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Voto
Fra le strade scoscese della piccola Chianciano passeggia una donna dallo sguardo spento e dal volto impassibile. È un freddo mattino primaverile, l’aria del borgo pare ancora intrisa di sonno. Le case di pietra si ergono immobili, come se nessuno fosse ancora pronto ad affrontare il peso dell’ennesima giornata che avanza, imperturbabile, verso l’ennesimo pomeriggio di sole. Una finestra fiorita sembra far cenno all’enigmatica visitatrice, ma soltanto per un breve istante. Gli occhi di lei s’abbassano, rifugiandosi in luoghi più familiari: ad, esempio, in un teatro.
Ed è qui che la nostra storia inizia: con malcelata circospezione, la misteriosa viaggiatrice s’insinua fra le poltrone in sala, mentre sulla ribalta alcuni attori si ostinano a provare una pièce destinata a rimanere senza nome. Il regista riconosce l’ospite, e fra i due s’instaura una lunga conversazione fatta di ricordi, sospiri e impressioni lontane. Così facciamo la conoscenza dei due protagonisti, Beatrice (Sandra Ceccarelli) e Daniele (Sebastiano Somma), sorta di anonime maschere rimaste intrappolate in una tragedia tutta loro. Protetti dall’oscurità di un palcoscenico deserto e silente come i vicoli che lo circondano, i due eroi rievocano il proprio passato, ma sempre mantenendosi sulla soglia. Al pubblico spetta qualche stralcio di vita, nulla più: una figlia scomparsa prematuramente. La fuga della madre a Parigi. L’introverso dolore del padre che ha deciso di trattenersi più del dovuto sulla scena del crimine. Intorno, il sonnacchioso villaggio ancora reduce dalla gloriosa avventura felliniana di 8½. Per il resto, lo spettatore attende mansueto una risposta che non giungerà mai.
A quanto pare Fabrizio Guarducci non si sente in dovere di darci una spiegazione, né di rischiarare le innumerevoli zone d’ombra attraverso le quali la pellicola si dipana: Una sconosciuta si limita ad alzare fiaccamente il sipario sull’omonimo romanzo da cui è tratto, gettando sullo schermo la bozza sbiadita di un racconto rimasto incompiuto. Abbiamo l’impressione di fissare un disegno a carboncino: mancano i colori, mancano i dettagli, manca lo spessore necessario per trasformare la semplice illustrazione in una vera opera d’arte. Non sappiamo se i presupposti fossero quelli di creare un grande quadro di genere, ma ci piace sperarlo.
Immersi nell’accogliente buio della sala, Davide e Beatrice narrano a loro stessi (e a noi) una fiaba dai contorni a dir poco singolari, svoltasi in un limbo fra la veglia e il miraggio: Chianciano, favolosa provincia di un reame cinematografico ormai perduto, se ne sta immobile in un sonno senza sogni come la Bella Addormentata nel bosco. Le persone s’aggirano disorientate come tanti Pollicini tristemente abbandonati dai genitori. Ognuno parla per aforismi come il Genio della Lampada svegliatosi dopo svariati millenni di placido letargo. E noi cominciamo a perdere la pazienza come la Regina di Cuori al tavolo del suo tribunale.
Ma attenzione: a scuotere l’inquietante torpore di una cittadina dimenticatasi perfino di tirare il fiato, sarà una strana fata turchina dal viso sorprendentemente benevolo. L’indecifrabile forestiera (qui interpretata da una leziosissima Desirèe Noferini) appare dal nulla e prende il suo posto al tavolo di un enorme e incolto cafè all’aperto. Da quel momento, la gente impazzisce: ognuno accorre al locale sperando di godere del caparbio mutismo e della serafica quiete che l’ineffabile creatura emana con virginale candore. Nel suo partecipe distacco, la donna riporta il minuscolo agglomerato urbano agli antichi fasti, restituendo agli abitanti la memoria di un trapassato remoto in fondo mai estintosi. Chianciano si trasforma in Medjugorje.
Il più grande difetto di questo film è che, in fondo, non è un film – ma una sorta di parabola dalla fisionomia confusa. La trama, pressoché inesistente, si attorciglia nelle sue fila, spesso e volentieri scordandosi di portare a termine gran parte della tela: così, sul palcoscenico galoppano disordinatamente il fantasma di Fellini, la figlia defunta dei due protagonisti, il cinico impresario che vorrebbe rilevare l’intero paesino e trasformarlo in un centro commerciale (o in un parcheggio, chi lo sa). Nel frattempo, la sconosciuta sorride, increspa le belle labbra e rimane seduta all’ombra di un cipresso, sfogliando il suo libricino dalle pagine bianche – un po’ come la sceneggiatura di questo promettente bozzetto rimasto, purtroppo, incompiuto.
In sala il 13-14-15 dicembre.
Cast & Credits
Una sconosciuta – Regia: Fabrizio Guarducci; sceneggiatura: Fabrizio Guarducci e Sebastiano Somma; fotografia: Stefano Spiti; montaggio: Paolo Marzoni; interpreti: Sebastiano Somma (Davide), Sandra Ceccarelli (Beatrice), Desirèe Noferini (Sconosciuta), Andrea Muzzi (Elpide); produzione: Fair Play; origine: Italia 2021; durata: 75’; distribuzione: Fair Play.
