Quanti sono i registi in Italia che sono assurti all’onore di un aggettivo tratto dai loro cognomi? Secondo me solo quattro. Fra i registi del passato solo due, ovvero Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, dunque felliniano e antonioniano (anche se quest’ultimo è fortemente allitterante e il correttore di word me lo sottolinea di rosso, cosa che non accade per felliniano). Ovviamente si potrebbe provare anche a dire rosselliniano o pasoliniano o bertolucciano, ma la varietà, l’eclettismo nei temi e nelle forme di questi tre grandissimi autori non ha permesso il conio di un aggettivo capace di intercettare uno stile, a tratti una maniera, condivisi dal pubblico cinefilo o dal pubblico tout court (sempre per restare al correttore di word: rosselliniano e pasoliniano me lo passa, bertolucciano no, ma Pasolini gioca su due fronti, non vale). Se passiamo al presente ce ne sono altri due: Nanni Moretti e Paolo Sorrentino, dunque morettiano e sorrentiniano (word: il primo sì, il secondo no).
Essere finiti nel vocabolario è un grande onore, una responsabilità, chissà forse una condanna. E Nanni Moretti nel vocabolario ho la sensazione che ci sia finito molto presto: se non già con Sogni d’oro (1981), certamente con Bianca (1984). In realtà penso proprio che tutto sia iniziato già più di quarant’anni fa con Sogni d’oro che non a caso è anche il primo film di Moretti che, fra le altre cose, ruota su un film da farsi, in quel caso era un film su Freud. Se non vado errato, questo che è il quattordicesimo film di finzione di Nanni Moretti è il sesto film su un film che si sta girando o che si vorrebbe girare. Dopo Sogni d’oro, ricordiamo almeno il primo capitolo di Caro Diario (In Vespa), ma un po’ tutto quel film, poi Aprile (Moretti deve girare un film sul presente, sulla campagna elettorale mentre vorrebbe tanto girare un film, un musical su un pasticciere trozkista e alla fine lo gira davvero), poi Il Caimano (il film, di cui al titolo, scritto dalla giovane regista Teresa, interpretata da Jasmine Trinca che potrebbe salvare le sorti di una casa di produzione sull’orlo del fallimento e quel film malgrado tutto viene girato), poi Mia madre (2015) dove è Margherita Buy interpretare la parte di una regista, ancora una volta di un film impegnato sull’occupazione di una fabbrica.
Se ci facciamo caso, attraverso il cinema, ricorrendo al meta-film, Moretti intende negoziare un conflitto primario fortissimo del suo cinema, quello fra autobiografismo sempre a rischio narcisismo, o se vogliamo art pour l’art, e impegno, e questo conflitto non riesce mai del tutto a trovare un punto di compromesso, la scelta di girare un determinato film sembra spesso una scelta di testa, cerebrale mentre la sfera più propriamente libidica tende altrove.
Stavolta non sarà così.
Nell’ultimo film appena uscito intitolato Il sol dell’avvenire, il discorso si complica ulteriormente per diverse ragioni che proverò a spiegare, non senza prima aver detto che – pur con qualche riserva, su cui pure mi soffermerò – siamo di fronte a un film a tratti molto bello e commovente, a un film importante, forse il migliore di Moretti dai tempi di Aprile. Perché il discorso si complica? Perché Nanni Moretti alza il tiro e prende di petto come non aveva fatto mai la Storia. Il film che gira (se non mi sono distratto si tratta di un film che non ha un titolo, a meno che il titolo del film che stiamo vedendo non sia anche il titolo del film nel film) è un film storico, quello che gli inglesi chiamano un period film, è ambientato nel 1956, in un anno fondamentale e tragico per la storia della sinistra europea, segnatamente italiana, segnatamente per il PCI, l’anno dell’invasione d’Ungheria. Una sezione del PCI del Quarticciolo, diretta da un amabile ma perfettamente allineato segretario interpretato da Silvio Orlando ha l’idea di invitare un circo ungherese dal nome ultramorettiano di Cirkusz Budavari (richiamo esplicito a Palombella rossa, era il nome del temibilissimo centroboa della squadra avversaria di quella in cui militava Michele Apicella) proprio nei giorni in cui la rivolta nella capitale dilaga e, di lì a pochissimo, i carriarmati sovietici irrompono a Budapest e nel sangue reprimono la rivolta. I circensi solidarizzano con i rivoltosi della madrepatria e anche la militante comunista italiana Vera interpretata splendidamente da Barbora Bobulova, una sarta segretamente (ma neanche troppo) innamorata del segretario, sta dalla parte dei rivoltosi e vorrebbe che il suo (amato) segretario facesse altrettanto. Questo è il film nel film. Non dirò come va a finire, dirò solamente che il regista – fra le decine di altri citati nei 95 minuti di durata – che viene immediatamente in testa a chi vede la fine è Quentin Tarantino (non so se Moretti vi abbia esplicitamente voluto alludere, non conosco il parere di Moretti su Tarantino, anche se…) e segnatamente il suo ultimo film, e segnatamente l’ultima sequenza del suo ultimo film, la conclusione controfattuale del massacro di Cielo Drive.
