto impedisce l’investimento emotivo ordinario necessario per commuoversi di fronte all’apparizione di Parthenope come donna anziana proprio nel finale.”. Cercherò dunque nelle righe che seguono di spiegare le ragioni che producono, a mio avviso, la mancanza di quello che Bradshaw chiama “emotional investment”, quell’investimento emotivo che molti altri film di Sorrentino sicuramente garantivano: Le conseguenze dell’amore, This Must Be The Place, Il Divo, La Grande Bellezza e È stata la mano di Dio.
- Parthenope si presenta con tutta evidenza come un’allegoria, il personaggio che dà il titolo al film rappresenta fin dal nome Napoli, la quintessenza della città. Sembra che Sorrentino ci voglia dire che tutte le volte che si parla della protagonista (interpretata da giovane da Celeste Dalla Porta) si voglia in qualche misura alludere anche alla città, entrambe amate ma disprezzate, bellissime e ambigue, pure e corrotte. Ebbene, a mio personale avviso, l’allegoria non funziona perché Parthenope e Napoli sono due cose, mi pare, radicalmente diverse.
- Partiamo con Parthenope. Parthenope è bella, bellissima e tuttavia sembra per tutto il film non sapere che cosa farsene di questa bellezza, anzi la bellezza sembra un ostacolo. Da un lato la usa come strumento di seduzione e di potere, decidendo se e quando venire incontro alle numerose offerte che le vengono avanzate: dal fratello Raimondo, da Sandrino, il suo primo fidanzato, dall’industriale munito di elicottero, dal camorrista, da Flora Malva, l’insegnante di dizione interpretata da Isabella Ferrari, in parte dal professore, dal cardinale; dall’altro sembrerebbe ambire ad essere valorizzata anche per altre sue doti, come il talento attoriale, dapprima, e per le sue doti intellettuali, come studentessa prima, come aspirante docente di antropologia poi, anche se per tutto il film non sembra che Parthenope sia perseguitata da un’ambizione particolarmente marcata, tale da, per esempio, sacrificare la propria vita sentimentale e/o la sua maternità a vantaggio della sua vita professionale. Si ha la sensazione per tutto il film che Parthenope sia una donna fondamentalmente frigida che ama certamente essere guardata, essere ammirata ma che di questi sguardi voyeuristici, di questa ammirazione non sa che farsene. È vero che da un certo punto in poi – dal suicidio del fratello – Parthenope sembra una creatura traumatizzata ma non mi pare di poter dire che il suo atteggiamento nei confronti del mondo cambi radicalmente a valle della perdita del fratello. Mancano molti dettagli della sua vita, va detto, visto che il film presenta un’ellissi di una quarantina d’anni. Che ha fatto Parthenope in quel di Trento per quarant’anni?
- Passiamo a Napoli. Non mi pare che Sorrentino abbia tantissime cose, o comunque cose particolarmente originali da dire su Napoli: bellezza e degrado, malaffare e teatralità, miseria e nobiltà, vicoli e Barocco, religione e religio (ossia superstizione). Ci sono, è inutile negarlo, scene di straordinaria bellezza e suggestione, fra le quali mi piace ricordare quella iniziale con l’arrivo della carrozza via mare, la scena dei panieri che si abbassano nella notte, ma anche tanto tanto dejà vu, tante, a tratti davvero stucchevoli, cartoline napoletane (adesso dico un’eresia: da un momento all’altro avevo la sensazione che stesse per arrivare Monica Guerritore, reduce da Inganno), tanto tanto mare, tanti, troppi ralentis, un uso pronunciato dei colori bianco e azzurro (per chi non lo sapesse i colori sociali della Società Sportiva Calcio Napoli, vedi sotto). Anche l’ormai celeberrima invettiva anti-Napoli, pronunciata dalla diva napoletana emigrata, una sorta di simil Sofia Loren pesantemente invecchiata e affetta da alopecia, interpretata da Luisa Ranieri, non mi pare che sia un esempio particolarmente fulgido di scrittura.
