Anora di Sean Baker

Anora, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes di quest’anno e ultimo lavoro cinematografico del regista americano indipendente Sean Baker (Tangerine, 2015; Un sogno chiamato Florida, 2017), ci porta con esuberante energia nel caos scatenato dal precipitoso matrimonio fra il figlio viziato di un oligarca russo e una giovane escort di New York che lavora in un lap dance club. La prima parte del film inizia come una versione metropolitana della favola di Cenerentola, o se vogliamo una versione più attuale di Pretty Woman (1990); ma visto che Baker non è Garry Marshall, la sua America è il paese dei sogni e delle favole solo per una momentanea e breve illusione, così la protagonista, pur con l’anello al dito, è presto costretta a tornare alla dura realtà della vita.

La escort Anora, che preferisce farsi chiamare Ani (impersonata dalla minuta figura dell’attrice Mikey Madison), e di lontane origini russe da parte di nonna, ha l’inaspettata opportunità di abbandonare lo squallido, ma pur lucrativo lavoro di spogliarellista nell’esclusivo strip club newyorkese dove si reca tutte le notti, quando si ritrova ad intrattenere nientemeno che il giovane rampollo di un noto oligarca russo. L’ingenuo Vanja (Mark Eydelshteyn) però, non è nient’altro che un viziato, pazzoide e soprattutto ricco bambinone, abituato a non pensare molto se non a divertirsi e a spendere più soldi possibili. Inoltre, come si verrà a sapere, il ragazzo è da poco approdato a New York per una breve e, a quanto pare, ultima vacanza in America prima di mettere, come si dice, la testa a posto e iniziare a lavorare nell’azienda del padre. Ani si ritrova presto invitata nella costosa e moderna villa di famiglia, dove al veloce atto sessuale – che si avvicina più ad un esercizio di ginnastica e nulla ha a che fare con la passione romantica della suddetta favola – segue immancabilmente il momento di rilassamento davanti alla playstation. Allo spassoso soggiorno newyorkese segue un’improvvisata settimana di extra vacanza a Las Vegas, per la quale Ani non manca di farsi pagare ben 15.000 dollari. E siccome ogni cosa ha il suo prezzo, all’incredibile proposta di matrimonio di Vanja, che non ha nessuna voglia di tornare in Russia dal padre, per accettare di diventare sua moglie – con green card naturalmente inclusa – il minimo richiesto da Ani è un anello a quattro carati e una pelliccia che Vanja non fatica certo a regalarle.

Il matrimonio però non dura il tempo di una notte, chiamiamola eufemisticamente “d’amore”, che la famiglia, venuta in qualche modo a sapere dell’ennesima pazzia del figlio, mobilita il factotum di origine armena Toros (Karren Karagulian), un po’ balia, un po’ guardia del corpo, e pretende l’annullamento immediato del contratto. Con l’arrivo dei due aiutanti di Toros – il fratello Garnick (Vache Tovmasyan) e il più giovane e di poche parole Igor (Yura Borisov) –, e la fuga di Vanja dalla villa, inizia una caccia all’uomo per le strade e i locali notturni di Manhattan.

Pur non essendo una commedia ma un dramma, Anora ci porta in un vortice di ilare e frenetico crash fra culture e condizioni sociali come solo nella grande metropoli newyorkese, con lontani (si badi, lontani!) echi al nevrotico umorismo del cinema di Woody Allen, poteva succedere. Alle sequenze più visive girate nel club o per la strada, che usano colori saturi e schermo panoramico, se ne alternano altre di più veloce montaggio con fitti battibecchi in gergo di strada mescolato al russo (una sfida non facile per i traduttori!). Un turpiloquio spassoso che sembra non avere fine. È l’energia scatenata dal perfetto equilibrio fra una sceneggiatura ben scritta e una buona dose di spontanea improvvisazione da parte di ben preparati protagonisti, non tutti tal altro attori professionisti, ma azzeccatissimi per la parte. Come in Tangerine anche in Anora, il regista Sean Baker, ci porta a conoscere il mondo delle sex workers, ma sceglie per l’occasione la vena malinconica e realista di Un sogno chiamato Florida – dove ci aveva mostrato che la povertà era di casa pure nel rosa confetto del mondo dei balocchi di Disneyland –. Eppure, come allora, nemmeno qui c’è la volontà di mettersi a fare critica sociale fine a sé stessa: il fine è farlo senza che ce ne rendiamo conto, mentre ancora abbiamo il sorriso sulle labbra. È qui che Baker ci offre la possibilità di osservare, con il suo occhio disincantato, quel che resta di una bolla di sapone dopo il suo implodere; la dolorosa realtà, dopo il risveglio da un bel sogno.

Assolutamente imperdibile perché, se Sean Baker da una parte sa intrattenere il suo pubblico creando situazioni d’irresistibile chiassosa comicità, e ci riesce senza mai perdere di vista la realtà che mette in evidenza nei suoi film; dall’altra sa anche regalare ai suoi personaggi dei momenti di profonda, malinconica auto disillusione, riaffermando così la loro, per un breve momento perduta, dignità.

Presentato al Festa di Roma nella sezione “Best of 2024”
In sala dal 7 novembre 2024.


Anora – Regia e sceneggiatura: Sean Baker; fotografia: Drew Daniels; montaggio: Sean Baker; musica: Matthew Hearon-Smith; interpreti: Mikey Madison, Mark Eydelshteyn, Yuriy Borisov, Karren Karagulian, Vache Tovmasya, Ivy Wolk, Luna Sofia Miranda; produzione: Film Nation Entertainment; origine: US 2024; durata: 143 minuti; distribuzione: Universal Pictures.

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