È decisamente un po’ troppo tenue il materiale su cui si regge il mediometraggio del regista iraniano Jafar Najafi dal titolo internazionale Alone. Si tratta di un documentario, di un esempio di cinéma verité incentrato sulla figura di Amir, è lui la persona sola di cui al titolo, un ragazzino quattordicenne che alla morte del padre si ritrova a dover decidere se dare in sposa/spose le due sorelline gemelle Razieh e Marzieh (di dodici anni), proprio al ricco cognato, ovvero a colui che aveva sposato la sorella maggiore causandone la morte (non si capisce esattamente come, ma il cognato è con certezza un uomo violento). Amir non avrebbe nessuna intenzione di farlo. Ma tutti, proprio tutti, a cominciare dalle dirette interessate, lo accerchiano per convincerlo a cedere, anche tenendo conto che la sorella maggiore ha lasciato un piccolo orfanello di cui una nuova famigliola dovrà pur occuparsi. Scriveva qualche giorno fa Giovanni Spagnoletti di quanto i 63 minuti di Un couple fossero parsi lunghi sfiniti. Ecco: la stessa cosa vale per Alone, di due minuti più corto del film di Wiseman, ma altrettanto monotono e ripetitivo, perché nulla contro la ripetizione, ma ripetitivi bisogna saperlo essere.
Restando al cinema iraniano, non si può dire che i film di Abbas Kiarostami non lo fossero, pensate a Dov’è la casa del mio amico (1988) o a Il sapore della ciliegia (1997), ma in quei casi le ripetizioni erano funzionali a documentare nell’un caso la paura tremenda di Ahmed che Mohammed venisse cacciato da scuola e nell’altro la depressione del signor Badii che chiede a tutti coloro che incontra nei tetri sobborghi di Teheran la disponibilità, una volta che si sarà suicidato, a ricoprire la fossa che si è scavato. Qui, si parva licet, è tutto molto più banale e noioso. Fermo restando, ovviamente, l’importanza dei temi trattati, figuriamoci: il maschilismo della società iraniana, l’arretratezza della civiltà agreste combinata con una serie di ambizioni piccolo-borghesi delle ragazzine, una di quelle cose che avrebbero fatto inorridire Pasolini (mutazione antropologica, genocidio etc. etc.).
E dire che sul piano formale il film vorrebbe anche provare a smontare la ripetitività ricorrendo a due tecniche, la prima è quella del jump cut, come a dire: se anche saltiamo qualche sequenza, qualche frase, cambia poco, perché tanto viene sempre ripetuta la medesima solfa; la seconda è quella delle frasi lasciate a metà, delle ellissi (così almeno sembra nei sottotitoli inglesi che accompagnano l’originale in lingua farsi). Ciò finisce tuttavia per rispondere a un atteggiamento un po’ sufficiente, un po’ saccente, poco amorevole nei confronti dei personaggi, i quali in fondo vengono smascherati dal regista che in un paio di occasione ricorre anche a qualche effetto di straniamento entrando in campo, ovvero inserendosi nelle dinamiche fra le due sorelline e il fratello che rischiano sempre di degenerare.
A intervallare la questione di fondo (il ragazzino alla fine cederà? sembra di noi), Najafi dedica molto spazio alle attività quotidiane: come si cuoce il pane, come si fa il formaggio, come si mungono le pecore, le feste tradizionali – ciò che conferisce a questo filmetto un tono qua e là troppo didascalico.
Alone; regia, fotografia, produzione: Jafar Najafi; montaggio: Sajad Imani; interpreti: Amirmohammad, Razieh, Marzieh; origine: Iran 2022; durata: 61′.