MedFilm Festival: Le Bleu du Caftan (Film d’apertura)

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Apre la 28° edizione del MedFilm Festival ed è nell’immediato un altro Mediterraneo. Nostro, e nostro non solo, anche marocchino. I tessuti pregiati creano curvature simili alle dune del deserto, le dita delle mani le attraversano prima di tirare fili d’oro e arrotolarli intorno a bobine che hanno a loro volta bisogno di formare calli per essere azionate. Fra caftan e orpelli, rifiniture e ricami, emerge la materia, sia artificiale che umana, come sei occhi che richiamano tre visi: ognuno a cercare qualcosa nell’altro. C’è chi ottiene e chi no. E nel frattempo la quotidianità prosegue, in questo lento e corposo studio psicologico che prende il nome di Le Bleu du Caftan di Maryam Touzani già presentato in “Un certain Regard” del 75° Festival di Cannes.

Taciturno e pensieroso lui, schietta e fiera lei, loro sono una coppia sposata da anni. Gestiscono un negozio di caftani – abito tradizionale marocchino composto da una lunga tunica e lunghe maniche – e se la creazione dei caftan è compito del mallem (capo bottega), cioè di Halim, la gestione delle commissioni e la contrattazione con le clienti spetta a Mina. I due funzionano, sia come coppia di vita che di la lavoro, ma sono indietro con gli ordini, e devono ricorrere a un apprendista, Youssef, alle prime armi ma desideroso di apprendere:

Lo vedi? Questo è il margine del colletto, è il tuo margine.

Così sussurra Halim a Youssef, mentre una mano sopra l’altra lo guida nel taglio del tessuto. Il ritardo nelle consegne non è però l’unico problema. Mina è debole di salute e le sue condizioni peggiorano, Halim è in realtà omosessuale e il rapporto con l’apprendista lo mette in difficoltà. Si avanza però piano piano, filo dopo ago, medicina dopo malanno, tra ordini che si sommano e gesti ricorsivi quanto precisi, come quelli operati da Halim su un caftan blu. Il caftan blu è il vestito più bello da lui mai creato, che tutti vorrebbero ma di cui pochi sanno riconoscere il reale valore:

Voglio questo caftan blu reale.

Non è blu reale, è blu petrolio. E mi dispiace, non è disponibile.

Maryam Touzani torna dopo Adam del 2019. Riporta con sé la bravissima Lubna Azabal e quell’andamento lento, da studio psicologico, che compone la trama del suo fare filmico. Un gioco di dettagli, tra strumenti del mestiere e oggetti della quotidianità e parti del corpo, sui quali la mdp insiste e che incastona in una sequela di azioni abitudinarie che abitudinarie sono prima che un minimo movimento le smovi e smonti, così che la modifica possa assumere appieno il valore che le pertiene. Ne esce un film dal ritmo simile a quello adottato dal suo protagonista nel produrre i vestiti: lento, ripetitivo eppure preciso e pregnante. Perché ci vuole un certo impegno e una certa bravura a fare un buon caftan, e lo stesso per fare un buon film, e la lentezza, si dica, può essere sì un difetto, ma pure una grande virtù se giustificata dal prodotto finale. E una grande mano a rendere gravida quella lentezza la danno loro, i personaggi, le persone e gli attori. Insomma, loro due, Halim e Mina.

Ospite speciale di questo MedFilm Festival, premio alla carriera, Lubna Azabal porta un personaggio con la P maiuscola e così capace di evolvere a Persona. Mina è una donna orgogliosa e fiera, innamorata di suo marito e perciò generosa sempre. Mai vittima, è di una «grandezza dolente» che è credibile ed empatica per lo spettatore. Insieme a Saleh Bakri dà vita a un film sulla libertà di amare, di poter essere se stessi senza che un amore possa precludere l’altro, e la loro coppia non solo funziona, ma travolge, appassiona e fa soffrire. Un giro di ago alla volta, tra preghiere mattutine e avventure ai bagni pubblici, si inizia a credere in loro e a ciò che sono stati, ma soprattutto si crede alle loro parole. Perché, diciamocelo, le parole di amore sono sempre quelle, e allora la grande capacità è saper costruire un intorno che non persegue l’inflazione ma dia loro corpo.

Arrivato alla sua 28° edizione, il MedFilm Festival si presenta di nuovo, e in modo prepotente, come uno dei festival più sottovalutati della Capitale e forse del Bel Paese tutto. Da 28 anni ci rende consapevoli che il Mediterraneo è di tutti, ma di tutti sono anche le splendide storie che lo popolano. Storie che non sono belle perché dal fascino esotico, perché crude, perché veritiere, ma perché soprattutto hanno una delle qualità prime del grande cinema: sono scritte, messe in pellicola e recitate bene. Se non benissimo. Le Bleu du Caftan, con il suo lento studio psicologico e la chiara impronta registica e l’ottima recitazione dei suoi attori, è uno di questi, e sino all’ultimo non si smette di apprezzare la creazione certosina di quel caftan blu petrolio, cercando di capire quando sarà finito e a chi mai apparterrà. E, infine, chi lo vestirà.


Le Bleu du Caftanregia:  Maryam Touzani; sceneggiatura: Maryam Touzani, Nabil Ayouch; fotografia: Virginie Surdej: montaggio: Nicolas Rumpl; musica: Kristian Eidnes Andersen; interpreti: Ayoub Missioui, Lubna Azabal, Saleh Bakri; produzione: Les Films du Nouveau Monde, Snowglobe, Velvet Films, Ali n’ Productions (MA); origine: Francia, Marocco, Danimarca, Belgio, 2022; durata: 118’; distribuzione: Movies Inspired.

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