- Soffermiamoci un attimo proprio sulla scrittura, nel senso eminentemente testuale di Sorrentino. Mi pare che il film rischi a tratti di essere un autentico florilegio di aforismi, volto, almeno in parte, a suggerire significatività, un carattere eminentemente gnomico, quasi sapienziale a moltissime delle battute di quasi tutti i personaggi, fra i quali spiccano soprattutto John Cheever (interpretato come al solito in modo magistrale da Gary Oldman), il professore di Antropologia, interpretato da Silvio Orlando (che a un certo punto ci dice alla domanda ricorrente in tutto il film “Che cos’è l’antropologia?” Che l’antropologia è: vedere, wow, per chi non l’avesse capito: antropologia=cinema…), il cardinale, interpretato da Peppe Lanzetta e la stessa Parthenope. Tutta la scrittura di Sorrentino, va detto, presenta una tendenza alla gnome, qui a mio avviso l’autore eccede perché lo spettatore non ha materialmente il tempo di riflettere su una sentenza che si ritrova a dover ragionare sulla prossima. Il film soffre di un certo citazionismo, verrebbe da chiamarlo anche intellettualismo, a cui contribuisce non poco anche la scelta, decisamente poco convincente, di collocare un numero significativo di scene in un ambiente che non verrebbe spontaneo mettere in relazione con Sorrentino, ovvero l’università.
- Ecco: l’Università. Diciamolo chiaramente: raccontare l’Università è difficile, difficilissimo, né è pensabile chiedere a Sorrentino di farlo attenendosi a dei paradigmi realistici. Tuttavia, scusatemi, ma in nessun momento del film mi è riuscito credere a Parthenope, professoressa ordinaria di Antropologia Culturale, in nessun momento la sentiamo dire mezza frase che vada oltre qualche aforisma appunto, qualche domanda retorica. O sono troppo esigente? Lo spettatore ingenuo potrebbe rispondermi: ma cosa vuoi? La cooptazione all’Università non funziona forse così, al Sud poi…No, scusatemi, a me pare che non si possa rappresentare l’Università (anche l’Università dei primi anni ’80) in questo modo, il professore che di fronte a una studentessa fa a pezzi le tesi, l’assistente (Parthenope) che dà 30 e lode a una studentessa che non apre bocca solo perché sta per partorire, visto che dopo il parto non ce la farà comunque a superare l’esame etc. etc. Di nuovo: non chiediamo a Sorrentino di essere realista, ma Parthenope è del 1950 e va in pensione nel 2023, a settantatré anni, laddove i professori ordinari in Italia vanno in pensione a 70 anni, ma…ma Parthenope doveva, una volta pensionata, tornare a Napoli e doveva farlo in concomitanza con lo scudetto del Napoli che è notoriamente avvenuto nel 2023 e Parthenope/ Stefania Sandrelli doveva assistere confusa e felice allo spettacolo del barcone pieno di tifosi che sfilava sul vialone che porta il suo nome (non poteva mica andare in pensione e tornare a Napoli nel 2020 perché avrebbe trovato un Napoli, arrivato solo settimo in Campionato).
- Già, la cronologia. Il film è prodigo di date in sovraimpressione, a cominciare dalla data di nascita di Parthenope, date concentrate fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, uno dei periodi più turbolenti della Storia italiana, che ha vissuto epocali trasformazioni nel costume, a cui Sorrentino qua e là sembrerebbe voler alludere per esempio in una brevissima sequenza di nuovo al rallentatore e muta in cui un gruppo di manifestanti si scontra con la Polizia oppure tramite un’attenzione, per la verità piuttosto distratta ai cambiamenti indotti dalla moda (non dimentichiamo che il film è coprodotto da Saint Laurent – e si sente!) o ancora a eventi traumatici nella storia di Napoli, come lo scoppio del colera nell’estate del 1973. Ecco, anche qui sfugge il senso di queste allusioni alla Macrostoria. Anche tenuto conto di quel salto a pie’ pari di ben 40 anni fra l’inizio degli anni ’80 e il 2023. Sorrentino vuol forse dirci che fa solo finta di fornirci dei riferimenti cronologici, che la Storia non conta nulla, è solo una presa di giro? Non so.
