La giovane Banel (Khady Mane) non crede esistano le sirene della leggenda del lago che le racconta Adama (Mamadou Diallo). E non crede nemmeno che le case insabbiate, fuori dal villaggio dove vive, nel Nord del Senegal, siano maledette. Tanto più da quando lei e Adama hanno deciso, andando contro la volontà del villaggio, di liberarle dalla sabbia, per andarci a vivere loro due da soli e così separarsi dalla famiglia. Però, le voci amiche, che la chiamano per nome, le dicono che lei, Banel, è destinata ad Adama, e che la loro storia era già scritta prima che loro stessi lo sapessero.
La voglia di indipendenza della giovane coppia non è ben vista dalla comunità, e nemmeno dalla madre di Adama. Quando poi quest’ultimo rifiuta di diventare capo villaggio, rompendo così con la tradizione paterna, si lacera il filo conduttore che legava la comunità alle forze ancestrali.
Banel è una ragazza ribelle, il contrario di suo fratello gemello Racine, l’Imam della comunità , il quale, la rimprovera bonariamente di essere solo “cuore”, e di aver lasciato a lui tutta la “ragione”. Per fortuna la giovane sa usare bene la fionda, che spesso le serve come sfogo alla frustrazione, quando le impongono di svolgere mansioni femminili con le altre donne del villaggio, e non le permettono, come vorrebbe lei, di andare al pascolo con Adama. Ma i figli quelli, no. Banel li rifiuta categoricamente: le basta la sua storia d’amore.
Questo orgoglioso scontrarsi con forze più grandi di lei, isolano la ragazza sempre di più nella comunità e, quando la pioggia comincia a tardare troppo, le mucche del villaggio muoiono dalla fame e dalla sete, e anche le voci amiche tacciono, così che Banel comincia ad avere dubbi sulle sue scelte.
Applauditissimo, e in una sala strapiena, l’opera prima della giovane regista franco-senegalese Ramata-Toulaye Sy. Il suo è un film magico, incantato. A partire dal fatto che inizia come il racconto di una favola.: “C’era una volta un pescatore amico delle sirene…. „. La regista è ben riuscita a portare sul grande schermo le credenze ancestrali della cultura pastorale arcaica, in questo caso senegalese, che sono tipiche di ogni cultura umana legata alla terra come mezzo di sostentamento, e dove quindi ancora esiste una simbiosi fra uomo e natura.
Secondo, poi, perché è un film che riesce a stupire. Riesce a conquistarci con la bellissima fotografia, gli splendidi colori e le sequenze spettacolari della direttrice alla fotografia Amine Berrada (conosciuta in Francia per il documentario Jean Douchet, l’enfant agitè, di Fabien Hagege, Guillaume Namur, Vincent Haasser, 2017), che trasporta lo spettatore in una dimensione fatata, fuori dal tempo, pur contemporaneamente, rimanendo ancorato nella realtà dei problemi dell’oggi. Alla fine del film-fiaba, ci rendiamo conto, che ci ha parlato di cambiamenti del clima: più in particolare del problema ormai mondiale della siccità e della distruzione degli ecosistemi. Ma non solo, ci parla anche di una donna che vuole emanciparsi, e trova nella sua passione la forza per farlo.
Ramata-Toulaye Sy ha studiato cinema alla FEMIN di Parigi, dove è nata. Ha presentato il suo primo cortometrtaggio Astel (2021) al Festival internazionale di cinema di Toronto. Da questo primo lavoro è nato Banel et Adama, girato tutto in lingua Pulaar, la lingua dei suoi genitori. Anche gli attori, tutti non professionisti, sono originari della stessa regione.
Molto Consigliato a chi ama il realismo magico e le grandi emozioni primordiali.
Banel et Adama – Regia e sceneggiatura: Ramata-Toulaye Sy; fotografia: Amine Berrada; montaggio: Vincent Tricon; musiche: Bachar Khalifé; interpreti: Khady Mane, Mamadou Diallo, Moussa Sow, Binta Racine Sy; produzione: La Chauve Souris, Take Shelter, Astou Films, Arte France Cinéma, DS Productions; origine: Francia/Mali/Senegal, 2023; durata: 100 minuti.