In parallelo alla vicenda del film nel film c’è la storia chiamiamola privata di Giovanni (Nanni Moretti), il regista del film, che sta insieme da quarant’anni con la moglie Paola (interpretata da Margherita Buy, giunta al quinto film col regista romano, spesso nel ruolo di moglie sua o del relativo protagonista, solo in Mia madre, la sorella) che è anche la produttrice o per meglio dire la produttrice esecutiva del film, che come tutti i film nei film che si rispettano rischia di naufragare per una qualche ragione, qui per problemi di budget. Diciamo subito quel che lo spettatore subito capisce: Paola non sopporta più il marito, non sopporta più Moretti, le sue fissazioni, le sue idiosincrasie, e sta affrontando per un percorso analitico per riuscire a separarsi da lui. Non riveliamo se ci riuscirà oppure no.
Diciamo che quanto la metanarrazione è fantasiosa e a tratti commovente, tanto la narrazione privata, che s’intreccia in più parti anche con il film storico, è un po’ faticosa, a tratti prevedibile, già vista, talora addirittura fastidiosa (della vicenda che vede coinvolta la figlia dei due si sarebbe potuto fare a meno).
Ciò che unisce le due narrazioni è l’esasperato (auto)-citazionismo morettiano, che – lo ripeto – nella metanarrazione funziona, in quella privata molto meno. Le idiosincrasie del protagonista, in linea con le tante idiosincrasie che uno spettatore di Moretti conosce a menadito (le scarpe, Roma, la violenza nel cinema, i gelati e i dolci, i calci al pallone, le canzoni e il canto stonato, il ballo), sono spesso decisamente forzate, com’è forzata la recitazione di Moretti, a cui nessuno si sognerebbe mai di chiedere una performance da Actor’s Studio, ma che qui risulta decisamente sopra le righe, con un volume stranamente molto molto alto, Moretti letteralmente urla scandendo le parole in modo a tratti davvero fastidioso, come si può vedere anche nelle scene contenute nel trailer.
La narrazione cornice, quella che ho chiamato narrazione privata, è tuttavia anch’essa letteralmente impastata di cinema, di riferimenti al e riflessioni sul cinema che concentrano, come in uno specchio, i pregi e i difetti de Il sol dell’avvenire. Cito due episodi, a mo’ di esempio. La lunga, troppo lunga scena, qua e là certamente paradossale e anche divertente (vengono convocati in una sorta di agone dialettico Renzo Piano, Corrado Augias e Chiara Valerio), in cui Giovanni, in qualità di compagno della produttrice e collega, interviene, non richiesto, sul set di un film d’azione (anch’esso prodotto da Paola) e boicotta la scena di un’esecuzione violenta con cui il film dovrebbe chiudersi è l’occasione – per Moretti – di esprimersi sulla gratuità e serialità della violenza. Tutto molto nobile, ma anche tutto già tremendamente visto nel cinema di Moretti (ricordate nel primo episodio di Caro Diario, Moretti che legge al critico febbricitante, interpretato dal povero Carlo Mazzacurati, la sua recensione di Harry pioggia di sangue?) oltreché tutto estremamente semplicistico. Che ancora oggi Moretti senta il bisogno di scagliarsi contro il cinema di genere, sembra davvero patetico. Che Moretti si scagli contro Netflix, sembra davvero patetico.
Il secondo episodio in realtà non è un episodio, ma è – come spesso accade in Moretti – lo spunto per ulteriori narrazioni, per ulteriori film che vorrebbe fare, i film in questione sono due. Appena accennata – di fatto una falsa pista – l’idea di girare un film tratto da Il nuotatore di John Cheever (un film peraltro che è già stato realizzato da Frank Perry nel 1968 con Burt Lancaster nel ruolo del protagonista), occasione con tutta evidenza narcisistica di mostrare agli spettatori che è ancora uno splendido settantenne, ancora in grado di inanellare vasche su vasche. Più approfondito, insistito e decisamente emozionante lo spunto per un film su una coppia che viene seguita nel corso degli anni con le canzoni italiane a fungere da basso continuo (da Tenco a De André a Battiato) e a marcare gli alti e bassi della loro storia.
I due si conoscono, guarda caso, andando al cinema a vedere La dolce vita, di cui viene inquadrata la scena finale sulla spiaggia con Marcello Mastroianni e Valeria Ciangottini, un omaggio commovente al maestro riminese in questo film certamente diseguale ma con dei momenti altissimi. Fra tutti: la scena finale dove, in una sorta di un tableau vivant del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, Moretti sfila insieme a protagonisti e comprimari di tutto il suo cinema è veramente da antologia, dove si ride, dove si piange e ogni tanto ci si annoia. Possiamo dire che – girato a Cinecittà, con tanti set, con il circo e altre citazioni – Il sol dell’avvenire è il più felliniano dei film morettiani? Il saluto finale di Marcello (Marcello), il saluto finale di Giovanni (Nanni)…
In sala dal 20 aprile 2023
In Concorso al Festival di Cannes il 24 maggio
Il sol dell’avvenire. Regia: Nanni Moretti; sceneggiatura: Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Francesca Marciano, Velia Santella; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Clelio Benevento; interpreti: Nanni Moretti (Giovanni), Margherita Buy (Paola), Silvio Orlando (Ennio), Barbora Bobulova (Vera); produzione: Fandango, Sacher Film, Rai Cinema; origine: Italia 2023; durata: 95 minuti; distribuzione: 01 Cinema.