Blonde di Andrew Dominik

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Ritrarre senza filtri e censure la vita di Norma Jeane Baker in arte Marilyn Monroe, diva senza tempo e incastonata in un immaginario collettivo che da sempre la dipinge icona fragile e infelice al tempo stesso, è un’operazione a dir poco complessa.

Significa, anzitutto, approfondire e cercare di andare oltre lo stereotipo, oltre l’ immaginario collettivo già codificato cercando di restituire a un pubblico sfumature e tratti caratteriali chiaroscurali fino a questo momento poco noti.

Nel 2011 Michelle Williams in Marilyn (Simon Curtis, 2011) si era cimentata nella difficile sfida di interpretare la celeberrima attrice hollywoodiana, riuscendo a restituire un ritratto non artificioso e irreale, ma intenso e tutto sommato abbastanza adeguato al tenore della sfida. In una parola, l’ attrice era stata intensa pur non caricando eccessivamente l’ interpretazione, efficace ma non caricaturale o macchiettistica.

Diretto da Andrew Dominik e tratto dall’omonimo romanzo di Joyce Carol OatesBlonde  –  passato senza lasciar segno nel Concorso di Venezia 2022 – è  ora interpretato da una conturbante Ana De Armas. Il suo tentativo – ma tentativo resta – è proprio quello di dare una chiave di lettura diversa dell’affascinante complessità dell’icona Marilyn Monroe, partendo, anzitutto, dalla sua infanzia e soprattutto dalle sue lacune affettive:  una madre depressa e in cura perenne, e in primis l’ assenza del papà, filo conduttore costante di questa pellicola amara e a tratti molto rude.

Norma Jeane Baker è in conflitto costante con Marilyn, i traumi subiti e l’ infanzia complicata pesano sulla nascita della “stella” sulla sua ascesa e sul suo successo.

Splende, ma non si riconosce allo specchio in quella luce distorta perché in qualche modo le ombre con cui non riesce a fare pace vengono fuori lo stesso. E la tormentano in continuazione fino a renderla schiava di quell’ eterno conflitto.

L’ idea di darne una prospettiva emotiva e psicologica legata ai traumi infantili e alla mancanza, su tutto, di un uomo come riferimento, è un buon punto di partenza  (anche se non originale) che poi, però viene enfatizzato da una deriva caricaturale che tende a evidenziare i tratti borderline e eternamente infelici di Marilyn.

Ana de Armas

Tranne in alcuni momenti, la De Armas è eternamente imbronciata, lo sguardo perso nel vuoto e un atteggiamento, a volte, eccessivamente ingenuo che non rende giustizia al temperamento complesso di una donna con un’ indole sicuramente romantica e a tratti innocente, ma non sciocca e mai presente a sé stessa.

Difficile e quasi impossibile, poi, il rapporto con gli uomini: da Joe di Maggio (Bobby Cannavale) geloso e violento, a Arthur Miller, interpretato da un bravo Adrien Brody, che ne mostra il lato sensibile, delicato e più attento alla psicologia della moglie e attrice. E comunque il rapporto non va perché lei sembra perennemente insoddisfatta.

All’ apice del successo e già ingolfata di psicofarmaci, balza agli occhi la relazione con John Kennedy, e qui il film non risparmia proprio nulla, comprese le – eccessive- scene di sesso orale esplicito e la consegna, come fosse carne da macello, del corpo di Marilyn al presidente, che annoiato e impegnato al telefono l’ aspetta per un piacevole diversivo, per così dire.

Ancora una volta lei sembra imbambolata, passiva e quasi inetta “tra me e il presidente è un incontro d’ anime” aveva detto poco prima in macchina alle guardie. Va bene l’ ingenuità e la delicatezza dell’animo femminile che non ha mai guarito certe ferite e che è alla perenne ricerca di compiacere il papà mai avuto, però non parliamo di una bambina incapace di intendere e di volere, ma di una donna in carne ed ossa.

Il ritratto che ne viene fuori è controverso: la lotta perenne e mai spenta tra Marilyn e Norma è forse l’ aspetto più riuscito, ma il temperamento eccessivamente passivo dell’attrice spinge l’ acceleratore su sfumature che accentuano anziché sfumare certi pregiudizi.

Peccato perché le premesse di approfondire e seguire il filo dell’infanzia partendo dai traumi, dalla figura materna folle, e dalla ricerca costante di un papà, tanto da chiamare tutti i suoi amori “Daddy”, avrebbero potuto portare a uno sviluppo più intimo e realistico della sua vita, che in questo modo continua a rimanere “idealizzata” e incastonata in una dimensione di infelicità quasi senza tempo. La prima parte ha qualche sfumatura interessante legata al suo passato. Tuttavia, nella seconda parte del film – ennesima produzione Netflix nel Concorso di questa edizione di Venezia – , Dominik enfatizza eccessivamente il dolore e le ripetute crisi dell’attrice calcando eccessivamente la mano su alcuni aspetti e rendendola, nuovamente, schiava del suo stesso “pregiudizio”. E così ci consegna una Marilyn eternamente dipinta e rappresentata.

Su Netflix dal  28 settembre


Blonde – regia: Andrew Dominik; sceneggiatura: Andrew Dominik; fotografia: Chayse Irvin; montaggio: Adam Robinson; musica: Nick Cave, Warren Ellis; interpreti: Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby Cannavale, Xavier Samuel, Julianne Nicholson, Lily Fisher; produzione: Plan B Entertainment (Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner; origine: Usa, 2022; durata: 166′; distribuzione: Netflix

 

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