Il 2021 dovrà essere ricordato non solo nel cinema giapponese ma anche in quello internazionale per la nascita di una stella. Luminosa, luminosissima. Si tratta di Hamaguchi Ryusuke (come da corretta grafia in giapponese, prima il cognome e poi il nome) che aveva vinto a marzo l’Orso d’Argento al Festival di Berlino 2021 con lo splendido Il gioco del destino e della fantasia (https://close-up.info/il-gioco-del-destino-e-della-fantasia/). Sono trascorsi solo pochi mesi e, come in un paso doble, al 74° Festival di Cannes a luglio si aggiudica la Palma per la miglior sceneggiatura, veramente assegnata con cognizione di causa, per Drive My Car – film che poi è passato in anteprima nel programma de “Il Cinema attraverso i Grandi Festival: Cannes, Locarno, Venezia” (https://close-up.info/3549-2/) per poi approdare nelle sale italiane a settembre grazie all’eccellente lavoro della Tucker Film che aveva distribuito anche l’opera precedente.
E adesso aspettiamo il verdetto degli Oscar a cui è candidato.
Se ne Il gioco del destino e della fantasia Hamaguchi seguiva il modello della novella, presentandoci nel suo film tre short stories indipendenti, l’una slegata dall’altra, qui si confronta invece con il romanzo lungo – e infatti Drive My Car dura la bellezza di tre ore ma, niente paura, non si sentono per niente. Tra i due film, nati evidentemente sotto una costellazione eccezionale e fortunata, comunque i temi (gli spostamenti progressivi dell’amore, l’elaborazione del lutto) e le location (le interminabili chiacchierate in macchina, gli spazi ristretti), con qualche impercettibile variazione, restano gli stessi in una qualità di scrittura cinematografica a dir poco straordinaria.
Ispirato all’omonimo racconto di Murakami Haruki, contenuto nella raccolta di sette novelle Uomini senza donne (2014, trad. it., Einaudi 2015) – libro il cui leitmotiv è costituito dall’amore (spesso non ricambiato) che gli uomini provano verso le donne senza le quali si sentono perduti – il film dopo circa quaranta minuti finisce tuttavia per abbandonare la short story. Stacco, passano i titoli di testa e ci si avvia a confrontarsi con il teatro del gigante della letteratura russa Anton Pavlovič Čechov, più precisamente con la celebre pièce Djadja Vanja (Zio Vanja, pubblicata nel 1897). Al nome di Zio Vania a qualche cinefilo scatterà la classica lampadina in testa. Ma prima, in breve, alcune note di trama.
Il protagonista è Kafuku Yusuke – interpretato da Nishijima Hidetoshi, qualcuno forse lo ricorderà molto più giovane in Dolls (2002) di Kitano Takeshi – è un attore e regista teatrale che non riesce a superare la perdita della bella e sensuale moglie, la sceneggiatrice tv Oto (Kirishima Reika) e a rifarsi una vita. Due anni dopo il tragico evento, accetta di dirigere Zio Vanja per un festival di Hiroshima, seguendo il suo stile registico che intende rendere il testo anche con attori che parlano lingue diverse dal giapponese. Arrivato in loco, conosce Misaki (Miura Toko), una giovane e silenziosa ragazza che viene incaricata dalla produzione, contro la sua volontà, di fargli da autista e guidare la sua vecchia Saab rossa. Facendo il casting, il regista sceglie per la pièce da mettere in scena, oltre ad una attrice che si esprime con la lingua dei segni in coreano, anche un giovane attore Kōji (Takatsuki Kōji) che sa essere stato l’amante della moglie prima della morte. Viaggi dopo viaggi quotidiani andata e ritorno da casa sino al teatro, prove dopo prove con i vari interpreti del testo cechoviano, Kafuku e Misaki, superate le reciproche differenze, lasceranno affiorare segreti, dolori e confidenze, mentre Kōji assumerà un ruolo sempre più ambiguo nella storia sino a … Infine, un lungo viaggio catartico vedrà i due protagonisti partire da Hiroshima in una notte per giungere nell’Hokkaido innevato – come a dire, per capirci, dalla Sicilia al Trentino Alto-Adige – e a portare una ventata di speranza in due destini piegati ma non vinti dalla sventura.
In Il gioco del destino e della fantasia, Hamaguchi aveva avuto come modello di riferimento il cinema di Eric Rohmer, questa volta, invece, il termine di riferimento è un grande autore della “rive gauche” francese e segnatamente quel Louis Malle che dallo stesso testo teatrale aveva tratto il suo ultimo film prima della morte, il meraviglioso Vanya sulla 42esima strada (1994) per la sceneggiatura di David Mamet.
L’idea di base, quindi, di mischiare teatro e vita con un gruppo di attori che si riunisce per provare e mettere in scena lo Zio Vanja di Čechov, è la stessa ma il regista giapponese non solo non soccombe nel confronto con il grande regista francese ma arricchisce il suo film di tanti ulteriori significati e soprattutto di un ritmo narrativo completamenti diverso. In Drive My Car riesce, infatti, a competere e mettersi al passo con la grande tradizione classica degli anni Cinquanta del suo paese, in primis con il cinema di Ozu e Mizoguchi, e con quel senso avvolgente dei rapporti d’amore e familiari, immersi nello scontro tra tradizione e innovazione. Parole, parole, parole con insistiti, intensi piani fissi alternati a close-up dei volti.
Shakerando Murakami e Čechov oltre che Malle e i grandi maestri del suo paese, Hamaguchi Ryusuke ci consegna un labirintico film, sorprendente e straordinario – “un road movie dell’anima in equilibrio tra vita e rappresentazione” lo definisce il suo autore -, ricco di detour e sorprese narrative nonché di significati umani estremamente commuoventi. E a ciò contribuisce l’ariosa fotografia di Shinomiya Hidetoshi. Insomma, senza dubbio, uno dei film più belli visti quest’anno, sottilmente e appassionatamente letargico nel suo ritmo avvolgente, da consigliare assolutamente.
Ps.: agli appassionati di cinema più esigenti mi sentirei di dare qualche piccolo consiglio: sapere cos’è una lampreda giapponese (a me sconosciuta ma facilissimo basta guardare nel web) e soprattutto di leggere o rileggere i due testi su cui si basa il film: il racconto di Murakami e Zio Vania. Ma anche senza seguire questi suggerimenti, non si può non gustare e apprezzare un film meraviglioso.
Passato dal 23 settembre 2021 in sala
Drive My Car/ Doraibu mai kâ – Regia: Hamaguchi Ryūsuke ; sceneggiatura: Hamaguchi Ryūsuke, Oe Takamasa ; fotografia: Shinomiya Hidetoshi; montaggio: Azusa Yamazaki; musica: Ishibash Eikoi; interpreti: Nishijima Hidetoshi (Kafuku Yusuke), Miura Toko (Watari Misaki), Kirishima Reika (Oto, la moglie di Yusuke), Okada Masaki (Takatsuki Kōji); produzione: Teruhisa Yamamoto per C&I Entertainment, Culture Entertainment, Bitters End; origine: Giappone 2021; durata: 179’; distribuzione: Tucker Film.