Mostellaria (La Commedia del Fantasma) di Vincenzo Zingaro

Da una parte il porto e dall’altra la campagna, al centro le facciate di due case, a calpestare lo spazio i vari attori in vesti greche, sandali ai piedi e chitone stretto in vita. I tratti caratteristici ci sono tutti, sono quelli della commedia latina che andava in scena più di duemila anni fa, ma la pennellata è di vernice fresca (non troppo): scenografie a ricordare atmosfere dechirichiane con contrasti spinti, re-interpretazione della battute plautine in salsa regionale (con modifica dei nomi al seguito) e richiami alla contemporaneità in stile cinemapanettoniano. Plauto non è tradito, viene soltanto consegnato ai giorni nostri. E in parte funziona.

Trappola è il servus callidus della situazione, un napoletano nei crocevia ateniesi che ha traviato Fior d’amore, giovane una volta diligente e responsabile, ora primo interprete di baldorie a non finire infiorettate da vino e da prostitute. Una prostituta, pure, la vuole sposare, è Baciucchiella, bella quanto poco intelligente, e lui è tanto innamorato da aver fatto debito per liberarla. Ogni cosa sembra procedere per il meglio, cioè per il peggio, almeno finché non giunge ai due la notizia del ritorno del padre Azzeccatutto, il senex della questione. Non c’è tempo, è già al porto, anzi, è davanti a casa, Trappola deve inventarsi qualcosa, in fretta, e così dal cilindro non tira però fuori un coniglio bensì un fantasma.

La casa del senex, nonché del giovane figlio vizioso, sottosopra per i ripetuti banchetti, è infestata e non si può entrare: vi si è istallato Trasparino, un fantasma che ha la voce degli ubriachi abbandonati sotto i tavoli, come Rubacuori, e degli amanti nascosti dietro le porte, Fior d’amore e Baciucchiella. Be’, ma insomma, chi ci crederebbe a una panzana simile? Nessuno, o forse tutti, l’importante che ci creda lui, Azzeccatutto, e che sia disposto a ‘muovere i bacino’, fare scongiuri a destra e manca e pagare il ‘mago’ – un usuraio venuto a riscuotere i soldi prestati al giovane – per allontanare Trasparino dalla dimora.

Il regista Vincenzo Zingaro sceglie una delle commedie più divertenti di Plauto per continuare quel percorso di rivisitazione della Commedia Classica che, alla guida della prestigiosa Compagnia Castalia, porta avanti da 30 anni. È una rivisitazione che risale al galoppo i secoli, attraversa saccheggiando Shakespeare, Molière, Goldoni e sbarca poi alla Commedia all’italiana, non solo quella degli anni sessanta e settanta ma pure quella odierna. Non è allora un caso che Trappola abbia un poco di De Sica (Christian) e un poco di Alessandro Siani né che lo scardinamento dei codici comportamentali, e il ritorno agli istinti primordiali, abbia un corrispettivo in quella comicità a noi più familiare, cinemapanettoniana si direbbe, che aveva seme nel teatro latino. È quindi un ritorno alle origini quanto un ritorno al presente. Ne è specchio il linguaggio e un canticchiato «voleva solo…dracme…dracme», lo conferma, fa sorridere e non stona nel coerenza generale.

Corsa per i secoli del teatro, si diceva, ed ecco una regionalizzazione della parlata: il servus callidus appunto è napoletano, la brutta serva (Barcaccia) è romana de Roma, un altro servo (Fiaccola) è marchigiano,  un altro personaggio ancora è veneto e solo coloro che sono ricchi, e quindi hanno studiato, si possono permettere di avere accento (quasi) neutro. Senza che però, benché siano ricchi, o proprio perché lo sono, possano salvarsi dal discredito generale che li travolge: è il regno del caos, una catabasi nel disordine nel quale i minori si prendono gioco dei maggiori e i maggiori finiscono per mettersi in ridicolo con le proprie mani. Si cade così nel ‘rovescio’ più spinto, corporale, perché si possa poi tornare al  ‘dritto’, all’ordine. Ogni cosa viene smascherata, e così pure la montata commedia del fantasma. Ma il fantasma stesso? Lui no, lui forse, ma si dica forse, esiste veramente, e fa paura quando appare, a tutti, furbi ricchi poveri stupidi.

Mostellaria di Vincenzo Zingaro è uno spettacolo piacevole. Recitato ottimamente – con un servus callidus in splendida forma e un senex all’altezza a guidare una cast notevole – soffre l’avvio e la chiusura del primo atto, mentre nel secondo corre felicemente verso la conclusione favorito da un intervento metateatrale che richiama subito il pubblico all’attenti e lo fa sentire parte della rappresentazione. Sicuramente, e lo si consideri certo un punto a favore – ma pure curioso – il lavoro di restauro dell’opera plautina è ottimo, il lavoro di svecchiamento ben fatto, si ha tuttavia la sensazione che dopo aver recuperato due millenni di anzianità si sia fermato proprio sul più bello, cioè a una decina di anni fa, e fatichi a legarsi alla contemporaneità più stretta, all’attuale, se non a  fatica. Il pubblico che ne gode lo risente di conseguenza, spettacolo adatto a quello maturo, meno a quello giovane. Risata per l’uno, mezzo sorriso per l’altro.

In scena al Teatro Arcobaleno fino al 27 marzo


Mostellaria (La commedia del fantasma) di T.M. Plautoadattamento e regia: Vincenzo Zingaro; musiche: Giovanni Zappalorto; scene: Vincenzo Zingaro; costumi: Emiliana Di Rubbo; disegno luci: Giovanna Venzi; interpreti (Compagnia Castalia): Ugo Cardinali, Piero Sarpa, Rocco Militano, Riccardo Graziosi, Fabrizio Passerini, Annalena Lombardi, Laura De Angelis.

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