Come una fiammata attesa e inaspettata, torna il cinema fatto di tangibile carne erotica e fantasmatiche pulsioni di morte di Adrian Lyne, a vent’anni precisi dall’altrettante lucido e scottante L’amore infedele (i soliti, espliciti ed esteriori titoli italiani, quando Unfaithful, semplicemente “infedele”, era molto più allusivo e intrigante): Acque profonde potrebbe esserne una sorta di seguito, non solo perché si confronta nuovamente con un soggetto già affrontato dal cinema francese ( per L’amore infedele si trattava di Stephane, una moglie infedele di Claude Chabrol, qui dell’omonimo Acque profonde di Michel Deville, a sua volta tratto da un romanzo di Patricia Highsmith), ma anche per il filo rosso di un’ossessione a specchio tra eros e thanatos che si è fatta sempre più occhio che uccide e sguardo che desidera, sempre e comunque nei rassicuranti sobborghi di vizi privati e pubbliche virtù dove vive la ricca borghesia nordamericana.
Se Diane Lane e Richard Gere duettavano sulla superficie apparente di una fragile intesa, deprivati della passione dalla routine di un ménage più simile al format di uno spot pubblicitario, con il fuoco riacceso spudoratamente in lei dalla potenza sensuale e sessuale del corpo da combattimento di Olivier Martinez, questa volta la preziosa vetrina dietro la quale si nascondono i novelli Adamo ed Eva di un Eden alienante e perverso è già appannata, inclinata, scheggiata: basta il primo sguardo (o in realtà è l’ultimo? ) tra i coniugi Melinda e Vic per aprire lo squarcio su un inferno di provocazioni e proiezioni, moti insofferenti e apatiche contemplazioni , che vengono letteralmente mostrate attraverso delle continue cornici (vetri, porte , finestre, sbarre) , come a voler dichiarare l’epifania di una continua messa in scena , o di una Cerimonia segreta (e segregata) secondo la lezione di quel capolavoro di manipolazione e sadomasochismo che è il film di Joseph Losey del 1968: in quel caso Elizabeth Taylor e Mia Farrow si fingevano madre e figlia per elaborare uno speculare e reciproco lutto (e Robert Mitchum faceva esplodere quello schema chiuso e rituale diventando il catalizzatore dell’attrazione sessuale di entrambe).
Vic si dichiara invece, quasi da subito e apparentemente per gioco , come l’assassino di uno dei presunti amanti scomparsi nel nulla di Melinda la quale , a sua volta, si espone al pubblico ludibrio della sua compulsione seduttiva, prima spocchiosamente indifferente e poi rabbiosamente indignata dal potenziale comportamento da psicopatico del marito ( e il ruolo destabilizzante e deflagrante questa volta lo avrà la loro perspicace figlia). Da raffinato esteta dell’ambiguità, Lyne espone e mostra , e al tempo stesso nasconde e cela , in quanto capiamo che Melinda fa l’amore con altri uomini solo attraverso lo sguardo impassibile e impercettibilmente allucinato di Vic , il quale sovraimpressiona il proprio tarlo di eccitazione voyeuristica e malcerato orgoglio machista su quello che lui e noi insieme a lui intravediamo ( con lei che sa sempre di essere osservata e osserva a sua volta , stabilendo in questo modo un contatto e un limite).Non c’è però solo un livello mentale e astratto , e nonostante la tecnologica villa dal raffinato design, anacronisticamente immersa in un lussureggiante bosco da fiaba dark, appaia come il non luogo di un desiderio sublimato, c’è sempre la descrizione puntuale ed entomologica di azioni quotidiane ( colazioni, feste , picnic, accompagnare i figli a scuola) ,che rende più dilaniante e sofferta l’irruzione straordinaria della violenza e dell’omicidio , una sensibilità che Lyne , più patinato e talvolta estetizzante, ha in comune con Chabrol , al contrario asciutto e secco nel costruire l’inquadaratura-inquadramento di una situazione, una tensione, un sentimento.
Ci sono poi sommamente e, oseremmo dire, quasi orgiasticamente i corpi degli attori che Lyne ammira, ama e imprime con sottile e sublime insistenza sullo schermo (in questo caso “piccolo” visto che Acque profonde è andato direttamente su Amazon Prime senza passare neanche dal “via” della sala). “Le cosce di Francois Dorleac, sul grande schermo degli Champs Elysees, mi sono sembrate ancora più grandi “, scriveva Godard al suo (all’epoca) amico Francois Truffaut a proposito de La Calda amante (ma anche qui il titolo originale La peau douce, “la pelle dolce”, rendeva meglio il senso di questa nota appassionata dell’ autore di Questa è la mia vita) , uno dei film più erotici, audaci e incompresi del padre cinematografico di Antoine Doinel: ecco, il corpo di Ana de Armas, e nello specifico proprio le sue gambe e i suoi piedi cosi generosamente filmati da Lyne, quasi in omaggio al Bunuel immaginifico e perturbante di Estasi di un delitto, meritavano probabilmente una visione più grande e più espansa, tanto riescono a farsi culto di un dionisiaco che spezza il cuore e la schiena; e anche Ben Affleck, monolitico e statuario, che regala un breve, intensissimo fotogramma dei suoi pettorali imponenti e contratti nell’atto (immaginato o compiuto?) di uccidere, sembra aver assimilato la lezione appresa sul set di quell’altro straordinario incrocio tra melò coniugale, noir psicologico e commedia nera che è L’amore bugiardo – gone girl: anche lo sguardo di David Fincher ne aveva fatto una sorta di feticcio kubrickiano misterioso e indecifrabile, vittima o carnefice, innocente e laido, in uno stadio intermedio tra il primate scimmiesco e il bimbo delle stelle di 2001: Odissea nello spazio. Questa volta, tra l’osservazione meditabonda di una coltivazione di lumache statiche ed eterne e l’abbandono agli istinti più primitivi e brutali (senza cambiare mai troppo di mimica facciale tra una cosa e l’altra) porta sulle sue ben piazzate spalle l’ambivalenza meno evidente che c’è sopra e sotto il pelo dell’acqua.
Tutto poi torna di nuovo e circolarmente dentro lo sguardo di Melinda/Ana, e non solo il fuoco, il pericolo, lo sgomento e la complicità: c’è il contagio di follia e carnalità che avevamo visto negli occhi di Dorothy Vallens nel close up finale di Velluto blu mentre abbraccia il figlio ritrovato e si perde nell’abisso senza fine della durata di un frame. Qualcosa che si è trasformato in un rimpianto, una condanna, un paradiso perduto…
“…But in my heart there’ll always be
Precious and warm, a memory
Through the years
And I still can see blue velvet
Through my tears”
Su Prime Video dal 18 marzo
Acque profonde (Deep Water)– Regia: Adrian Lyne; sceneggiatura: Zach Helm e Sam Levinson, dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith ; fotografia: Elgil Bryld; montaggio: Andrew Mondshein e Tim Squyres; interpreti: Ben Affleck, Ana de Armas, Tracy Letts, Grace Jenkins, Dash Mihok, Rachel Blanchard, Finn Wittrock, Brendan Miller produzione: 20th Century Studios, Amazon Prime, Entertaiment One, Regency Enterprises origine: Usa ,2022; durata: 115’; distribuzione: Prime Video.