Occhiali neri di Dario Argento

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Né il sole né la morte si possono guardare direttamente

Quando avviene un’eclissi bisogna guardare il sole, prima durante dopo, e nel farlo si ricorda che gli occhi nudi quello non lo possono fissare. Ci vuole una protezione, magari degli occhiali, lieve pena l’irritazione degli occhi, pena grave la cecità definitiva. La protagonista di Occhiali neri il sole lo guarda senza lenti alcune ed entra così in quello stato catatonico, smarrimento d’interni, tanto caro a Dario Argento: ogni elemento del suo stile fa la sua comparsa, l’atmosfera fa molto anni ’70 e ’80 in un mondo che è però quell’odierno. Ne esce una discrasia, fertile se si accetta il gioco, perché quando si sa far paura lo si sa per sempre. Il brivido supera tempo e luogo.

Diana (Ilaria Pastorelli) è una prostituta degli alberghi romani. «forte e indipendente», così definita dai suoi clienti, si ritrova un giorno a scrutare il sole durante l’eclissi. Gli occhi s’irritano, e forse non solo quelli perché la sera stessa Diana non vuole togliere gli occhiali di protezione; ancora non lo sa, ma quegli occhiali neri non li toglierà più. All’uscita dall’albergo qualcuno cerca di aprirle la portiera dell’auto, lei fugge e un furgoncino bianco la insegue fino a tamponarla: l’auto della prostituta vola sopra un’altra e si cappotta. Lei perde la vista, i passeggeri dell’altra auto muoiono, padre e madre, sopravvive solo il figlio di origine cinese.

Per Diana inizia una nuova vita fatta da bastone bianco, da Nerea, cane accompagnatore, e Rita (Asia Argento), a guidarla nell’apprendistato. Deve però stare attenta. Altre quattro prostitute sono state uccise selvaggiamente e il furgoncino bianco si avvicina sempre più all’abitazione di Diana. Chiunque ne sia alla guida la vuole morta. Non le rimane che scappare, ma con quali occhi? Non con i suoi, ma quelli di Chin (Andrea Zhang), il bambino cinese ormai orfano. Sarà abbastanza?

Dario Argento mancava al cinema da dieci anni. Il suo ultimo film era stato Dracula 3D (2012), un flop commerciale, in Occhiali neri si ritorna invece allo stile a lui caro e gli elementi caratteristici si ripresentano l’uno dopo l’altro: inquadrature sfuocate ai lati o vertiginosamente verticali se fisse sul personaggio, geometrie anguste e claustrofobiche, metamorfosi della mdp che striscia da vittima a carnefice a spettatore, a volte in fuga a volte in caccia, con i movimenti liberi, snodati classicamente argentiani.

Insomma, lo spartito è quello, riconosciuto e amato, e pure la musica che nasce dallo spartito richiama quelle delle due trilogie (Trilogia della Madre e degli Animali), nonché dell’intera filmografia del maestro italiano dell’horror: incalzante disturbante angosciante, la colonna sonora fa da sostegno ai momenti di vuoto della trama e da contorno quando questa ritorna a correre sulle sue gambe. I rimandi sonori sono ad altre musiche, quelle di Morricone, e all’apprezzamento si mescola così la nostalgia. La melodia, insomma, vale doppio.

È un brutto sogno che quando ti svegli capisci che non è reale

Poi c’è il sangue. Sangue che in Argento ha sempre la prima qualità di essere tanto ed estremamente giustificato, mai sperperato a vuoto, soprattutto nell’esagerazione. Ogni ‘libbra di carne’ ha il suo costo, ogni goccia di sangue ha il suo prezzo, e la consapevolezza di ciò è fondante perché misura della brutalità esterna, e allo spettatore non si deve risparmiare nulla. Mai, però, per banale voyerismo.

Le mani corrono davanti agli occhi, il capo si abbassa. È paura, è orrore. E, anzitutto, è atmosfera argentiana. Paura e orrore sono chiavi per entrare nel mondo del maestro del brivido, quel mondo che vive di una eco capace di sfocare l’immagine dell’umano mentre la si studia. I protagonisti, o meglio, le protagoniste di Argento sono donne che d’improvviso si ritrovano sfasate rispetto al resto delle persone.  Entrano in una dimensione laterale, magari attraverso l’eclissi o la cecità – che duplica lo sfasamento – e l’entrata in questo ‘brutto sogno’ le rende indisposte a vivere nel mondo comune perché consapevoli della reale veste di questo: uno spazio brutale. E quando si è in un mondo brutale non ci si può esimere dalla violenza, bisogna invece sapere quale scegliere per sopravvivere: «Nerea, sei l’unica amica che mi è rimasta».

Presentato in anteprima a Berlino nella sezione “Berlinale Special”, Occhiali neri è prima di tutto un film di Dario Argento. La firma è la sua, nulla di nuovo si trova da ciò che già ci ha mostrato. Ma è veramente un difetto? In realtà l’ultima fatica del regista italiano mostra come il linguaggio filmico da lui creato cinquant’anni fa possa sopravvivere nel cinema odierno, anzi, possa ancora insegnare qualcosa a un panorama horror che forse ne ha dimenticato gli insegnamenti o mai li ha scoperti. Il disgusto non è orrore, e far paura è un lavoro serio. Lo si criticherà comunque per lo stile retrò o per una ricerca dell’estremo meno spinta, ma qui parliamo di vintage. E non è proprio del vintage attutire il messaggio originario ed essere comunque testimone di un periodo? Nonché di essere di qualità per mantenersi nel e oltre il tempo?

In sala dal 24 febbraio al cinema


Occhiali neri – regia: Dario Argento: sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini; fotografia: Matteo Cocco; montaggio: Flora Volpelière; musica: Arnaud Rebotini; interpreti: Ilenia Pastorelli, Andrea Zhang, Asia Argento, Maria Rosaria Russo, Guglielmo Favilla, Paola Sambo, Andrea Gherpelli, Tiffany Zhou, Gennaro Iaccarino, Gianluca Gugliarelli, Gladys Robles, Cristiano Simone Iannone, Mario Scerbo, Ivan Alovisio; produzione: Urania Pictures e Getaway Films in collaborazione con Rai Cinema in collaborazione con Cine+; origine: Italia, Francia, 2022; durata: 87’; distribuzione: Vision Distribution.

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