- Un’altra riserva riguarda la scelta e l’utilizzo musica extradiegetica, espediente a cui ricorrono, mi sia consentito affermarlo, registi di un’altra caratura rispetto a Sorrentino. La scena di Andreotti e moglie che ascoltano mano nella mano I migliori anni della nostra vita di Renato Zero è semplicemente memorabile per il suo gradiente di straniamento. Ma la pur straziante Era già tutto previsto (1975) di Riccardo Cocciante a fare da sfondo musicale alla scena bertolucciana del ballo lento à trois che precede la morte di Raimondo è troppo, mi sia consentito, ruffiana. E Che cosa c’è (1964) di Gino Paoli è da un lato abusata anche nella pubblicità e dall’altro poco significativa, non fornisce né una reduplicatio di quel che vediamo e neanche, appunto, uno straniamento.
- Posso, in conclusione, aggiungere un’ultima obiezione, pur sapendo perfettamente di essere a rischio wokismo? Parthenope è un film che dietro le pronunciate valenze mitiche della vicenda (la storia di una Sirena), mette in scena il corpo (certamente anche quello maschile) ma soprattutto, e di continuo, quello femminile in un modo alquanto discutibile, il tasso di voyeurismo è altissimo, lo sguardo è chiaramente molto molto maschile.
Recensendo Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti affermai che Sorrentino è l’unico regista italiano vivente, insieme a Moretti appunto, a proposito della cui opera si sia giunti a coniare un aggettivo: morettiano, sorrentiniano. Moretti e Sorrentino sono gli unici registi italiani, forse, con uno stile assolutamente riconoscibile. Ma stile riconoscibile significa – e la cosa vale anche per Moretti – altissimo rischio di manierismo. Le cose di cui tratta il regista – la vita, la morte, la giovinezza, la bellezza, il successo, la malattia etc. – sono di importanza capitale e avrebbero meritato un tasso inferiore di manierismo, forse maggior rigore, pur nell’assoluto rispetto degli stilemi dell’autore.
Anche se poi, quando a Sorrentino parli di rigore, forse gli viene in mente soltanto Maradona.
P. S. Il fatto che a un certo punto il professore affermi – l’aforisma che mi ha più convinto di tutto il film! – che il miglior antropologo di tutti era Billy Wilder non significa neanche lontanamente che in questo film vi siano tracce della sua poetica, della sua ironia, dei suoi meravigliosi dialoghi.
Bravissimo. Sempre stato impossibile parlare male dei mostri sacri del cinema, in Italia. Tutti conformisti. I giornalisti italiani lo sono, purtroppo.
( la miglior battuta del film l’ha fatta uno spettatore dietro me , a cui nel silenzio è uscito, in un soffio nascosto tra le labbra: “che palle!”)
Buonasera…ho visto al cinema questo film in una città del nord est d’ Italia…io sono campana, trasferita al nord da trent’anni e amo Napoli come amo tante altre città bellissime d’ Italia….questo film per me è orribile…a parte la bellezza delle immagini e la recitazione di attori magistrali per me questo film non si doveva fare…Napoli non è una donna che si dà a tutti, persino al cardinale nella basilica di San Gennaro… Non sono un critico cinematografico ma il principale messaggio che è passato in questo film è che la donna è ancora un oggetto dove gli uomini possono approfittare…basta poco…altro che donna libera… Partenope nel film è schiava del piacere, del quale non sa fare a meno…. Neanche dopo le morte di un fratello….e ancora peggio quando abortisce perché quel bambino non è frutto dell’ amore ma del puro piacere. Ieri sera al cinema erano presenti molti giovani dai 20 ai trent’anni circa…ma che messaggio è stato dato a questi giovani? I giovani oggi hanno bisogno di forti messaggi positivi, di affetto, di famiglia, di affrontare i sacrifici, perche’ i sacrifici pagano sempre.Questo film denigra la donna a puro oggetto. Giovani che non hanno vissuto Napoli…ne’ gli anni 50, né il colera, né la rivoluzione giovanile, né il 68…l’ unica cosa positiva è che a questa donna piaceva studiare fino a diventare una brava professoressa universitaria…ma per fortuna ha avuto la consapevolezza di non essere né moglie e né madre perché non ne era assolutamente capace…Mi dispiace Sorrentino, ma questo film è veramente brutto…
Concordo….. inizialmente l idea c era , poi è diventato tutto un miscuglio di scene forzate per ” rappresentare Napoli nei vari decenni .
