Trovare e scegliere una buona commedia a teatro, non è un’azione semplice, vista la gran mole di titoli e le diverse tipologie di spettacoli di questo tipo, ma in questi ultimi mesi abbiamo seguito con molto calore cinque pièce che tra loro sono molto diverse in quanto a produzione e tipo di compagnie che le interpretano.
Il cast con Carolina Rosi e Gianfelice Imparato, nonché la regia è altisonante, parliamo di Ditegli sempre di si, diretto da Roberto Andò, spettacolo andato in scena al Teatro Ambra Jovinelli e che ha potuto girare in tutto il territorio nazionale, grazie ad una produzione importante e ad un testo eduardiano, che è sempre molto amato dal pubblico italiano. È infatti dal 1932, che gode di grande fortuna sulle scene.
La commedia era inizialmente rappresentata in napoletano, in buona parte composta dalle improvvisazione degli attori, solo nel 1962 è stata trasposta in lingua italiana ed è andata in scena in questa versione dopo vent’anni, con la compagnia di Luca De Filippo.
Ditegli sempre di si è un testo sulla pazzia nelle sue varie declinazioni: la follia clinica del protagonista Michele Murri, il quale, ansioso di reinserirsi nella società dopo un soggiorno in manicomio, cerca con un linguaggio elementare ma iper logico di collegare qualsiasi azione ad un significato preciso; abbiamo poi la pazzia dello studente aspirante attore Luigi Strada (Edoardo Sorgente), che con il suo istrionismo e una visione irreale del mondo, confonde terribilmente Michele. E infine abbiamo la follia della società fatta di ipocrisia, menzogna, convenzioni, cliché e perfidia, sarà proprio Michele a smascherarla attraverso una limpidezza e un’onestà intellettuale sconosciute ai più.
A livello drammaturgico si ha di conseguenza il sovrapporsi di questi tre piani dell’elemento follia, che genera dei divertenti malintesi, ma che sottendono tutti altri significati molto più profondi e ricchi di rimandi alle cause che li hanno scaturiti.
La regia di Roberto Andò si sviluppa puntando soprattutto sulla forza del linguaggio e sul gioco che ne possiamo ricavare, potenziando un testo drammaturgico di per sé ricco di polisemie e rimandi. Il cast si amalgama molto naturalmente rendendo così la scena credibile nonostante l’elemento dell’assurdo come costante: la bellezza delle commedie eduardiane è che nulla è scritto senza una causa e una conseguenza sia scenica che morale. Non c’è la volontà di stupire lo spettatore come nelle drammaturgie pirandelliane, ma quello di farlo riflettere.
Non poteva mancare tra le commedie una inglese, Rumori Fuori Scena, perfettamente rodata e scritta da Micheal Frayn nel 1982, arrivata oggi al trentaseiesimo anno di repliche al Teatro Vittoria di Roma, (la prima volta fu portata in scena in Italia da Attilio Corsini nel 1983 al Teatro Flaiano) sempre con la regia di Corsini e l’interpretazione di Viviana Toniolo, Stefano Messina, Carlo Lizzani e Marco Simeoli.
E’ considerata una delle più geniali e suggestive commedie contemporanee, nella quale il mondo dei sentimenti si intreccia con quella della vita di chi vive il palcoscenico e il mondo teatrale.
Non a caso nessun personaggio è escluso dalla serie di gag e scene esilaranti, in cui nessun dialogo è lasciato al caso.
Il plot si divide in tre parti: nella prima assistiamo alle prove generali dello spettacolo, silenziosi invitati nascosti fra le poltrone del teatro; nella seconda vediamo da dietro le quinte le caotiche vicende della compagnia; nel terzo siamo spettatori di una tragicomica rappresentazione.
Gli elementi usati da collante per le tre sezioni dello spettacolo sono squisitamente pretestuosi e funzionali al contempo: il piatto di sardine o le porte che si aprono e chiudono continuamente.
Uno spettacolo a colpi di battute e nonsense british tradotte perbene in un ottimo italiano per la scena, una compagnia di attori che sembrano ormai i personaggi dello spettacolo, in quanto a immedesimazione e cura dei particolari espressivi rispetto alla mimica e all’uso di tic e linguaggi peculiari.
Rumori Fuori Scena è un ingranaggio che ha la necessità di essere perfetto, perché qualsiasi sbavatura potrebbe compromettere il ritmo dello spettacolo o rallentare le scene.
Una scenografia (Bruno Garofalo) molto funzionale e ben strutturata che nella sua linearità rende possibili i movimenti degli attori, che in questo spettacolo hanno un numero impressionante di cambi scena e entrate e uscite, finte e vere…
Gli spettatori hanno spesso l’impressione che il reale si accavalli con il teatrale e credo che i piani spesso siano genialmente confusi, proprio per dare l’impressione che il rappresentato sia più verosimile di quanto ci si possa immaginare e che dunque la realtà sia il teatro che ci sta parlando del teatro.
L’altro spettacolo che volevamo segnalare è Assieme a te non ci sto più scritto da Adriano Bennicelli e ambientato in un anno cruciale, il 1989, che ci riporta immediatamente ad un evento storico fondamentale: la caduta del muro di Berlino.
