“Se mi guardi non ci riesco”: sono le parole di Pietro, di fronte allo scienziato che è venuto dall’America per esaminarlo. Siamo negli anni Settanta, in un paesino di montagna dell’Appennino romagnolo, e Pietro è un bambino capace di piegare i metalli al solo tocco: cresciuto da un padre duro e pieno di debiti, in un contesto povero e umile, ha delle doti eccezionali che lo fanno muovere in un mondo misterioso, un mondo in cui le leggi della fisica e i desideri più profondi sembrano confondersi.
Presentato in anteprima alla scorsa Berlinale nella sezione “Generation”, Le proprietà dei metalli è il primo lungometraggio di Antonio Bigini – classe 1980 nato a Bovolone in der provincia di Verona – che a lungo ha collaborato con la Cineteca di Bologna allestendo varie mostre sulla storia del cinema.
Prodotto dalla bolognese Kiné, che negli ultimi anni si è dedicata all’esplorazione di alcuni dei lati più nascosti e bizzarri della storia italiana soprattutto attraverso la valorizzazione del materiale d’archivio (da Il treno va a Mosca del 2013 fino a Il varco presentato a Venezia nel 2019), il film è tratto, molto liberamente, da una storia vera. La vicenda si ispira a un fatto poco noto, ovvero il fenomeno dei minigeller, quei bambini che alla fine degli anni Settanta, dopo l’esibizione televisiva dell’illusionista Uri Geller, avevano cominciato a manifestare abilità simili, come quella di piegare chiavi e cucchiai con il semplice tocco.
Come ha affermato il regista, quelli sono anni cruciali: “Gli anni Settanta sono stati il momento in cui l’Italia ha definitivamente rinunciato alla sua millenaria identità contadina per sposare la via del neocapitalismo. La vicenda di Pietro racconta gli ultimi bagliori di un paganesimo rurale, già contaminato dalla civiltà dei consumi”.
Nella sua ricerca dell’essenzialità, Le proprietà dei metalli sembra voler tornare a tempi più semplici: girato per lo più in interni, con pochi personaggi, lo sguardo del regista si sofferma su Pietro (interpretato dal tredicenne Martino Zaccara) e sugli oggetti che lo circondano come chiavi, coltelli, cucchiai, nel tentativo impossibile di penetrare il mistero e di raccontare quello che non si vede.
La casa dove si svolge il film è un luogo umile, è la casa di un taglialegna, le inquadrature mettono in risalto il grigio dell’ambientazione e trasformano la scenografia in un prolungamento dei sentimenti dei personaggi.
Il tavolo al centro della cucina, attorno a cui si riunisce la famiglia all’ora dei pasti e dove si svolgono gli incontri tra il bambino e lo scienziato, non è il luogo della gioia e della condivisione, ma il luogo che rafforza le situazioni di angoscia. Pietro e il fratello piccolo, orfani della madre, vivono con la nonna e un padre che non sa garantire loro un benessere materiale, ma neanche offrire un esempio o un sostegno emotivo. E in questo ambiente il destino dei due bambini pare segnato: nessuno può insegnargli com’è la vita lontano da quelle mura domestiche e come la società sta evolvendo. Resta solo la natura fuori dalla porta di casa, ma è così perfetta e completa, e nasconde qualcosa di segreto nella bellezza delle sue pietre e dei ruscelli: è la forza invisibile che domina la vita con le leggi della fisica. I bambini in qualche modo lo hanno intuito.
E così dolore e sofferenza possono trasformarsi in potere, comprimendo le emozioni in un’energia così grande da riuscire a piegare i metalli, proprio come fa Pietro, anche se non vediamo mai il momento in cui avviene il fenomeno misterioso.
Il film non dà risposte e soprattutto non sembra cercarle: a differenza degli scienziati, non abbiamo bisogno di vedere per credere alla “magia” di un bambino che cresce e impara a gestire l’universo soprannaturale dei suoi pensieri.
Le proprietà dei metalli è un percorso a ritroso nel tempo verso un mondo che non esiste più, e la sua ricostruzione è così fedele e credibile da sembrare un film di quarant’anni fa. Ricorda alcune vecchie opere di Luigi Comencini, per l’amore con cui si dedica al sociale e alle classi più umili, ma anche per la bravura nel dirigere i bambini. Bigini sa raccontare attraverso le immagini la spontaneità che il linguaggio del corpo dei bambini può regalare, si riconosce quella pazienza nell’attendere che si manifestino le espressioni del viso, o che i passi si muovano in maniera imprecisa e impacciata sul sentiero sabbioso.
Forse quello che manca è un tocco di contemporaneità, quella modernità nel linguaggio e nella struttura con cui non si può non fare i conti.
In sala dal 18 maggio 2023
Le proprietà dei metalli – Regia e sceneggiatura: Antonio Bigini; fotografia: Andrea Vaccari; montaggio: Ilaria Fraioli; interpreti: Martino Zaccara, David Pasquesi, Antonio Buil Pueyo, Edoardo Marcucci, Enzo Vetrano, Cristiana Raggi, Sara Santamaria, Marco Cavalcoli; produzione:Kiné Società Cooperativa, Rai Cinema; origine: Italia, 2023;durata: 93 minuti; distribuzione: Kiné in collaborazione con Lo Scrittoio.