Casa Susanna di Sébastian Lifshitz

Metà della chiesa è lì per Rex, l’altra metà per Gloria. I presenti conoscono benissimo la loro persona, e altrettanto anche l’altra, anzi, si stupirebbero di quanto conoscono entrambe. Questo perché quello a cui assistono non è un matrimonio, bensì un funerale, e Rex e Gloria sono la stessa persona.

Casa Susanna, per la regia di Sébastian Lifshitz, è tanto un documentario che si cala negli anni ’50 e ’60 statunitensi quanto il nome di una confort zone fisica, appunto la casa di Susanna, che era dolce spazio per la liberazione personale attraverso crossdressing: uomini che vestivano abiti considerati dalla società femminili. Lì, tra pareti e portici di legno, ognuno poteva essere chi voleva perché «non c’era necessità di scusarsi!» e si contribuiva alla FPE: full personality expression. E poi le domande, continue, giocate in circolo, riproposte: «perché io? Perché noi? Cosa siamo noi? Quale è la differenza con l’omosessualità?», insieme alle domande i sorrisi e le storie, di loro, a girare, girare, senza fine. Da bocca a bocca, tra gonne calze smalto parrucche e labbra tirate a lucido perché «ci vogliono ore a travestirsi, ma ne vale la pena».

Ex-GI becomes blond beauty“, cioè l’”Ex soldato diventa una bella bionda”, è il titolo che il 1° dicembre 1952 riporta il New York Daily News. L’ex soldato, nonché bella bionda, è Christine Jorgensen, la prima persona a sottoporsi con successo all’operazione chirurgica per il cambio di sesso. La notizia arriva a colei che un giorno si chiamerà Kate e la futura Kate si guarda attorno, comprende infine che per lei nel mondo, almeno quello conosciuto, non c’è posto. Diane invece vive in Australia e anche per lei il mondo è stretto perché per tutto il mondo lei non è altro che “sbagliato”. Donald è un padre di famiglia e il giorno di Halloween spende ore per travestirsi, quando esce spaventa la figliola che fatica a riconoscere il genitore vestitosi così dettagliatamente da sembrare, in tutto e per tutto, una donna. Tito sposa Maria e il nipote è qui per ricordare la coppia innamorata che erano, coloro che il weekend fuggivano nelle Catskills Mountains (New York) e organizzavano feste per tutti quelli che nelle loro case non erano stati accettati. Kate, Diane, Donald e appunto Tito/Susanna si ritrovano a Casa Susanna e «i momenti che abbiamo passato qui erano i migliori».

Sébastian Lifshitz firma un documentario importante perché indaga le radici di un movimento che è attuale ora come, scopriamo, lo era decenni fa. Con una fotografia coerente e definita, la Grande Mela di una volta ricolorata e quella contemporanea osservata attraverso il filtro ombroso creato dai grattacieli di Manhattan, Casa Susanna viene raccontata come un luogo e tempo altro da tutto ciò che lo circonda e circondava. Una casa bianca difesa dalle foreste, e una capsula del tempo raccontata da chi c’è vissuto, Kate e Diane, dai figli e dai nipoti di questi, che intrecciano racconti e memorie affinché la narrazione de «il più grande gruppo di travestiti di tutta la storia dell’umanità» sia la più efficace possibile.

Il loro punto di vista è quello di chi Casa Susanna la viveva in prima persona, lì si travestiva, o di chi cross-dresser non era ma comprendeva quale fosse la necessità di libertà che sosteneva quella volontà di cambiamento, temporaneo o definitivo che fosse. Differente dall’omosessualità, transessualità e transgenderismo, il travestitismo non chiama direttamente in causa un’identità di genere diversa dal genere di nascita (transgenderismo) né un orientamento sessuale (omosessualità) bensì si caratterizza come pratica di vestimento di abiti che la società comunemente associa al sesso opposto. Era però un fatto privato e che privato doveva rimanere: uomini di affari, pubblici o meno, attraversavano i salotti della casa e che un paparazzo apparisse all’orizzonte era la più grande paura. Avrebbero visto un’altra persona nella stessa.

Casa Susanna è una testimonianza precisa di quello che era il club più segreto al mondo. Solo chi frequentava Casa Susanna sapeva di Casa Susanna. Questo per ovvi motivi come per motivi che andavano oltre l’aspetto pubblico, toccavano il personale. Loro erano persone che né erano sorrette dall’opinione comune né lo erano da una cultura a riguardo; termini come transgender e tutta la cultura non binaria erano ancora a venire e le acque in cui nuotavano erano quelle sconosciute affrontate da chi non sa cosa ci sia e nemmeno chi si è. Si soffre per accettarsi e per farsi accettare, poi per fare il passo ulteriore cambiando sesso e dovendo andare in Messico (Tijuana) per farlo, perché tu, alla fine, sei contro la legge e la legge del tuo Stato non ti accetta.

Rimane però la voglia di riconquistare tutto, il mondo e soprattutto l’affetto dei tuoi genitori. In cerca di un abbraccio da loro e di un gesto, quello di un nipote, che restituisca infine le ceneri del tuo corpo alla tua reale casa. A Casa Susanna, dove per la prima volta hai potuto essere qualcuno, per esempio te stesso.

Casa Susanna – regia: Sébastian Lifshitz; sceneggiatura: Sébastien Lifshitz; fotografia: Paul Guilhaume; montaggio: Tina Baz; produzione: Agat Films & Cie / Ex Nihilo, ARTE France, American Experience Films (US); origine: Francia, USA, 2022; durata: 97’.

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