Non è sentimentale , non è erotico , è solo una grande pubblicità . Bella e brava l attrice celeste dalla porta e bella la canzone di cocciante… e poi stefania sandrelli non è per niente somigliante alla protagonista , bastava ” truccare” Celeste .
Perfettamente d’accordo.Celeste rende benissimo Parthenope, donna e sirena, capace di restituirci le mille facce di Napoli, e le sue infinite contraddizioni.
Scenografie meravigliose, fotografia emozionante…io, da profana, spero proprio lo candidino all’Oscar.
Tutti gli attori mi sono piaciuti, ma Celeste della Porta mi ha conquistata, reale simbolo della bellezza e della gioventù che, ahimè, durano troppo poco!
Io mi sono emozionata!
Sono di Torino ho visto il film e concordo in pieno con lei film confusionario eccesso di manierismo scene che ricordano the young pope (il cardinale di the young pope interpretato da Orlando che assiste il disabile ora divenuto professore con il figlio …), scene con il cardinale del Duomo che forse erano pensate per la terza stagione dopo the new pope , etc etc e Napoli denigrato, in piu’ Fellini docet..
È vero la giovane Parthenope non si vede mai studiare ne entrare in una biblioteca Universitaria però l’ affermazione che non è capace di essere madre è il giudizio più giudicante che una donna possa dare su un’altra donna. È il film vuole proporre proprio questo messaggio: io non la giudico e lei non mi giudicherà.
è un film di filosofia, bisognerebbe avere l’umiltà di fermarsi un attimo a riflettere sulle parole di questo film. possiamo discutere sul fatto che non sia estremamente organico. ma ci sono frasi meravigliose. e no, Parthenope non si dà a tutti. non si dà all’uomo ricco che la tartassa dall’elicottero. non è una schiava del piacere. e sembra che la mentalità della donna oggetto ce l’hai tu. Una donna è libera di fare sesso con quanti uomini vuole, senza che debba essere giudicata come un’amante del piacere, o, una puttana. Parthenope ha sempre SCELTO con chi fare l’amore, ha sempre tenuto il pallino. Appunto, Parthenope è una donna speciale, perché “non approfitta della sua bellezza”. Quando all’esame prende 30 e lode perché sa di non sapere (o quando da professoressa dà 30 alla ragazza perché non sarebbe più tornata). Quando lo scrittore le dice: “beauty is like war, it opens doors”. Quando Achille Lauro le chiede: “ma tu se io avessi 30 anni di meno, ti sposeresti?” e lei risponde: “la domanda è un’altra: si metterebbe lei con me se avessi io 30 anni di più?”. se questa non è una donna con le palle… su napoli… se non la rappresenta alla perfezione… Napoli è la città del sacro e del profano, e il vescovo lo rappresenta perfettamente. da san Gennaro al vescovo che chiede il drink … ci sarebbero mille cose da dire. ma non è facile neanche ricordarsi tutto… fatto sta che tornerò a breve a vederlo. un film monumentale, e invito tutti a rivederlo un’altra volta, perché sono sicuro che ci siamo molto da capire con una seconda visualizzazione, perché non è immediato nulla.
