Festival di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025): In the Hand of Dante di Julian Schnabel (Fuori Concorso)

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Un romanziere esperto di Dante, un pericoloso giro di affari loschi, un gangster violento e spietato, un misterioso manoscritto. Il film inizia in maniera potente e sorprende con una vicenda curiosa, dialoghi taglienti e a tratti tesissimi. Un elegante bianco e nero si alterna a un colore vivido e suggestivo. Tutto questo procede meravigliosamente per i primi trenta minuti: senti che stai assistendo a una grande opera, la curiosità cresce insieme all’entusiasmo. 

Poi compaiono, nell’ordine: John Malkovich, che sembra la versione di John Malkovich creata dall’intelligenza artificiale, mentre recita l’inizio della Divina Commedia in un italiano stentoreo; Martin Scorsese, vestito da Mago Merlino, che farfuglia banalità filosofiche senza alcun costrutto; una serie di sequenze girate con cattivo gusto e pigrizia; una tesi di fondo orripilante che comincia a far capolino; Oscar Isaac che comincia ad esibire il suo campionario di espressioni assorte, pensierose, meditabonde e contrite, mentre recita le battute con sempre meno convinzione; la povera Sabrina Impacciatore costretta a strepitare nei panni di una improbabile studiosa dantesca, alla quale si affianca un minaccioso Jason Momoa assetato di sangue, che pare però uscito da una pubblicità del campari, in doppiopetto e cappello fedora bianchi; Gal Gadot nei panni della Venere di Botticelli, di Gemma Donati, e pure di tale Juliet, costretta a sorridere mentre viene imprigionata in sequenze e situazioni oltremodo stucchevoli, ed infine l’attore/compositore Benjamin Clementine nei panni di Mefistofele che suona il piano, racconta una storiella, e poi riprende a suonare il piano. 

Nessuno, nessuno degli attori è stato messo nelle condizioni di poter dare una prova dignitosa, tutti sono stati infarciti di frasi raffazzonate, atteggiamenti ed azioni impossibili da riprodurre in maniera credibile (il cameo di Al Pacino, tra l’altro, è completamente superfluo all’economia della storia). Si ha l’impressione che il film non rispetti nessun elemento del cast stellare di cui è composto. Sono tutti a bordo di questa enorme imbarcazione destinata a schiantarsi, e lo si capisce ben presto, ma oramai nessuno può fare più nulla, si sono fidati di Schnabel, e hanno fatto male, in primis Martin Scorsese, che figura anche come produttore, sono lontani i tempi di Before the Night Falls (2000), il film di Schnabel che vinse, proprio a Venezia il gran premio della Giuria. 

Martin Scorsese

Qui si vuole fare un gangster movie con l’arroganza di chi si permette di ignorare (non sovvertire) le regole di un film del genere.  

Un film pseudo storico senza il rigore e il pudore necessari ad una tale operazione. 

Un melodramma sguaiato e melenso, questo sì, riesce bene.

La vicenda si svolge su due piani narrativi e temporali differenti: Uno è ambientato nel XIV secolo in Italia e in Sicilia, e ha come protagonista Dante Alighieri. L’altra si svolge nell’autunno del 2001 e segue una versione romanzata dell’autore stesso, Nick Tosches. (Entrambi interpretati da Oscar Isaac) 

Le due narrazioni, quella storica e quella moderna, si alternano. Dante cerca di finire di scrivere la sua opera più grande e intraprende un viaggio in Sicilia alla ricerca di conoscenze mistiche. Contemporaneamente, Tosches, in qualità di esperto di Dante, viene contattato da trafficanti del mercato nero di cui sopra, per verificare un manoscritto della Divina Commedia, che si crede sia stato scritto da Dante in persona. 

Una volta in possesso di queste pagine quadrate, leggermente ingiallite, davanti alle quali Oscar Isaac esclama senza ombra di dubbio: “Sono loro!”, passa circa mezz’ora prima che i nostri eroi giungano alla conclusione che il manufatto debba essere autenticato per avere una sua credibilità. Nel frattempo, ci si delizia con sagaci battute sulla relatività dell’arte e si fa un nuovo tuffo nel passato per una seconda conversazione tra Dante e Gandalf-Scorsese che verte su Dio, anima, aura, respiro ed esistenza. Brillante la trovata di utilizzare il bianco e nero per gli episodi del presente e il colore per quelli del passato; perché, spiega Schnabel: I gangster vivono in una sorta di purgatorio, si trascinano e guardano alla “Divina Commedia” come a una merce qualsiasi. Al contrario, nel XIV secolo – quando fu dipinta la Cappella degli Scrovegni (la cappella a Padova con gli affreschi di Giotto in cui è ritratto Dante) – gli alberi erano verdi e il cielo era blu. 

Se si trattasse di un semplice film mediocre con dialoghi improbabili, ma con una struttura perlomeno rispettosa del tempo che lo spettatore gli dedica, non ci sarebbe assolutamente nessun problema, anzi, la butteremmo sul ridere. Ma qui si avverte inevitabilmente un certo delirio artistico, una pretesa filosofica che inizialmente cura la forma, poi la lascia morire o la trasforma in sordido vezzo. Non si interessa minimamente della messa in scena, ma è convinta che la semplice operazione filmica in sé contenga gli elementi per essere legittimata. Ebbene, questo enorme fuoco fatuo è crollato giù. In the Hand of Dante è probabilmente il peggior film del concorso ufficiale. 

La gestazione del film è stata travagliata. Sono stati minacciati tagli che, ora che abbiamo finito di vedere questo colosso informe di quasi tre ore, siamo sicuri avrebbero giovato, ma probabilmente non salvato, la pellicola. Lo stile formale risulta, dicevamo, confuso, con un eccessivo utilizzo di movimenti di steadycam poco ispirati e quasi improvvisati. Il posizionamento degli attori è demenziale, la gestualità plateale e fuori luogo. La sensazione è di trovarsi all’interno di un episodio della webseries The Lady di Lory del Santo, o di una ricostruzione drammatica di qualche scadente docufiction italiana, e lo stesso bianco o nero, che ci pareva inizialmente così elegante, nelle ultime sequenze risulta pacchiano e demenziale. 

Nel difficile tentativo di scovare qualche pregio, possiamo segnalare il personaggio di Gerard Butler, che grazie ad una feroce mimica facciale e alla sua massiccia presenza, conserva quel briciolo di dignità che Schnabel ha strappato a tutti gli altri attori.


In the Hand of Dante (2024)Regia: Julian Schnabel; sceneggiatura: Julian Schnabel, Nick Tosches (dal suo romanzo); fotografia: Roman Vasyanov; montaggio: Marco Spoletini, Louise Kugelberg; musiche: Benjamin Clémentine; scenografia: Paki Meduri; interpreti: Oscar Isaac, Gal Gadot, Gerard Butler, Al Pacino, John Malkovich, Martin Scorsese, Jason Momoa, Sabrina Impacciatore, Franco Nero, Fortunato Cerlino, Lorenzo Zurzolo, Louis Cancelmi, Paolo Bonacelli, Guido Caprino, Benjamin Clémentine; produzione: DreamCrew Entertainment, MeMo Films, Twin Productions, Rahway Road Productions, Screen Capital, Tribune Pictures, World Vision, Exemplary/Valor Capital, Mad Gene Media; origine: Stati Uniti/Italia/Regno Unito/Canada, 2024; durata: 150 minuti. 

 

 

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