Un indefinibile senso di attesa cristallizzato in un’atmosfera inquietante nella sua staticità, domina in Bootlegger, esordio alla regia di Caroline Monnet, interessante artista multimediale franco-canadese.
Il filo conduttore del film, già presentato nel corso della Diciannovesima Edizione delle Giornate del cinema quebecchese in Italia, è l’ importanza delle proprie radici e della propria identità, necessarie per l’ evoluzione personale e collettiva future.
In Bootlegger (letteralmente, contrabbandiera), la natura inospitale e selvaggia del Quebec Settentrionale, immortalata in un gelido inverno, gioca un ruolo fondamentale nel dipingere efficacemente le atmosfere e i ritratti umani dei singoli personaggi dell’ intreccio, che sembrano inizialmente fermi in una sorta di limbo e fissi in un destino apparentemente immutabile.
È proprio questa la situazione di partenza che ritrova Mani (interpretata con freschezza dall’ attrice indigena Devery Jacobs) nelle terre del Quebec, nelle quali sbarca, decisa a reintegrarsi con la sua gente, dopo tanti anni di assenza.

La giovane protagonista, nativa nordamericana fresca di laurea in giurisprudenza torna come ospite dai nonni nei suoi luoghi di origine, dominati ancora da episodi di razzismo, ottusità e silenzio, per stimolare ( senza esserne troppo consapevole) la comunità ad una necessaria riflessione e a un possibile cambiamento della situazione statica, immutabile e ormai da tutti passivamente accettata.
Il possibile cambiamento socio-politico ruota attorno a un tema molto caldo e fondamentale per il futuro di quella terra, un referendum destinato a creare uno spartiacque tra passato e futuro da riscrivere.
La curiosità di Mani e il forte attaccamento alle sue origini, infatti, la porta inevitabilmente a essere coinvolta (più del dovuto) nel dibattito attorno al possibile referendum per la legalizzazione della vendita degli alcolici.
E in questo quadro di appartenente fissità emerge Laura (Brigitte Poupart), Wasp legata a un pellerossa che nel tempo ha costruito il suo fruttuoso “impero” del contrabbando basato proprio sulla vendita illegale degli alcolici con la complicità silenziosa degli abitanti del posto.
Due contrapposti universi femminili, Laura e Mani, si scontrano in un difficile conflitto in bilico tra il desiderio di immutabilità di una situazione comoda (di cui è portavoce Laura) e la possibilità di un ipotetico ma difficile cambiamento che arriva proprio dal basso, dal cuore della comunità – esigenza portata avanti dalla nostra coraggiosa protagonista.
In questa opera prima dal taglio fortemente antropologico, che fatica a partire nella prima parte, ma riesce ad evolvere narrativamente creando momenti di giusta tensione soprattutto nella parte finale, l’ idea di comunità, intesa come corpo consapevole del proprio potere decisionale è l’ ossatura portante del film, perché è capace di dare significato a tutto l’ intreccio.
Mani, infatti, elemento esterno ma fortemente radicata nella sua terra e legata alle sue radici, torna proprio per stravolgere quel senso di comunità stantio e ormai relegato a una passiva accettazione della realtà, o almeno così sembra dalle reazioni degli abitanti.
La riflessione profonda e la partecipazione di chi crede di non poter avere voce nelle decisioni collettive è il primo passo verso una decisiva evoluzione in meglio.
E tra splendidi paesaggi innevati e un umanità che inizialmente appare fissa nella sua ignavia, e poi lentamente sembra aprirsi alla novità, Caroline Monnet lascia lo spettatore con il fiato sospeso, con un finale aperto alla speranza di un possibile cambiamento.<
In programma nel MyFrenchFilmFestival
Bootlegger – regia: Caroline Monnet; sceneggiatura: Caroline Monnet e Daniel Watchorn; musica: Jean Martin; fotografia: Nicolas Canniccioni; interpreti: Devery Jacobs, Brigitte Poupart, Jacob Whiteduck-Lavoie, Joséphine Bacon Charles Bender, Pascale Bussières, Jacques Newashish, Brenda Odjick, Joshua Odjick, Dominique Pétin; produzione: Microclimate Films; origine: Canada; durata: 81′.