Caro recensore intanto il consiglio è di usare parole più comprensibili per le tue dotte recensioni , non siamo all’ altezza della tua infinita cultura che ti sforzi un tutti i modi di mostrare al mondo.Una sola osservazione quelli che tu hai scambiato per lanterne altro non sono che i #panieri in plastica che nelle zone popolari di Napoli si usano per “salire” la spesa ed altro a casa ! E se non hai capito nemmeno questo di che vuoi parlare Il film a me è piaciuto, leggermente slegato e a tratti generosamente sgangherato ma mi è sembrato seppure non perfettamente riuscito un film onesto, sincero ed innamorato di Parthenope personaggio e città!
Caro Domenico, la ringrazio della segnalazione relativa ai panieri. Ho corretto subito il mio errore.
Cordialmente, Matteo
visto ieri , premetto che per alcuni registi ho un impulso s verde tutta la filmografia, anche quelli che poi mi sono piaciuti meno o addirittura mi hanno quasi infastidito . SORRENTINO è uno di questi. parthenope è un film SORRENTINIANO , come dice lei, e capisco il giudizio di uno spettatore all uscita , il che palle, comprendo che non tutti possano esserne usciti soddisfatti, ma la domanda che avrei voluto fare a questo spettatore è: la grande bellezza , ti era piaciuto tantissimo ?
cosi come ho rivisto la GRANDE BELLEZZA , rivedo questo film, propio per capire se le critiche da te mosse e che in me , in alcuni casi , un po anelano possano essere confermate oppure ricollocate in maniera non contraddittoria nella sceneggiatura . preciso che ho goduto di due ore di CINEMA, ho sorriso , mi sono commosso e non ho mai distolto lo sguardo e l ‘a attenzione dal film. grazie per la sua recensione.
visto ieri , premetto che per alcuni registi ho un impulso a vedere tutta la filmografia, anche quelli che poi mi sono piaciuti meno o addirittura mi hanno quasi infastidito . SORRENTINO è uno di questi. parthenope è un film SORRENTINIANO , come dice lei, e capisco il giudizio di uno spettatore all uscita , il che palle, comprendo che non tutti possano esserne usciti soddisfatti, ma la domanda che avrei voluto fare a questo spettatore è: la grande bellezza , ti era piaciuto tantissimo ?
cosi come ho rivisto la GRANDE BELLEZZA , rivedo questo film, propio per capire se le critiche da te mosse e che in me , in alcuni casi , un po anelano possano essere confermate oppure ricollocate in maniera non contraddittoria nella sceneggiatura . preciso che ho goduto di due ore di CINEMA, ho sorriso , mi sono commosso e non ho mai distolto lo sguardo e l ‘attenzione dal film. grazie per la sua recensione.
Ho visto il film e l’ho trovato noioso, a tratti arrogante nel tratteggiare una visione di Napoli che ho trovato per niente originale . Apprezzai moltissimo La grande bellezza che è stato un ritratto geniale e fedele di una Roma decadente, ma credo proprio che questa volta a sorrentino siano mancate le idee, per cui ce le ha condite in modo piccante per coprire un sapore scialbo. Non lo condivido quando in varie interviste dice che un film non deve avere una trama ” perchè la vita non ha una trama”… mi sembra un’altra frase ad effetto come quelle che ha messo in bocca ai suoi personaggi. Parafrasando il regista Antonio Capuano del suo penultimo film, forse questa volta….non aveva molto da dire
Ho dormito a intermittenza durante il secondo tempo. Non sono prevenuto: La Grande Bellezza mi ha commosso, i film precedenti mi hanno sempre lasciato qualcosa, da ricordare, da ripensare, da rivedere. Parthenope mi ha annoiato e irritato. La protagonista- bravissima – non è minimamente credibile come “docente di antropologia” – le bocche di tutti che rigurgitano citazioni, autoreferenzialita’ , intellettualismo ermetico raccontate le a chi non ha un dottorato come me. Napoli non mi entusiasma ma riconosco la sua grandezza nel bene e nel male, questo film non ha aggiunto nulla alla mia comprensione o valorizzazione o conoscenza di Napoli. Le “trovate” che dovrebbero farti svegliare dal torpore a cui il film accompagna, tipo il figlio del
Professore- non valgono un tacco degli spogliarelli di una disperata tragica bellissima Ferilli in LGB. Non si può andare avanti a fare film che sono sempre più e e sempre più solamente esplorazioni del proprio io, ma non è ciò che fanno tutti? Che facciamo tutti? Forse si, però di Fellini uno ce n’è stato.
