“Dobbiamo vedere la bellezza di uno stadio mezzo pieno” – abbiamo intervistato l’Europeo

L’Europeo, sì proprio Lui, lo incontro all’aeroporto di Fiumicino, seduto su un divano della sala VIP in attesa di un volo per Londra. E’ elegante, curato, educatamente distaccato. Mi hanno messo in contatto con lui alcuni amici comuni, ma mi hanno detto che è stanco: sono giorni di fuoco. Con prudenza mi avvicino.
Buongiorno, sarei di Close-up, la rivista di cinema che si diverte a parlare di calcio…
Oh, si, certo. Buongiorno a lei, come va?
Io bene, grazie. Lei, piuttosto, come se la cava con questa novità itinerante?
Bene, bene. Un lavoraccio da una parte, dall’altra l’esaltazione del concetto. Volare di continuo per l’Europa, raggiungere le sue “centrali energetiche”: le grandi città, e le sue preziose periferie, vederla completamente colorata a festa, guardi, se le dico commovente ci crede? Una follia meravigliosa.
Dicono che ci non sarà mai più un Europeo così.
Peccato. A me piaceva. Anche da un punto di vista simbolico: abbiamo bisogno di percepirci davvero vicini di casa, di pensare insieme, di fare cose di concerto. Come se tutte le nostre case fossero aperte, girare lo sguardo e sentirci della porta accanto. Specialmente in un momento storico così delicato. Facciamolo diventare una lezione.
Cosa sta imparando da questa esperienza?
Certamente vedere le differenze così rapidamente, ogni giorno, mi aiuta a capire dove iniziano i punti di forza e dove invece quelli di fragilità di ogni diversità e disparità. Su questo dobbiamo lavorare tutti, però…
Però…
Però…  mi lasci dire che in questo momento la gioia più grande, non vorrei sembrarle retorico o ripetitivo, è vedere tutti i miei colori, l’arancio, l’azzurro, le varie sfumature di rosso, il bianco, il giallo, il blu, finalmente, di nuovo festosi sugli spalti.
Vero, anche se non sono ancora stadi pieni del tutto. In gran parte dei paesi.
Si, in Ungheria, per esempio, lo stadio è pieno, ma vede, mai come ora, dobbiamo guardare il bicchiere mezzo colmo. Si, ci sono i buchi, ma lo spazio degli spalti è tutto occupato: dalle file basse a quelle altissime c’è gente ovunque, e quella sensazione di desolazione, di tristezza, con i settori dello stadio chiusi, come se ne vedono tanti anche nel vostro campionato, ecco, quel brutto effetto non c’è.
Ha ragione..
E sa cosa le dico, quegli spazi vuoti li dobbiamo riempire noi di speranza, di attenzione, di fiducia nel futuro, di intelligenza. Dobbiamo vedere la bellezza di uno stadio mezzo pieno per ricordarci di non dare nulla per scontato nella vita e cercare di non farlo più essere vuoto.
Comunque questi stadi con la gente sono a mio parere il più forte segnale di normalità dall’inizio della pandemia. I vari campionati li ha sentiti, le hanno fatto i complimenti per questo?
Ma chi? Quella massa di egoisti e brontoloni? Si fanno sentire solo per le soste, per lamentarsi delle interruzioni. “Eh ma così non si può fare”, “Eh ma così io ci rimetto..” Poi per un mese tutti spariscono e noi regaliamo gioia ed emozioni incredibili a tutti. E sono sicuro che anche loro, i campionati, se la godono in poltrona e prendono appunti per i loro interessi e i loro guadagni. Finita la festa, poi, torniamo ad essere considerati dei rompiscatole.
È un po’ il vostro destino.
Lo è diventato col tempo, coi calendari estenuanti e i grandi imperi economici. Prima c’era più rispetto, più comprensione della nostra grandezza, della nostra inimitabile bellezza. Ma lasciamo stare, ci rimane questo mese gioioso e ricco di emozioni che nessuno potrà mai portarci via. Nessuno immagina cosa significhi unire in una grande festa, in un colorato e allegro girotondo un continente che fino a mezzo secolo fa si vedeva solo per fare la guerra. Oppure, nel caso del Mondiale, addirittura unisce l’intero mondo. Una cosa pazzesca, straordinaria.
