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Voto
Il nuovo film del regista Paul W. S. Anderson (Resident Evil) è tratto dal breve racconto omonimo In The Lost Lands dello scrittore George R.R. Martin, spesso definito il Tolkien americano dai suoi fan e autore del ben più famoso fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco da cui è stata tratta la popolare serie HBO Il Trono di Spade.
Il film inizia – e in modo classico la scena si ripete a fine film – con una sagoma che esce dall’ombra sullo sfondo sfuocato e si avvicina: è Boyce (Dave Bautista), un uomo dalle profonde cicatrici sul viso, che inizia a raccontare la sua storia e di come sia stato salvato dalla strega Gray Alys (Milla Jovovich). In un futuro distopico quel poco di umanità sopravvissuta si è riunito in un’unica città ed è ridotto in schiavitù dalla forza bruta di un esercito militare costituitosi sotto una setta religiosa che si fa chiamare The Church (La Chiesa). I suoi adepti, vestiti di tuniche con stampata sopra una grande croce che ricorda quella dei crociati, sono comandati dal Signore Supremo (Jacek Dzisiewicz) e sono sottoposti al volere della regina Melange (Amara Orereke), assetata di potere e odio. Quest’ultima ingaggia segretamente la strega Gray Alys, condannata all’impiccagione dalle autorità per eresia, di portargli la pelle e quindi il potere invincibile del lupo mannaro Sardor, mostro che vive nei pressi del River Skill fra le lontane terre di nessuno chiamate Lost Lands, che ancora mai nessuno è riuscito a sconfiggere. La strega, che dotata di poteri ipnotici può esaudire ogni desiderio, ha solo sei giorni di tempo per raggiungere la bestia prima della prossima luna piena, e decide di farsi accompagnare nella missione da Boyce, un cacciatore di mostri che ben conosce quei territori pericolosi. Così i due, lei munita di falcetti da druido, lui di pistole e un fucile che invece di proiettili lancia serpenti velenosi, partono, inseguiti dai guerrieri vendicativi di The Church, i quali torturano e uccidono chiunque abbia contatti con i due. Lungo la strada però sembra che Gray Alys conosca Lost Lands tanto quanto Boyce. Gli scenari che oltrepassano vanno da stazioni abbandonate, a carcasse di autobus che invece di correre su ruote rimangono appese sui fili come cabine di una teleferica, a foreste di pale eoliche immobili a sostituire l’inesistente vegetazione, fino a torrioni di reattori nucleari abitati da viscidi scheletri-mostro. Sono le trovate migliori di questo fantasy che utilizza senza sosta scenari da videogioco – lo stretto connubio fra cinema e giochi elettronici definisce da sempre i film di Anderson –, non per niente lo stile visivo fa un uso massiccio, per non dire esagerato, di Unreal Engine, un motore grafico solitamente circoscritto al mondo dei videogiochi. E in ogni uno di questi scenari i due protagonisti interagiscono con amici o nemici da sconfiggere, superano delle prove, (nel linguaggio dei Gamer, quests) per poter proseguire nel viaggio.

Per quanto l’iconografia ricordi quella del western rimanda però ad una raffigurazione alquanto astratta e labile, superficiale, dei suoi elementi più rappresentativi, e manca della necessaria materialità e concretezza. Così come i dialoghi scritti dall’autore tedesco Constantine Werner si limitano ad integrare una frammentaria narrazione della storia con brevi battute ridondanti alle immagini. Ma non solo il western. Al film di fantasy si aggiunge l’estetica post apocalittica e visionaria della saga di Mad Max del regista George Miller. Solo che essa si riduce ad un monotono orizzonte sfuocato e senza punti di riferimento, dove fonti di luce indistinte lasciano tutto nell’ombra dell’incertezza. Qui il deserto polveroso di Fury Road è un asettico sfondo verde che solo una montagna di pixel trasforma in un artificiale orizzonte lontano, tanto indefinito e sfumato nei contorni quanto remoto e irraggiungibile. Interni od esterni non ha molta importanza: ogni scena dell’intero film è stata girata nel chiuso di uno studio cinematografico in Polonia. E si nota. Su tutto aleggia la stessa fredda fonte di luce frontale, lo stesso riverbero sulle superfici, le stesse ombre allungate. Viene in mente la riduzione dello spazio scenico attuata dal graphic novel e l’impressione è che i protagonisti non vivano in uno spazio fisico ma mentale, tanto manca l’aria atmosferica, tutto trasuda artificialità. Limitata è ovviamente anche la tavolozza di colori che rimane fra le tonalità dell’ocra e del grigio-nero, ma non osa spingersi oltre. Lo stesso accade per le atmosfere cupe e dark incluse nel soundtrack elettronico ideato dal compositore austriaco di musica per videogames Paul Haslinger, che ricordano appunto l’ossessività dei passaggi musicali di sottofondo quando non si riesce a progredire di livello.
L’uso di tecniche digitali e i paesaggi virtuali generati al computer limitano moltissimo le possibilità di avere immagini differenziate perché riducono gli spazi o al molto lontano o al molto vicino; fatto sta che In the Lost Lands imperano i primi e i primissimi piani. Un principio evidente che tende a stancare nel corso del film. Tanto che alla fine diventa ovvio che, nonostante il viaggio si svolga tutto, idealmente, sulla groppa di uno stallone, né Milla Jovovich né Bautista siano mai saliti a cavallo per girare questo film e che nessun animale sia mai entrato in studio. Nulla è reale a prescindere dai protagonisti, eppure anche i loro stessi movimenti nelle scene d’azione sono sottoposti ad una modificazione tramite effetti visivi quali lo slow e il fast motion. Ma queste tecniche, se rientrano nella normale prassi dei film d’azione, nel film di Paul W. S. Anderson accentuano la ridondanza di artificio e maniera.
B-movie e film a low budget? Neanche questo riesce a essere In the Lost Lands. Più semplicemente è un film scritto e girato con routine, senza grande sforzo creativo e che, peggio ancora e nonostante tutto, non evita di prendersi sul serio. Il finale aperto lascia presupporre per lo meno un sequel, chissà… Con queste premesse, non siamo per nulla ansiosi di vederlo.
In sala dal 25 settembre.
In The Lost Lands: – Regia: Paul W. S. Anderson; sceneggiatura: Constantin Werner; fotografia: Glen MacPherson; montaggio: Niven Howie; musica: Paul Haslinger; interpreti: Milla Jovovich, Dave Bautista, Arly Jover, Amara Okereke, Fraser James, Simon Lööf, Deirdre Mullins, Sebastian Stankiewicz; produzione: Constantin Film, Spark Productions, FilmNation Entertainment, Dream Bros. Entertainment, Rusalka Film; origine: Canada, Germania, Stati Uniti 2025; durata: 101 minuti; distribuzione: Eagle Pictures.
