Con questa recensione a Svolgermi Ramificata di Chiara Nobilia (Ensemlbe edizioni), la sezione “Libri” di Close-up comincia a occuparsi anche di poesia.
Come per tutte le prime volte, è d’uopo, crediamo, delimitare, seppur brevemente, i limiti dell’orizzonte di indagine entro cui ci prefiggiamo di muoverci; un orizzonte che non ha (mancherebbero le forze anche a riviste ben più grandi della nostra) alcun intento di esaustività.
A guidare le nostre scelte nel versante (ahinoi, smisurato!) della produzione poetica saranno, in fondo, gli stessi principi che ci guidano nelle scelte dei testi genericamente letterari e che sono più o meno riassumibili nella formula: “ci interessa qualsiasi cosa entro cui sia possibile rintracciare un link, più o meno sotteso, con la realtà dell’audiovisivo, in generale, e con quella del cinema in particolare”. Il che non significa assolutamente che ospiteremo tra queste pagine virtuali tutti i testi che assumano ad ambientazione una sala cinematografica. Al contrario, le nostre scelte saranno, nei mesi che verranno, guidate e motivate da connessioni più segrete, da opere che, vuoi nelle scelte timbriche, vuoi nell’architettura metaforica che le sottende, abbiano in qualche modo “sapore di cinema”.
Di tutto questo: Chiara Nobilia.
Romana all’anagrafe, ma di origini più indefinibili quando se ne cerca traccia nella lettura dei testi, la poetessa aveva esordito nel 2016 con una bellissima silloge dal titolo emblematico (e alla Ken Loach) di Pietre e amarene (Giovane Holden edizioni). Già lì era evidente il suo bisogno di scagliarsi (letteralmente a sassate) contro il perbenismo di certi scorci borghesi, con un’attenzione (tutt’altro che banale) alla composizione di ritratti di varia umanità in cui tutta l’attenzione andava a concentrarsi sugli ultimi, sui derelitti, sugli sconfitti dalla società e dalla Storia (emblematici i versi in prima persona dalla Risiera di San Sabba).
Tra le pietre (che piovono come nel cinema arrabbiato inglese di qualche anno fa), c’era spazio, poi, anche per il dolce acido delle amarene, evidente in una versificazione franta, densa di allitterazioni e suoni aspri, preziosa nell’intarsio e memore del colore vivo del sangue che già comincia a rapprendersi.
Svolgermi ramificata prosegue in questa direzione aprendosi, già dal titolo, a una visione più soggettiva (e, se possibile, ancor più lacerante) in cui alla fissità materica dei versi dell’opera prima, si sostituisce la stupefatta scoperta dell’essere in divenire, dello svolgersi, appunto, che prende direzioni impreviste e imprevedibili.
Il corpo è inaspettato protagonista di questi versi. Protagonista sia nella strutturazione delle tre sezioni che compongono il volume (Vene, Arterie e Capillari in un gioco di sovrapposizioni tra l’apparato circolatorio umano e i passaggi linfatici delle foglie) che nei vari momenti lirici, soprattutto quelli della prima parte, più soverchiamente autobiografici.
Il corpo, dunque.
Un corpo disarticolato. Un corpo percepito d’improvviso come difettoso. Un corpo riottoso a fare ciò per cui la Natura stessa l’ha disegnato. Un corpo che d’improvviso si concentra tutto, in maniera implosiva, sulla parte oggettivata. Che diventa tutto genitali per chi non è in grado di concepire, o tutto cancro per chi ne è stato colpito. Un corpo che suona scandaloso (nel senso più pasoliniano del termine) di fronte ai canoni di efficienza/produzione/consumo che la nuova collettività (significativamente già prima del Covid) ha imposto da ben più di un ventennio.
Quella di cui parliamo è, quindi, una visione quasi cronenberghiana che elegge a protagonista del dirsi poetico organi e tessuti, sgomentandosi di fronte alla strana efficienza asettica, spersonalizzata e spersonalizzante della prassi medica:
Lei è stipendiata dalla chiarissima SpA
che unicamente intorno ai miei genitali
mi fa esistere,
punturandomi,
impasticcandomi,
esaminandomi,
rendendomi pollo d’allevamento.
(PMA – 16 marzo 2019)
In questo la poetessa entra a gamba tesa proprio in quei luoghi che le narrative dell’ultimo periodo pre-Covid più avevano volutamente tenuto a margine: gli ospedali, i laboratori di analisi, le sale di aspetto. Luoghi in cui si consuma il dramma di esistere ai margini del sedicente vivere civile, una tragedia condannata al silenzio di un perbenismo imperante che considera di dubbio gusto il parlare di fluidi corporei o di malattia perché estranei al modello social imperante. E che, per questo, sono marchio a una duplice condanna: quella del male e quella della vergogna indotta dal sistema culturale a quello stesso male.
In questo orizzonte la poesia è un balsamo possibile, un anestetico che, certo, non può curare il male, ma può, almeno, creare i ponti per una comunità dei sofferenti perché ci si possa riconoscere finalmente nell’altro, tanto nel suo pianto, quanto nel suo sorriso:
Vorrei scrivere
una poesia di automedicazione
per tutti gli aghi inutili
che mi sono inflitti,
una poesia che mia chirurgica
nell’estrarre quel dente
là in fondo.
(Garza sterile)
Per questo la poesia di Chiara Nobilia diventa, man mano che si procede da questo incipit folgorante, una lenta inestinguibile risalita, mentre i versi si svolgono, come rami in cerca della luce di un sole che scaldi e consoli dalla leopardiana sofferenza di una Natura che mai rende quel che promise allora. Una poesia che è abbandono lirico al mistero dell’esistere, anche e soprattutto quando la strada si scopre puntellata di sassi e cocci aguzzi di bottiglia. Una poesia che non si arrende, ma si fa carico del male di molti per dare voce anche a chi voce non ce l’ha mai avuta fino a questo momento.
Sulla mia schiena
c’è la mappa del dolore
se vuoi puoi seguirla.
è lì che hanno scisso,
aperto e ricucito,
è lì che ispezionano tuttora,
vegliando la pelle al dermoscopio,
individuando magari qualcosa
che proprio non va.
(Sulla mia schiena)
Una poesia, infine, che riscopre l’altro, soprattutto quando tutto lo cancella. Perché a questo, e solo a questo, serve (ancora) la poesia:
Di ognuno di loro
vorrei si occupasse la poesia;
e che, invece di starsene rarefatta,
entrasse nelle loro case fredde,
e li sostenesse
con una mano sulla fronte
mentre vomitano le bestemmie
che il mondo non ascolta.
Soltanto lei
può dire a ognuno di loro:
io ti ho visto.
(Soltanto lei)
Autore: Chiara Nobilia
Titolo: Svolgermi ramificata
Editore: Ensemble
Dati: 94 pagine, brossura
Anno: 2020
Prezzo: 13,00 €
Isbn: 978-88-6881-602-5
webinfo: Catalogo dell’editore