È con questo evento che il mondo tornano ad abbattere le barriere che si erano procurate con la Guerra Fredda e con la divisione tra Europa dell’Ovest e paesi filo russi dell’Est.
Proprio nel momento dell’Unione sono invece i due coniugi Andrea (Fabrizio Pallotta) e Arianna (Elisa Pazi) a stare sul punto di dividersi, dopo una vita trascorsa insieme sin dai tempi dell’università.
Naturalmente esiste un connubio tra la situazione politica e la vita del protagonista, convinto sostenitore del partito comunista nonché architetto frustrato, a causa di commissioni non troppo lusinghiere, ma indubbiamente esilaranti, vista la tipologia di cliente interpretata da Serena Ricci, perfettamente in parte, interpretando un personaggio assolutamente sopra le righe.
Al contrario di una consapevole e forzatamente equilibrata coppia ben collaudata grazie all’intesa scenica di Pallotta e Pazi, che si sono ben strutturati in meccanismi comuni di crisi, ma non sempre semplici nel farli sembrare reali in scena.
E’ attraverso una recitazione asciutta e tragicomica che la piéce funziona, in cui risaltano in quanto ad originalità due personaggi alternativi, che fungono da elementi di riflessione e stimolo per la coppia: l’operaio rumeno Ernesto, laureato in psicologia della famiglia (Eric Bastianelli), e la zingara Aisha, che vive in un campo nomadi (Francesca Baragli).
In un divertente e coinvolgente fluire di vicende inaspettate la commedia, per la regia di Matteo Vacca, ci trasporta in una dimensione non solo sentimentale ma anche sociale in cui gli stereotipi oltre ad essere annullati, aiutano lo spettacolo ad essere realistico e surreale in modo lineare e costruttivo per gli spettatori.
Parenti serpenti (1992) celeberrimo film con la regia di Mario Monicelli e con la sceneggiatura di Carmine Amoroso, Suso Cecchi D’Amico e Piero De Bernardi, si trasforma in un divertente adattamento teatrale in cui la famiglia ideale è messa duramente alla prova.
Cast eterogeneo ma collaudato, composto da attori e attrici della compagnia “Sul palco per caso”, che rivisitano i personaggi avvicinandoli alla nostra contemporaneità più quotidiana a partire dalla sorella senza figli, “vittima” di una vita sfortunata, passando per la nuora nordica viziata e incline alle tresche, il figlio cripto gay, l’eterna nipote, il nonno incagliato nel comico carabiniere che fu, e arrivando infine alla solida nonna e mamma, fulcro di tutto lo strampalato clan destinato ad auto estinguersi.
Parenti serpenti per la regia di Sasa’ Russo è una sempre attuale e esilarante, amara parodia della famiglia italiana, apparentemente sacra nella sua continua profanazione dei precetti che sembrerebbe onorare, ma i quali regolarmente disattende, assecondando il cinismo più becero e l’individualismo più sfrenato.
A concludere questa nostra scelta di commedie interessanti, segnaliamo L’ultima coppia del mondo per la regia di Federico Moccia che ha esordito al Teatro Marconi, riscuotendo un ottimo riscontro del pubblico romano.
Di fronte ad un mondo completamente scomposto e deludente, Dio, depresso e furibondo (un esilarante Fabrizio Gaetani), decide di scatenare un secondo diluvio universale, sennonché last minute pensa di dover dare un’ultima possibilità alla specie umana, scegliendo delle coppie che gareggeranno, in mondovisione a una sfida, la quale decreterà i due Adamo ed Eva contemporanei.
Marco e Simona (Francesca Renzi e Marco Capretti in un’esplosione di battute, gag, divertenti giochi di parole, parodie e umorismo), sono dunque i prescelti. In effetti sono arrivati alla prova finale per una serie di casi e di imprevisti, ma anche grazie a esilaranti e ammiccanti dialoghi, dall’ispirazione comica tendente al surreale – una combinazione che funziona in maniera magistrale in questa commedia scritta da Federico Moccia, Marco Capretti e Valter delle Donne. Essa possiede una struttura molto ben congeniata, con battute che divertono e allo stesso ricordano il significato morale di contenuti sempre più trascurati dalla socialità.
La fa da padrone la sovrapposizione tra serio e faceto, un Dio della Lazio, si manifesterà, dopo essere stato annunciato dall’Arcangelo Gabriele, a una coppia abbastanza disfunzionale, ma simpatica, di romanisti senza speranza.
Saranno proprio Marco e Simona con le loro battute e sviste continue, a conquistare un Dio narciso e pugliese, e a scoprirsi intimi nonostante tutto.
In un divertente squilibrio tra una donna dominante e un uomo vittima ma un po’ Peter Pan, emergono meccanismi comuni di coppia per cui lo stereotipo si trasforma grazie a una drammaturgia ricca di idee in una grande risorsa scenica.
In una sfida continua davanti al “divino” trionfa infine l’amore e ciò che sembrava un enorme macigno assume le dovute proporzioni rispetto a una vita piena di ricchezza e bellezza.