Capita raramente di assistere a un coro così concorde di stroncature come è accaduto e sta accadendo per il film di Joe Wright intitolato La donna alla finestra (in originale The Woman in the Window), tratto dal bestseller di A. J. Finn che nel 2018 vendette in giro per il mondo milioni di copie, dando vita anche a un piccolo scandalo in merito alle numerose fake news messe in giro dall’autore (già il suo nome è uno pseudonimo), autore affetto sindrome bipolare, su cui ebbe ad indagare in un celebre saggio “The New Yorker”. Tutti si meravigliano del fatto che il testo ben si prestava a una trasposizione, che il regista è bravo (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione, Anna Karenina, L’ora più buia), che il cast, seppur sotto-sfruttato a parte la protagonista, è imponente (Amy Adams, Gary Oldman, Jennifer Jason Leigh, Juliane Moore), che la produzione (Fox) non ha badato a spese, che il direttore della fotografia Bruno Delbonnel ha lavorato con Sokurov, con Tim Burton e con i Coen, che lo sceneggiatore Tracy Letts è un ottimo autore di teatro che ha trasposto con successo molti suoi plays per il cinema – eppure il film è un mezzo disastro. E mezzo è già poco.
In questi casi in realtà verrebbe quasi voglia di fare il bastian contrario, enucleando tutti i possibili elementi positivi e facendo leva su quelli. Ma, anche con la miglior buona volontà, non è proprio possibile, perché La donna alla finestra – che pure è in cima alle classifiche fra i film più visti su Netflix (a dimostrazione che lo spettatore comune della critica tutto sommato se ne frega) – è decisamente un brutto film. Proviamo a spiegare il perché.
In primo luogo vuole mostrarsi come un film colto e citazionista. Non sappiamo (perché non lo abbiamo letto) se anche il libro presentasse questo aspetto, fatto sta che fin dalle primissime sequenze il film esibisce il suo principale sottotesto di riferimento che è nientemeno che uno dei capolavori della storia del cinema, ossia Rear Window di Alfred Hitchcock: stesso setting (Manhattan), stessa condizione del/la protagonista (entrambi reclusi in casa, entrambi che, faute de mieux, spiano quel che avviene fuori). Ora: bisogna aver coraggio a cimentarsi con un film del genere e come se non bastasse a sbandierare questo cimento ai quattro venti. La finestra sul cortile è solo la più vistosa di una serie di citazioni, poiché la protagonista (una psicologa infantile chiusa in casa perché affetta, in seguito a trauma, da agorafobia, stretta parente peraltro dell’acrofobia di un altro celebre personaggio impersonato da Jimmy Stewart anche questo citato a piene mani) trascorre le sue giornate a guardarsi film classici thriller hollywoodiani che hanno tutti più o meno a che a fare con la sua condizione e con la storia che ci accingiamo a vedere (a questi esempi di intertestualità esplicita bisognerebbe aggiungerne altri di intertestualità implicita o se vogliamo forse addirittura di plagio, il più celebre dei quali è Copycat del 1995, con Sigourney Weaver).
Ma l’esibizione per nulla ironica di questo citazionismo non è altro che un autogoal da parte di un regista che neanche lontanamente riesce ad avvicinarsi a quelli che sembrerebbero essere i suoi modelli: non si avvicina in termini di costruzione del plot, di credibilità drammaturgica, di banalissima suspense. In secondo luogo il film è troppo lungo, ripetitivo e a più riprese astruso, anche al netto di ogni lecita sospensione dell’incredulità.
In terzo luogo la regia, volutamente virtuosistica e barocca, raggiunge involontari vertici comici per esempio in una delle più brutte scene che si ricordino quando, verso la fine, la protagonista finisce in una colluttazione sotto la pioggia sul tetto di casa con uno degli altri personaggi. Detto questo ci asteniamo da qualsivoglia forma di racconto della trama costantemente a rischio spoiler e per oggettivi problemi nel ricondurre a un senso certo quanto via via ci viene raccontato. Amy Adams costantemente in scena nel ruolo della protagonista, curiosamente in un ulteriore ruolo estremo e fisicamente sfiancata come quello della figlia/madre di Elegia Americana di Ron Howard (https://close-up.info/verso-gli-oscar-elegia-americana/), è certamente brava ma dopo un po’ la gamma delle sue espressioni risulta esaurita.
The Woman in the Window – Regia: Joe Wright; sceneggiatura: Tracy Letts; fotografia: Bruno Delbonnel; montaggio: Valerio Bonelli interpreti: Amy Adams (Anna), Gary Oldlman (Alistair), Jennifer Jason Leigh (Jane), Juliane Moore (Katherine), Fred Hechinger (Ethan), Wyatt Russell (David); produzione: Fox 2000 Pictures origine: Stati Uniti 2021; durata: 100’; distribuzione: Netflix.