Che rapporto avete, a proposito, voi due?
Mi vuole bene, ce ne vuole a tutti. A me, alla Coppa America, alla Coppa D’africa. Ci considera figli suoi e ci insegna un sacco di cose. L’ho chiamato l’altra sera, dopo la partita dell’Italia. Sa che hanno cantato tutti insieme, i calciatori della Nazionale, la canzone Notti magiche?
Beh?
Beh, mi sono sentito in dovere di chiamarlo, un po’ perché  so che ha un bel ricordo di quell’edizione, il mitico Italia 90, la vostra bella Italia gli è rimasta nel cuore. E un un po’ perché mi sono sentito come un ladruncolo che gli rubava un ricordo così bello.. Quella canzone era la colonna sonora di quel Mondiale…
E lui?
Si è fatto una risata e poi mi ha mandato, come dite voi italiani, a quel paese. Ha una mentalità aperta, del resto, se non è di mondo lui?
Ha parlato dell’Italia. Le piace?
E’ la squadra che finora ha espresso il miglior calcio, soprattutto nelle prime due partite. Quella che gioca più di concerto, che palleggia e aggredisce di più. E’ bella perché esalta il gruppo, è un’orchestra con buoni musicisti. Ha tutto per vincere, ma non è affatto detto che vinca. Basta una squadra tosta, una partita difficile, magari si innervosisce, si va ai rigori, si perde, e tutta la bellezza prodotta fino a quel momento va in fumo. Pensi solo che il Portogallo, quando vinse l’Europeo, arrivò terzo nel girone e fu ripescato.
Scusi, ci sta smontando un po’…
Cerco di evitare l’euforia, i pensieri troppo lunghi. Vi proteggo. Consiglio vivamente a tutti di pensare partita per partita. Di non dare niente per scontato. Avrei anche altri esempi da farle, ma sarebbero dolorosi per lei e non glieli faccio. Le ricordo solo le vittorie della Grecia e della Danimarca.
La ringrazio. Mi dica almeno le delusioni, finora.
Ancora presto per dirlo. Forse la Spagna, ma vale quanto detto sopra. L’Inghilterra, che avrà anche il più bel campionato del mondo, ma se poi produci zero a livello di Nazionale, io qualche domanda me la faccio. Comunque siamo ancora all’inizio, aspettiamo. Anche per parlare di sorprese.
Però mi dica una manciata di squadre che secondo lei arriveranno in fondo.
L’Olanda, la Francia, il Belgio, l’Italia. La solita Germania bruttarella ma indomita. Chissà, anche la Spagna. Un paio tra queste, alle quali aggiungo una sorpresa.
Quale?
La Repubblica Ceca ma non troppo convintamente.
Non posso non chiederle di Christian Eriksen.
Un momento drammatico. Indescrivibile. Ho sentito la tragedia addosso. Quello che conta, in certe situazioni, è il finale, e in questo caso è andata bene, e tutto quello che è accaduto assume una forma più sostenibile. Il gesto di Simon Kjær può essere sottolineato con più facilità, perché probabilmente ha salvato una vita. Questo non significa essere superficiali, nel capire cosa è accaduto e utilizzare questa esperienza perché non accada nulla di simile in futuro.
Sarebbe contento se tornasse a giocare?
Sinceramente non penso sia la cosa più importante. Quello che conta è che potrà vivere con gioia accanto agli affetti più cari. Di questo sono davvero felice.
L’altoparlante annuncia che il volo dell’Europeo è in partenza. Lui mi guarda come per dire che ci dobbiamo fermare ed io gli dico solo “grazie”. Poi si alza, prende il suo bagaglio e fa per andarsene. Ormai è di spalle a me, ma dopo qualche passo si ferma. Posa a terra la valigia e si volta. Lentamente si inginocchia proprio come fanno molti giocatori in questo torneo. “Ecco un’altra cosa bella di questa edizione”, mi dice. Poi si rialza in piedi e scompare tra gli altri viaggiatori. Un tizio mi si avvicina e mi chiede chi fosse quel tipo così distinto.

Uno che conosce la bellezza, un gran signore. Un incontro che porterò con me.

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