La timidezza delle chiome di Valentina Bertani

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Benjamin e Joshua Israel hanno vent’anni. È l’età delle svolte, dell’esaltazione e degli errori a cui essa conduce, dei desideri incerti, delle illusioni disattese e degli inquieti sogni maturati durante una scampagnata con gli amici più cari. Vent’anni è anche l’età dei dissidi, degli addii e degli arrivederci, nonché delle prime, silenziose insurrezioni contro un microcosmo domestico talora ingombrante. Lo sguardo di Valentina Bertani, giovane sceneggiatrice e autrice di prestigiosi commercials qui giunta al suo debutto su grande schermo in veste di documentarista con La timidezza delle chiome (passato nelle scorse Giornate degli Autori in “Notti Veneziane”), sembra quasi sovrapporsi a quello dei personaggi da lei ritratti, svelandone e al contempo proteggendone l’intimità.

Benjamin e Joshua Israel sono gemelli omozigoti, nati e cresciuti sotto un tetto di fiaba – almeno, così ci appare la dimora in cui i ragazzi giocano, litigano, fantasticano e trasgrediscono le antiche leggi dell’ormai lontana infanzia. La loro casa è un nido per pochi eletti, un universo parallelo permeato dalla rassicurante e carismatica presenza paterna: quest’ultima si manifesta, nella turbolenta quotidianità con cui i due giovani si ritrovano a fare i conti, come una sorta di faro remoto ma solido, la terraferma nel burrascoso oceano della vita. La pellicola ci presenta due destini paralleli, per molti versi inconciliabili fra loro, eppure uniti da un legame la cui natura ci risulta spesso indecifrabile.

Benjamin è sentimentale, appassionato e devoto ad un idealismo tutto suo, ad una purezza d’intenti pressoché rara e probabilmente acquisita fra i versi di Jacques Prévert ch’egli sa citare a memoria. È un gran chiacchierone, ricerca l’approvazione altrui con la caparbietà di un bambino, sa divertirsi e far divertire. Desidera un amore da romanzo, ma sa essere sarcastico e perfino pungente – un tratto caratteriale donatogli forse dalla madre, figura discreta e vigile ma dall’ironia acuta e dall’animo coriaceo. Joshua, al contrario, possiede un’indole decisamente più ribelle e pare non trovar pace nella tranquilla oasi familiare. Fuma molto, parla poco, osserva il mondo con l’aria di chi sa già cosa aspettarsi, al campeggio estivo preferisce il vagabondaggio senza meta per i suburbi di una Milano semideserta – ci troviamo infatti nella surreale Italia del 2020, in pieno periodo Covid. Forse è l’esperienza del lockdown, ma noi crediamo che, in fondo, ogni strada sia singola e porti a mete singole: la ricerca di emancipazione da parte dei due protagonisti ha origine in un tempo molto lontano, di gran lunga precedente agli anni della pandemia.

Il rapporto che i fratelli coltivano si basa infatti su continui e violenti scontri a cui non sempre segue una riconciliazione definitiva. Ci risulta difficile penetrare il mistero che circonda i nostri eroi – sarà infatti una cara amica di Benjamin a donarci la giusta chiave di lettura: “alcuni alberi, quando crescono, non s’intrecciano tra loro coi rami per non farsi ombra a vicenda. Si chiama la timidezza delle chiome.” L’intera esistenza di questi giovani adulti ancora in prova si sviluppa su tale metafora, o meglio, su tali radici.

Malgrado le apparenze, l’opera segue la via diametralmente opposta rispetto a quella che la ricondurrebbe verso il racconto di formazione: in effetti, non si può dire che i personaggi imparino nulla, o forse la cinepresa preferisce muoversi sull’incerto limbo del non detto. Il linguaggio cinematografico di Valentina Bertani ci appare piuttosto acerbo e ancora fortemente pervaso dai toni ridondanti e dalle sfumature patinate tipici del videoclip musicale o dello spot televisivo – un genere con cui la regista è cresciuta e che fatica ad abbandonare a vantaggio del semplice documento. In poche parole, non siamo necessariamente in grado di distinguere la verità dalla realtà che la cinepresa ci illustra come se si trattasse di dipingere un bell’acquerello.

Così all’uggiosa routine di Joshua e Benjamin si alternano alcuni flashback fatti di vecchie fotografie, istantanee di un passato che grava sul presente, interrompendone il normale decorso con una certa variopinta brutalità. L’effetto è un po’ disturbante e abbiamo l’impressione che la forma oscuri la sostanza, spingendosi alle soglie dell’artificio – ci piacerebbe, in questo senso, dare un’occhiata alla sceneggiatura e determinare dove la cosa incontra il come. Nessuna parola viene spesa, ad esempio, sull’identità ebraica della famiglia Israel, né sul motivo che condurrà i fratelli in Israele, separandone definitivamente le sorti. Un vedo non vedo, insomma, che genera dubbi e rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda, che tiene lo spettatore sulle spine e lo lascia libero di ricostruire la sua versione dei fatti.

In sala dal 10 novembre


Cast & Credits

La timidezza delle chiome  – Regia: Valentina Bertani; sceneggiatura: Valentina Bertani, Emanuele Milasi, Irene Pollini Giolai, Alessia Rotondo; fotografia: Edoardo Carlo Bolli, Emanuele Mestriner; montaggio: Marco Bonini; con: Benjamin Israel, Joshua Israel, Sergio Israel, Monica Carletti, Michela Scaramuzza; produzione: Diaviva, Movieplus; origine: Italia, Israele 2022; durata: 96’; distribuzione: I Wonder Pictures.

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