Una storia d’amore e di desiderio – Erotica tra parole e corpo

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Educarsi al sentimento non è un’azione solitaria, richiede anche un altro tipo di educazione, quella erotica: la capacità di attrarre e di essere attratti. Non si conosce però dalla nascita, è da apprendere, magari per mezzo di parole, quelle che acquisiscono rilievo e si fanno traghettatrici di anime e, soprattutto, di giovani corpi. Una storia d’amore e di desiderio (cfr. https://close-up.info/una-storia-damore-e-di-desiderio-di-leyla-bouzid/) , per la regia di Leyla Bouzid, è un film che racconta la dolcezza del primo amore nella claustrofobia culturale e sociale di una Parigi tanto (s)conosciuta. La si racconta dal punto di vista di lui, ma a sentirsi teneramente impacciati, e poi istruiti, lo siamo un po’ tutti. Per fortuna.

Lui, Ahmed (Sami Outalbali), è di origine algerine e vive nella capitale francese, o meglio nella periferia parigina e il centro lo conosce così così. «È la tua città, no?» gli chiede Farah (Zbeida Belhajamor), la nostra lei, appena arrivata dalla lontana Tunisi, e lui annuisce prima di affrettarsi a cercare su google quali mai siano le migliori panoramiche. I due sono compagni alla Sorbona, facoltà di lettere, frequentano il corso di letteratura araba dove «le parole non mordono», eppure si è fra i banchi «per leggere – velocemente ma abbastanza lentamente – l’erotismo inteso».

Letture chiamano letture, sguardo chiama sguardo, i due s’innamorano e Ville Lumière ci mette del suo – «il mio pezzetto di paradiso» sussurra lei, sopra les toits de Paris – eppure, ogni cosa cade. Manca qualcosa. È ovviamente lei la prima a intuirlo, lui no, lui rimane impacciato e taciturno, finché il problema non diventa palese: non si può solo provare amore, bisogna anche esprimerlo e per farlo è necessario saper utilizzare parole e corpo. O uno o l’altro, tuttavia almeno uno deve esserci per essere tramite del compagno. Ma dove imparare a utilizzarli? Nella propria cultura? Forse, però quale è la reale cultura di Ahmed?

Inizia così una girandola di fughe e di ricerche, tra il centro della città che con il fascino bohème richiama il ‘parigino’ Ahmed e i naufragi nelle patrie banlieue dove le accuse si sprecano («Sei diventato bianco?», «Non diffidiamo mai abbastanza delle parole e arrivano le disgrazie»), sogni umidamente caldi e corpi che stillano inchiostro, infine amori e corsi universitari abbandonati perché laddove il personale deve cambiare forse anche la cultura nella quale si è formati deve soddisfare la metamorfosi. La soluzione, tuttavia, non è nel modificare la cultura, quella araba, e se stessi, bensì nel riscoprire entrambi, perché dopotutto

In arabo ci sono più di cento parole per descrivere i vati stati dell’amore in ogni sottigliezza. Dalla tenerezza alla passione. Dalla seduzione al dolore fisico all’estasi mistica.

E la verità è che

Nella poesia araba si perde il conto dei poeti morti per cuore spezzato. Il loro unico ostacolo: loro stessi.

Quello che serve, allora, è un aiuto. Sapere leggere, scrivere e parlare un linguaggio, quello arabo a veicolare un’educazione che ha per base quella sentimentale e poi va oltre. Si necessita allora di qualcuno che lo conosca il linguaggio, qualcuno che è molto vicino e incredibilmente lontano, forse il proprio padre – immigrato, profondamente depresso dall’isolamento della nuova vita francese -, e si richiede pure il coraggio di sottoporgli quelle frasi, cocenti perché di primo amore.

La regista Leyla Bouzid crea un film svolazzante fatto di vulnerabili cuori gettati oltre l’ostacolo e ripescati prima che qualsiasi ‘danno’ possa esser fatto loro. Nel farlo gioca di empatia, perché dopotutto è vero che solo pochi di noi possono essere Ahmed – per la specifica provenienza culturale e situazione sociale – ma a dirla tutta, a un certo punto della nostra vita, tutti noi siamo stati lui. Abbiamo amato in modo sbagliato invidiando coloro che già parevano sapere (Farah, per esempio), e abbiamo poi appreso in un modo o nell’altro come farlo. O magari non lo abbiamo ancora imparato e incapaci rimaniamo come il ragazzo che la mdp segue pedissequamente – tra conscio e inconscio – ampliando il vuoto culturale e sociale che lo stesso si crea attorno.

Nel fissarlo a mo’ di spia – lateralmente, girandogli intorno ecc. – non possiamo finire che a odiarlo, Ahmed, detestarlo perché qualcosa lo trattiene e non è capace di fare quando è palese – almeno per Farah – cosa fare dovrebbe. Ciò che è scontato non è detto però che sia pure semplice, anzi. La musica non lo salva, enfatizza in leggerezza le sue emozioni, quando lo chiama al ballo sulle note di un ritmo africano e quando lo stuzzica per mezzo di un sassofono insistente. Spazio per i suoni, spazio pure per il silenzio, quello culminante, varco che permette sì l’ingresso dei soli sospiri ma richiede ben altro perché lo si possa oltrepassare.

Una storia d’amore e di desiderio è un bijou di analisi culturale che dà di gomito allo spettatore perché va sul personale e racconta un periodo dolciastro della vita di ciascuno. Dolciastro non perché zuccheroso o melenso, o forse sì melenso, nella consistenza, a ogni modo dolce e amaro nel gusto: la sensazione è quella di avanzare nella nebbia, sforzo tremendamente faticoso agitare le braccia per acquisire una temporanea visibilità.

Si ha il fiatone e ci si sente tanto stupidi, eppure il verbo viene in aiuto, acquisisce spessore e rilievo, si fa carne e diventa il ponte per apprendere un’arte che è oltre il sentimentale: l’erotica. Educazione erotica, quindi: saper parlare la lingua del desiderio, saperlo fare con gli altri. Le parole hanno così svolto il loro compito di traghettatrici e aprono finalmente al resto, al corpo.


Dal 25 marzo al cinema

Una storia d’amore e di desiderio (Une histoire d’amour et de désir) Regia e sceneggiatura: Leyla Bouzid; fotografia: Sébastien Goepfert; montaggio: Lilian Corbeille; interpreti: Sami Outalbali (Ahmed Ouannas), Zbeida Belhajamor (Farah Kallel), Diong-Kéba Tacu (Saidou), Aurélia Petit (Professeur Anne Morel), Mahia Zrouki (Dalila), Bellamine Abdelmalek (Karim), Mathilde Lamusse (Léa), Samir El Hakim (Hakim), Khemissa Zarouel (Faouzia), Sofia Lesaffre (Malika), Baptiste Carrion-Weiss (Damien), Zaineb Bouzid (Chiraz); produzione: Blue Monday Productions, Arte France Cinéma; origine: Francia, Tunisia 2021; durata: 102’; distribuzione: Cineclub Internazionale Distribuzione.

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