Sono molto perplessa. Il film mi è parso un accurato, ma solo marginalmente originale, esercizio estetico. Le tematiche sono buttate come a pennellare velocemente una tela. No coinvolgimento, no emozione, solo contemplazione
Non condivido nulla di questa recensione. Ho visto il film, come sempre faccio, senza leggere prima critiche e recensioni. Ne ho lette diverse adesso. Ma giudico un film anche e soprattutto per quello che ti lascia dentro, emozioni, turbamenti, sorpresa, gioie, sofferenze. E in questo film, c’è tanto, tantissimo, forse per qualcuno anche troppo, di tutto questo. Personalmente l’ho o trovato un film struggente e sorprendente.
Personalmente ho trovato questo film di Sorrentino un po’ velleitario, una successione di scene poco armoniose. Se l’idea di rappresentare Napoli attraverso la figura femminile della ragazza, poi donna, Parthenope poteva risultare interessante, alla fine dei giochi anche io non sono convinta che l’allegoria abbia funzionato attraverso lo svolgimento del film.
Peccato, avevo apprezzato moltissimo “E’ stata la mano di Dio” e mi aspettavo un film diverso. “Parthenope” mi sembra essere più vicino stilisticamente a “La grande bellezza”, che neanche avevo amato molto.
Film intellettualoide sperimentale immaturo psicanaliticamente narcisista… john Cheever è uno scrittore che ha ispirato Carver e Carver è chiamato il Cechov americano… I nostri cineasti con il marchio del PD sono radical chic … non credo che i napoletani saranno grati a Sorrentino e gli attori abbiano capito che personaggi hanno mostrato.. da La grande bellezza a la grande c…..a . Se Partenope è la metafora di Napoli….è una città mala di Alzheimer. Immagini bellissime ..
Ci mancava anche il commento del destrorso ora. Non vi è finita ancora la sbornia delle elezioni? Ma per favore.. lasciateci almeno il cinema
Un regista come Sorrentino sa creare scene memorabili che rimarranno nell’immaginario collettivo e nella storia del Cinema. E’ troppo bravo ( e lo ha dimostrato ormai ampiamente) per non riuscire ad esprimere in modo sempre originale le sue visioni.
Paolo Conte ci ha magistralmente donato in “Spassiunatamente” l’essenza di Parthenope in due ritornelli :
“Parola su parola nce arrivammo,
Nce arrivammo ncopp o mare,
Scustamato paraviso
Siamo mangiatori di pesce,
Ne facimmo na passione,
Cercatori noi
Di siguardi e malintesi,
E truvatur e sole
E truvatur e sole
Che ce par e ved
Che ce par e truv
Na femmena
Ah, bbella, bella, bella, bella
Famme ved,
Famme cap
Bbona, bona, bona, bona
Famme guard,
Famme tucc
Ah, che sera!…
Na scudisciata turcomanna
E mezza luna”
Nel minestrone visto ieri sera al cinema in compagnia di Fellini, Rosi e Malaparte passando per De Sica (non ho visto De Filippo ne’ il Principe), da anziano cinefilo mi permetto solo di osservare che il confronto/ imitazione con Antonioni e Bergman oggi può essere devastante. Nelle partiture teatrali raramente il silenzio del personaggio viene protratto per pagine e pagine lasciate bianche…. pagine di copione senza testo: perché nel cinema la PAUSA o il RIMANE IN SILENZIO o il NON RISPONDE dei copioni si trascina in primi piani estenuanti di narcisistico fotografico autocompiacimento e, in questo caso, dalla reiterata angosciosa domanda “a cosa stai pensando?”.
