Causeway di Lila Neugebauer

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Una vicenda di traumi esplosi e traumi inesplosi, tra guerra e famiglia, nel quale la regista Lila Neugebauer capisce che serve un contrappeso perché la pellicola non sia solo Lawrence e quindi le mette accanto un Brian Tyree Henry che bilancia e l’accompagna sulla via rialzata o, come sarebbe letteralmente il titolo, la via della ragione. La ragione, il motivo di tutto. Dell’andare e del tornare, del tornare e dell’andare, e dell’azione più difficile: restare.

Lynsei (Jennifer Lawrence) è tornata dalla guerra. È stata costretta, il veicolo su cui stava è saltato in aria e tra il soldato accanto che bruciava e quelli che uscendo dalle auto rovesciate vengono travolti dai proiettili, lei è svenuta. Quando si è risvegliata era già sulla via del ritorno, direzione USA, con un disturbo da stress post-traumatico. Prende medicine. Quante? Tante. Quali?

Quelle del tipo: non spararti in faccia.

Arrivata a New Orleans l’accoglie la madre e un pick up a sua disposizione. Di poche parole, il giorno dopo vuole solo lavorare per non pensare. Come? Pulire le piscine.

Immagino che non c’erano troppe piscine in Afghanistan, vero?

Non dove stavo io.

Con la madre il rapporto è difficile, con il pick up anche peggio: si rompe e lo deve portare dal meccanico. Lì trova Aucoin (Brian Tyree Henry), un uomo che ha dalla sua la simpatia, ma non una gamba perché persa in un incidente sopra una strada rialzata. E nell’incidente la gamba è stata il minimo che ha perso. I due fanno amicizia, Aucoin un po’ ci prova, Lynsei chiarisce che è single ma lesbica, i due si ritrovano seduti sul divano di casa di lui, una casa vuota

È che sarebbe bello avere qualcuno. Per sballarsi, per cenare, cose così.

Quel qualcuno non può essere Lynsei. Lei vuole tornare in guerra, lei vuole smettere di prendere i farmaci, lei soprattutto vuole andarsene perché New Orleans non è il suo posto, perché lì è cresciuta infelice, perché da quel posto se ne è già scappata una volta e ci è rifinita contro la sua volontà. Perché

Cosa è il buio per te?

Essere tornata qui.

C’è sempre quel momento in cui un’attrice o un attore di Hollywood si vede costruirsi, o per caso o per volontà, un film attorno. O per far accorgere o per ricordare al mondo della sua esistenza. A volte, pure, in calzamaglia, ma per fortuna non è questo il caso, o meglio non lo è più. Tutto sommato Jennifer Lawrence le scene non le aveva mai abbandonate, da quel Joy del 2015 (e quel Madre! del 2017) si era però allontanata dai personaggi che sono realmente suoi, quelli drammatici ma pulsionali, istintivi eppure bastonati dalla vita, ruoli per i quali l’Oscar l’aveva preso o comunque l’aveva sfiorato. Ma soprattutto per i quali ruoli aveva creato anime tanto irrequiete quanto meravigliose. Ora però è tornata. Per farlo ha dovuto impiantarsi nuovamente in un terreno a lei fertile: quell’America spesso dimenticata da Dio (Winter’s Bone) o, se non dimenticata, comunque lasciata in fondo alla tasca dell’Altissimo (Il lato positivo), e lo fa con un film che prima di essere piacevole è come la sua protagonista: spontaneo. E nei confronti di lei, Lynsei/Lawrence, è invece gentile, dolce.

 

Causeway è un film dolce, gentile . Ed essere gentile è una delle caratteristiche più importanti quando tratti temi furiosi come il concetto di trauma. Lawrence lo sa e ci dà un’interpretazione che alle grida solitarie preferisce i ritiri sofferti, le lacrime mangiate e gli scatti d’ira. Gesti minimi, ben direzionati. Come le urla rivolte a chi di una voce amica, e violenta all’occasione, ha bisogno, purché gli si parli, per abbattere veli di indifferenza e di compassione, quelli che a volte devono essere resi tangibili per essere poi tirati giù. Dall’altra parte di quel velo trova Brian Tyree Henry, un compagno attoriale altrettanto dolce e capace di creare quella chimica amicale funzionale a far divampare e poi placare il dolore, persino far riflettere su quella pena per trovarne se non una cura almeno un’origine, o forse la vera origine, la causeway.

I due parlano senza dirsi mai le cose direttamente, evitando parole scontate, e poi, al giusto momento, le cose in faccia se le dicono, e le parole allora assumono il giusto peso. Il resto della pellicola è invece leggera, con una regia e una fotografia che fanno un rispettoso passo indietro e non cercano vezzi, lasciando il campo ai movimenti dei due viziati da azioni mancate o mal calcolate nel tempo. Fatte presto o tardi. A creare quello che è un imbarazzo fertile perché quel posto solitario a se stesso, quell’angolo di USA, possa essere cassa di risonanza per i traumi dei due e degli altri, di coloro che sono loro attorno e che cercano la stessa cosa: una prigione personale – fisica o mentale che sia – per ripararsi dal proprio passato. E c’è chi vuole andarsene, e c’è chi se ne è già andato, e c’è chi invece è rimasto, tuttavia è innegabile

Sarebbe bello avere qualcuno attorno.

Tra un sorso di birra, una snow ball arcobaleno o alla vaniglia e un tuffo in una piscina, pulita.

In Concorso alla Festa di Roma
Su Apple TV+ dal 4 novembre


Causewayregia: Lila Neugebauer; sceneggiatura: Luke Goebel, Ottessa Moshfegh, Elizabeth Sanders; fotografia: Diego Garcia; montaggio: Robert Frazen, Lucian Johnston; musica: Alex Somers; interpreti: Jennifer Lawrence, Brian Tyree Henry, Linda Emond, Jayne Houdyshell, Stephen Henderson, Fred Weller, Russell Harvard, Neal Huff, Han Soto, Will Pullen; produzione: A24, Excellent Cadaver, IAC Films, IPR.VC; origine: USA, 2022; durata: 92’; distribuzione: Apple TV+.

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