Certe famiglie si migliorano solo con un omicidio”. Direi che sia abbastanza drastica la “cura” che la psicologa vamp Rebecca, capelli biondo platino e tacchi vistosi, teorizza a un certo punto del film, nella speranza di risolvere un caso assai doloroso, riprovevole. Esce con Lucky Red un curioso noir che si chiama Eileen, dal nome della protagonista. C’è un romanzo omonimo del 2015 (tradotto da Mondadori, 2017) di Ottessa Moshfegh, scrittrice americana di origini irachene e croate, alla base del film firmato dall’inglese William Oldroyd, protagonista la giovane attrice neozelandese Thomasin McKenzie. È lei a incarnare la ventiquattrenne Eileen Dunlop che lavora come segretaria in un carcere minorile del New England, a un passo da una piccola città, e mangia cioccolatini in modo compulsivo.
Siamo nel 1964, Lyndon B. Johnson regna come presidente dopo l’assassinio di Kennedy e nei juke-box furoreggia “Tell Him” di The Exciters. La vita non sembra arridere alla giovane donna. Ha un padre alcolizzato, ex poliziotto; la vecchia auto è spesso invasa dal fumo del motore; la casa è un disastro. In più Eileen ha qualche problema col sesso: spia gli amanti che fanno l’amore in macchina, fa scivolare della neve tra le gambe per raffreddare le voglie, si masturba sognando di essere “presa” senza tanti complimenti da una giovane guardia carceraria.
In questo contesto tra triste e morboso l’arrivo nel riformatorio di Rebecca, la psicologa yé-yé di cui sopra, sconvolge la vita della laconica fanciulla abituata al peggio. La nuova venuta è avvenente, anticonformista, sagace, sa come trattare gli uomini molesti e sa prendersi i suoi piaceri. Per Eileen, magnetizzata da quella personalità prorompente, sarà l’inizio di una nuova vita, piuttosto rischiosa…
Due o tre livelli narrativi si mischiano in questo film insinuante, pure inquietante, che gioca con un impasto fotografico vecchio stile, a partire dai titoli di testa e dal logo della Universal; ma le strizzatine d’occhio cinefile, ogni tanto viene da pensare alle fosche trame di Edgar G. Ulmer e Robert Siodmak, non suonano fine a sé stesse, contribuiscono a focalizzare una certa atmosfera “di genere” che scopriremo essere legata alla storia di un detenuto adolescente, tal Lee Polk, accusato di aver ucciso il padre in modi orribili.
Non tutto torna nel finale, dopo un sorprendente rincorrersi di eventi francamente poco credibili; ma succedeva anche in certi piccoli classici degli anni Cinquanta e Sessanta. Al regista interessa più far emergere la bizzarra/contorta complicità che si stabilisce tra le due donne: più diverse non potrebbero essere, eppure entrambe sembrano avere bisogno l’una dell’altra per raggiungere obiettivi diversi.
Se la brava Thomasin McKenzie s’imbruttisce per restituire all’inizio la grama esistenza di Eileen, Anne Hathaway si propone come una “femme fatale” decisa a dar scandalo in quell’universo maschile. Mentre Shea Whigham dà corpo al padre ubriacone che brandisce sempre una pistola, e si sa che quando appare un’arma in un film americano…
Inutile dire che nella versione in inglese coi sottotitoli tutto suona migliore, più ambiguo, meno “forzato” e sopra le righe.
In sala dal 30 maggio
Eileen – Regia: William Oldroyd; sceneggiatura: Luke Goebel, Ottessa Moshfegh; fotografia: Ari Wegner; montaggio: Nick Emerson; musica: Richard Reed Pa; interpreti: Thomasin McKenzie, Anne Hathaway, Shea Whigham, Owen Teague, Marin Ireland, Jefferson White, Sam Nivola, Siobhan Fallon Hogan, Tonye Patano, William Hill, Peter McRobbie, Peter Von Berg, Alexander Jamesont; produzione: Anthony Bregman, Stefanie Azpiazu, Peter Cron, Luke Goebel, Ottessa Moshfegh, William Oldroyd per Fifth Season, Film4, Likely Story, Omniscient Films; origine: Gb/Usa, 2023; durata: 97 minuti; distribuzione: Lucky Red.