La domanda è rivolta a me/ al personaggio dopo aver assistito a qualcosa di terribile per capire cosa fare dopo? I meandri del pensiero sono troppi e si percorrono troppo velocemente perché la parola possa, in qualche caso, aiutarci a riemergere con qualcosa in mano; il più delle volte ritorniamo al presente portando con noi una contestualizzazione filosofica che speriamo ci aiuti a proseguire. Le risposte sempre pronte di Parthenope, come dice la Ferrari, sono indice di sfacciataggine.
Il Miracolo, il suo significato antropologico, l’impatto sociale, l’utilizzo e i suoi Gestori lasciamoli alla gente vera di Napoli, a quella massa che crede perché ha bisogno di credere, la stessa massa che oggi vediamo in ogni parte del mondo: il trascendente e’ sempre più presente e incombente su di loro. E assetato di sangue. Personalmente sono ateo e sarei iconoclasta, ma è affar mio: trovo un inutile esercizio la indulgente rappresentazione di Napoli/Parthenope che si concede al Ministro. Ed è irrispettosa per le masse di cui sopra.
Il dialogo di Nino Manfredi con San Gennaro non va dimenticato, perché è troppo reale.
Ho visto da poco il film e l’ ho apprezzato molto. Ho amato le immagini, i dialoghi, il grottesco e la trama. Sono una mente semplice, scusate, e quindi mi basta emozionarmi e distrarmi quando vado al cinema. Lascio a voi espertoni ogni altra analisi profonda
Non sono d’accordo con il giudizio di Saverio che presenta una visione critica e articolata, rispetto alla quale ci sono alcuni punti che meritano di essere confutati.
Originalità di Sorrentino: Saverio sostiene che Sorrentino, nonostante il suo talento, ricorra a pause e silenzi eccessivi, paragonandolo negativamente a registi come Antonioni e Bergman. Tuttavia, Sorrentino ha uno stile distintivo che utilizza i silenzi non come un vuoto, ma come un modo per far riflettere lo spettatore e per costruire atmosfere. Questi momenti possono anche intensificare l’emozione e il coinvolgimento con i personaggi.
La rappresentazione di Napoli non è indulgente. Napoli è un mosaico di storie, e Sorrentino riesce a catturare non solo il suo lato folkloristico, ma anche le sue contraddizioni sociali e culturali.
Per quanto riguarda il Dialogo con il sacro, si corre il rischio di minimizzare il valore del dialogo con il trascendente, affermando che rappresentazioni come quella di San Gennaro siano irrispettose. In realtà, affrontare temi religiosi e antropologici attraverso la lente di Sorrentino può stimolare una riflessione profonda su credenze e tradizioni, non solo per il pubblico napoletano, ma per tutti.
Valore dell’arte: dissento dalla lettura precedente che sembra vedere l’arte come un semplice riflesso della realtà, mentre Sorrentino invita a un’interrogazione più profonda. La sua opera non si limita a rappresentare, ma provoca, provoca pensiero e discussione, in modo che lo spettatore possa esplorare non solo ciò che vede, ma anche ciò che sente.
In conclusione, il lavoro di Sorrentino può suscitare opinioni contrastanti, ma la sua capacità di evocare emozioni e pensiero critico è ciò che lo rende un regista significativo nella storia del cinema.
Orlando Sassaroli
Caro Orlando, senza scomodare oltre Brecht, i formalisti Russi, e ricordando che il cinema muto era comunque espressivo, citerei a chiosa Groppone da Ficullo: : “Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. La Storia del Cinema è altra cosa, ne riparliamo fra 30 anni.
A parte La grande bellezza, tutti i film di Sorrentino fanno pena.
La protagonista mi ha ipnotizzato.
Film forse farraginoso ma zeppo di tutto con immagini meravigliose.
Ho capito con non va capito ma va subito ed allora mi è piaciuto moltissimo.
E finalmente una recensione tecnica.
Peraltro tanti parlano di sentimenti, di metafora dello stare al mondo, io di sentimenti ne vedo assai pochi, tanta solitudine, se questo è lo stare al mondo….