Festa del Cinema di Roma: L’isola degli idealisti di Elisabetta Sgarbi (Concorso)

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Elisabetta Sgarbi è da anni una protagonista di tutto rispetto dell’editoria italiana, avendo ricoperto per un lunghissimo periodo il ruolo di direttrice editoriale della Bompiani prima di fondare la prestigiosa La Nave di Teseo, e dirigere la rassegna culturale La Milanesiana, ben nota ai cittadini lombardi e non solo. Da qualche tempo ha preso a dedicarsi anche alla direzione di documentari non privi d’interesse (tra gli altri, si ricordano La lingua dei furfanti – Romanino in Valle Camonica e Extraliscio – Punk da balera) e poi un pugno di lungometraggi. Oggi ha presentato alla Festa del cinema di Roma la sua ultima fatica, L’isola degli idealisti, adattamento cinematografico di un romanzo scritto nel 1942 da Giorgio Scerbanenco, andato perduto e ripubblicato nel 2018 proprio dalla summenzionata La Nave di Teseo. Ambientando la storia presso una Delizia Estense che appartiene al retaggio sentimentale della regista ferrarese, e popolando la scena di opere d’arte (da Adolfo Wildt a Enrico Baj, da Cagnaccio di San Pietro a Valerio Adami) appartenenti alla Collezione Cavallini-Sgarbi, la regista insieme al co-sceneggiatore Eugenio Lio si appropriano del testo di Giorgio Scerbanenco, svolgendo un’operazione di divulgazione e insieme di omaggio dell’opera omnia dello scrittore di origine ucraina, che proprio la casa editrice milanese sta pubblicando nella sua interezza. Il film, come il libro, narra le vicende di una coppia di ladri che trova rifugio in una villa sperduta nelle nebbie padane, dove vivono come ipostatizzati in uno spazio remoto i componenti di una bislacca famiglia facoltosa: un ex direttore d’orchestra in pensione che si diletta a strimpellare le arie che lo resero celebre, un ex medico con la passione per la filosofia che custodisce un terribile segreto, una scrittrice di libri commerciali che si è ritirata a scrivere il grande romanzo, e altri personaggi secondari (un buffo commissario, un cugino invidioso, una governante impertinente e un boss della mala). L’irruzione dei due malviventi produce l’effetto di scuotere la fissità di questo “gruppo di famiglia in un interno” determinando svolte drammatiche ed inattese evoluzioni. Come spesso accade, insomma, nella letteratura, nel teatro e nel cinema contemporanei (vengono in mente il film di Luchino Visconti cui sopra si è alluso, Gruppo di famiglia in un interno; Teorema di Pier Paolo Pasolini; L’angelo sterminatore di Luis Buñuel, etc.) l’intervento di un agente esterno, l’invasione del perturbante, la comparsa dell’altro da sé, genera nel mondo rappresentato un’entropia dagli esiti ora salvifici altre volte esiziali, sconvolgendo lo status quo ante per far germinare un nuovo ordine famigliare.
Elena Radonicich e il cane Pangloss
Questa la fabula, che importa il giusto, quindi l’intreccio, che per scelta degli stessi autori, rivendicata fieramente durante la conferenza stampa al Festival a Roma, aderisce persino pedissequamente al modello letterario, perseguito pure nello stile e nella lingua. E qui – a modesto avviso di chi scrive – iniziano i problemi: c’è tutto di meritorio nel divulgare l’opera di un protagonista importante della letteratura del ‘900. C’è persino qualcosa di temerario e insieme lodevole se, per farlo, si decide di rileggere le sue pagine meno note o quasi sconosciute; se si decide di ripercorrere i territori meno battuti del rosa o del noir, rispetto al genere giallo-poliziesco di cui Scerbanenco è stato un vero maestro. A patto però di non peccare di eccesso di venerazione, rispetto a un modello letterario che, par fargli davvero giustizia – come si sa – dal cinema deve essere “tradito”. E invece no: forse fedele alla linea della sua idea di cultura, Elisabetta Sgarbi decide consapevolmente di sfidare le convenzioni e gira un film in tutti i sensi letterario, affidando le pagine dello scrittore nato a Kiev a uno stuolo di attori di chiara fama e di acclarata bravura, augurandosi che tanto basti. Ma, purtroppo per il film, così non è, anche se gli attori si chiamano Renato Carpentieri, Tommaso Ragno, Michela Cescon ed Elena Radonicich; per quanto essi si affannino (e se ne capisce il motivo: ogni attore che si rispetti darebbe la vita per difendere il proprio personaggio) a dichiarare che il cinema non ha da essere per forza contemporaneo, oppure che la lingua italiana è per definizione letteraria. Il problema è altrove: nonostante gli sforzi dei suoi interpreti e al di là delle intenzioni dei suoi autori, L’isola degli idealisti non si affranca mai dalla sua origine libresca, tanto che, al pari delle sue scene e dei suoi personaggi, lo si direbbe congelato in una fissità spaziale e temporale che non solo è irreale (e fin qui non sarebbe grave) ma è soprattutto poco rilevante. Per lo meno così ci è sembrato. PS: Spiace trovare un raffinato e viscerale “animale da palcoscenico”  come Antonio Rezza in un ruolino minuscolo in cui ci pare incapace di trasferire alcunché del suo genio istrionico, ammirato a teatro (o nei suoi geniali lavori per il cinema).
L’isola degli idealisti Regia: Elisabetta Sgarbi; soggetto: tratto dall’omonimo romanzo perduto di Giorgio Scerbanenco; sceneggiatura: Eugenio Lio, Elisabetta Sgarbi; fotografia: Andres Alce Maldonado; montaggio: Andres Alce Maldonado, Elisabetta Sgarbi; scenografia: Monica Sallustio; costumi: Gaia Calderone; musiche: Michele Braga; interpreti: Tommaso Ragno, Elena Radonicich, Renato De Simone, Michela Cescon, Renato Carpentieri, Tony Laudadio, Mimmo Borrelli, Dario Nemolato, Chiara Caselli; produzione: Bibi Film e Betty Wrong con Rai Cinema; origine: Italia, 2024; durata: 114 minuti; distribuzione: Fandango Distribuzione. Foto: Simona Chioccia

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