Una storia d’amore e di desiderio di Leyla Bouzid

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Ahmed (Sami Outalbali) è uno studente di diciotto anni con la passione per le letterature comparate. Figlio di esuli algerini, il ragazzo impara presto a mantenersi in equilibrio fra la desolata Banlieue della sua infanzia e Parigi, sorta d’inafferrabile Eden in cui ogni giovane ambisce a perdersi. Il ragazzo conduce effettivamente due vite: la prima di esse si svolge all’interno del proprio feudo domestico, nell’accogliente seppur gelido nido incastonato fra i grattacieli della periferia. Tra le braccia di questa nicchia marginale, Ahmed si sente (suo malgrado) a casa. La quotidianità è fatta di lavoro manuale e piccoli gesti nei quali sonnecchia un mondo lontano – un mondo che emerge a tratti come da un abisso e in cui spiccano tanto la nervosa onniscienza materna quanto l’enigmatico silenzio paterno.

Dall’altro lato del mondo sorge la Capitale, l’Occidente, l’enorme e sinistro soggiorno dell’oscuro maniero chiamato Europa. Al centro del salotto tutto pietre e stradine, arroccata come un forte sul latifondo di un vecchio Signore, emerge anche l’Università per antonomasia, la Sorbone, con il suo variopinto popolo di futuri burocrati e filosofi da cafè. Ahmed vi si accosta pian piano, a passi felpati, spalancando gli occhi come un animale impaurito e al tempo stesso curioso. In un angolo, Farah (una bravissima Zbeida Belhajamor, qui al suo esordio sul grande schermo) pare condividere lo stesso destino: anche lei viene da una terra lontana chiamata Tunisi, anche lei nasconde il proprio smarrimento nei libri di scuola, anche lei è alla costante ricerca di un qualcosa che probabilmente giace ancora dall’altra parte del Mediterraneo. Come si dice in questi casi, les jeux sont faits: attraverso il loro incontro (tutt’altro che fortuito), i due fuggiaschi inizieranno a costruire un giardino segreto, un Paradiso terrestre fatto di poesia e di sogni coniugabili soltanto al condizionale.

Giunta al secondo lungometraggio dopo À peine j’ouvre les yeux (2015), la tunisina Leyla Bouzid mette in scena una storia d’amore che è in realtà la storia di un’evasione. L’occhio della cinepresa – e questo è il grande pregio del film – rimane coraggiosamente ancorato al protagonista maschile, aprendoci una finestra sulle sue insicurezze e raccontandoci la sua inquieta metamorfosi da adolescente a giovane uomo.

L’Éducation sentimentale, capolavoro del grande padre-romanziere Gustave Flaubert e icona di riferimento per qualunque aspirante scrittore o intellettuale professionista, torna dunque alle sue origini e si innesta su uno spazio cinematografico piuttosto inconsueto, su un limbo ombratile nel quale la parola acquista un’importanza singolare. Essa, infatti, si ritrova a riempire il palcoscenico, spesso colmando i vuoti lasciati dall’immagine o comunque glossandone i contenuti, un po’ come farebbe il filologo alle prese con un testo antico.

È attorno al Verbo che Une histoire d’amour et de désir ruota, trasportando lo spettatore verso Oriente, là dove il singolo vocabolo vale più di mille fotogrammi – un concetto, quest’ultimo, di matrice decisamente islamica. La Lettera, infatti, suggella i momenti che i ragazzi trascorrono insieme, esplicita ciò che fra loro rimane recluso alla sfera del non detto e ritorna come un mantra fra i manuali di poesia araba medievale acquistati durante le ore di studio. Se Ahmed tende a sublimare ogni esperienza emotiva, è perché egli, al contrario dell’amata, conserva un legame viscerale (anche se perduto) con la terra natia e con una “belle époque” mediorientale – quella scoperta fra le aule universitarie – che rischia di perdere il proprio volto e la propria voce.

Non è poi un caso che il nostro eroe romantico, come anticipato all’inizio, abbia un’inspiegabile predisposizione verso gli studi comparati: se, da una parte, Ahmed incarna una sorta di novello Frédéric Moreau, l’ingenuo provinciale di Flaubert giunto nell’insidiosa metropoli per dissipare i suoi sentimenti, dall’altra parte egli si rifugia in un microcosmo estraneo alla civiltà moderna, nascondendosi in un medioevo fantasticato con puerile entusiasmo sui volumi della Sorbone. Attraverso la sua histoire d’amour et de désir, dunque, Leyla Bouzid ripercorre le tappe fondamentali di un viaggio attraverso la prima età adulta, la scoperta del desiderio, l’esplorazione del proprio corpo e della propria sessualità, nonché la necessaria idealizzazione di un mondo che inizia ad apparire estraneo e inintelligibile. L’epilogo, nel quale il protagonista chiederà aiuto al padre per decifrare un messaggio amoroso inviatogli da Farah, rappresenterà in tal senso una liberazione finale, l’unico vero atto di emancipazione presente nel film: solo allora Ahmed-Frédéric sarà in grado di riconciliarsi con un passato in fondo mai vissuto, diventando finalmente un jeune homme.

Presentato a chiusura della “Semaine de la Critique” di Cannes 2021 e presentato in anteprima italiana, al Medfilm Festival di Roma, adesso esce in sala e gli auguriamo una gran fortuna.

In sala dal 25 marzo


Cast & Credits

Una storia d’amore e di desiderio (Une histoire d’amour et de désir) Regia sceneggiatura: Leyla Bouzid; fotografia: Sébastien Goepfert; montaggio: Lilian Corbeille; interpreti: Sami Outalbali (Ahmed Ouannas), Zbeida Belhajamor (Farah Kallel), Diong-Kéba Tacu (Saidou), Aurélia Petit (Professeur Anne Morel), Mahia Zrouki (Dalila), Bellamine Abdelmalek (Karim), Mathilde Lamusse (Léa), Samir El Hakim (Hakim), Khemissa Zarouel (Faouzia), Sofia Lesaffre (Malika), Baptiste Carrion-Weiss (Damien), Zaineb Bouzid (Chiraz); produzione: Blue Monday Productions, Arte France Cinéma; origine: Francia, Tunisia 2021; durata:  102’; distribuzione:  Cineclub Internazionale Distribuzione.

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